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di Mauro Pirasl'arte politica

15/10/2013

Il concorso, i giovani e i precari

Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una strana guerra dei numeri. Il MIUR ha presentato i dati sui vincitori del concorso a cattedre bandito nel 2012. I numeri sono chiari, accessibili a tutti. Sono incompleti, perché riguardano solo 8.303 vincitori, mentre i posti messi a concorso erano 11.542. La differenza è dovuta al fatto che in diverse regioni (Toscana, Lazio, Sicilia, Calabria, Veneto) le procedure per alcune classi di concorso non si sono ancora concluse. I dati disponibili però mostrano una cosa importante: il 49% dei vincitori ha meno di 35 anni; il che implica, ovviamente, che il 51% ne ha più di 35. Inoltre, il 69% dei vincitori era già iscritto nelle graduatorie a esaurimento. Questo ha provocato un dibattito curioso.

I sindacati hanno detto che queste cifre svelano le falsità di chi ha promosso il concorso: non è vero che è servito a promuovere i giovani, perché oltre la metà dei vincitori ha più di 35 anni; non è vero che il concorso promuove il merito e le graduatorie no, perché quasi il 70% dei vincitori proviene proprio dalle graduatorie, quindi in queste si trovano persone preparate. Come dire: il concorso è stato totalmente inutile, tanto valeva assumere direttamente queste persone dalle graduatorie. La cosa più urgente che serve alla scuola è assorbire il precariato svuotando le graduatorie.

Dall’altra parte, analisi diverse, come quella di Andrea Gavosto, traggono dai dati conclusioni diametralmente opposte: quasi la metà dei vincitori sono, statisticamente, giovani, perché sotto i 35 anni; inoltre, la forte presenza tra i vincitori di iscritti alle graduatorie, mostra che il concorso non era rivolto contro di loro.

Il bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, dunque? Dico subito che dal punto di vista dell’analisi dei dati in senso stretto, ha ragione Gavosto. Per valutare quanto il concorso abbia favorito i giovani sotto i 35 anni, bisogna confrontare il dato in uscita con quello in entrata, bisogna cioè andare a vedere questi rapporti tra i candidati iscritti al concorso: dei 326.459 iscritti, quasi il 65% aveva più di 35 anni. Quindi è evidente che l’esito del concorso ha cambiato le proporzioni, favorendo i più giovani. Inoltre, va notato che la maggior parte dei vincitori sono donne, l’80,9%. Questo permette di fare un’osservazione interessante. Se si guarda solo alle donne vincitrici, si vede che il rapporto tra più o meno 35 anni si inverte: quasi il 53% di loro ha meno di 35 anni. Questo, vista l’importanza della componente femminile, conferma la tendenza del concorso a favorire i più giovani.

Ora il problema non è tanto discutere su giovani e vecchi, quanto cogliere lo spirito dell’analisi dei dati. Il concorso è nato male per molte ragioni: perché i posti banditi erano troppo pochi, perché le prove, sia preselettive che scritte, erano forse da rivedere, perché le commissioni sono state pagate male, e non hanno avuto tempo a valutare con attenzione, ecc. Conosciamo tutti questi mali. Ma il problema di fondo riguarda la scelta politica: il concorso, nella situazione data del personale docente, andava fatto o no?

Conosciamo la situazione: ci sono oltre 160.000 iscritti nelle graduatorie a esaurimento, cioè precari “storici”. Da un lato, ci sono tanti giovani neolaureati che sono fuori da queste graduatorie. Se si facessero le assunzioni solo dalle graduatorie, per assorbire il precariato si bloccherebbe per molto tempo l’accesso della scuola alle nuove leve. Ma la scuola ha bisogno di personale giovane e motivato. Dall’altro lato, se si facessero solo concorsi, per favorire questo accesso, si farebbe un’ingiustizia nei confronti dei precari delle graduatorie.

Come se ne esce? Intanto, bisogna avere un’idea sicura di quello che si vuole a regime, cioè quando si sarà usciti dall’emergenza (se se ne vuole uscire). In condizioni ordinarie, il concorso deve essere la norma: solo concorsi banditi regolarmente, ogni due anni, per esempio, possono garantire una buona selezione e un ricambio corretto del corpo docente. Se si parte da questa prospettiva, la situazione attuale potrebbe essere affrontata nei termini seguenti: fare dei concorsi regolari, possibilmente ogni due anni, con i quali dare degli sbocchi ai neoabilitati dei TFA e garantire il ricambio generazionale; contemporaneamente, come a norma di legge, assumere anche altrettanti docenti dalle graduatorie. Ovviamente, bisogna mettere a concorso un numero di posti adeguato, e dare la sicurezza che i concorsi avverranno regolarmente.

Ma, si dirà, i giovani che eventualmente entrano per concorso non toglieranno il posto ai precari delle graduatorie? Il dato sul rapporto tra vincitori e iscritti in graduatorie dice che non è così. In ogni caso, nella situazione eccezionale in cui ci troviamo, se vogliamo risolvere una volta per tutte la questione, bisogna avere il coraggio di assumere con numeri superiori al fabbisogno effettivo, per garantire l’accesso dei nuovi e l’assorbimento delle graduatorie allo stesso tempo. Sembra pura utopia, lo so, date le attuali condizioni finanziarie dello Stato. La soluzione potrebbe essere questa: i docenti oltre i sessant’anni potrebbero avere un orario cattedra ridotto, e svolgere funzioni di tutoraggio nei confronti sia dei colleghi più giovani, sia degli studenti in difficoltà, oppure funzioni organizzative che attualmente devono essere remunerate dal fondo di istituto. Questo comporterebbe un miglioramento della qualità della scuola e un risparmio di risorse finanziarie. Ovviamente, ci vuole un po’ di coraggio: investire un po’ di più, per risolvere un problema che si trascina da troppo tempo, provocando gravi disfunzioni, e per migliorare alcuni aspetti della didattica e dell’organizzazione.

In conclusione: il concorso deve essere la via maestra, e bisogna pensare alle condizioni per fare in modo che sia così. Le reazioni difensive, che provengono dai sindacati e da una parte della sinistra, per quanto comprensibili, non solo non risolvono il problema, ma contribuiscono a perpetuare una situazione confusa, sia in termini di efficienza che in termini di giustizia. Questo va tenuto a mente anche nell’approvazione del Decreto Scuola presentato dal governo Letta il 9 settembre scorso e ora in discussione in Parlamento per la conversione in legge. Tra le altre cose il decreto prevede, all’art. 15, un piano triennale di immissioni in ruolo di 69000 docenti e 26000 docenti di sostegno. Questo è un buon segno, perché conferma la tendenza ad assumere, avviata con il concorso. Tuttavia, se queste assunzioni si facessero solo tutte dalle graduatorie si getterebbe via il meglio dell’esperienza del concorso in via di conclusione: si perderebbe la possibilità di aprire la scuola a docenti giovani e motivati, garantendo allo stesso tempo la stabilizzazione dei precari; e si perderebbe anche l’occasione di confermare che il modo naturale di accedere all’insegnamento deve essere il concorso.

Cercarono, dunque, di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si radunavano, si recavano offesa tra di loro, proprio perché mancanti dell’arte politica, onde nuovamente si disperdevano e morivano. (Platone, Protagora, 322b).

Di che cosa parliamo

La scuola non vive senza la politica e questa non vive senza la scuola. L’arte politica tiene insieme i cittadini nella giustizia, virtù che esiste solo se condivisa e acquisita in un processo educativo permanente. D’altro lato, le finalità sociali della scuola non possono realizzarsi senza una politica orientata a un’idea di eguaglianza e di giustizia. Discuteremo qui temi di attualità politica e politica scolastica, guidati dall’ideale di una società di cittadini eguali e liberi, che trova nelle istituzioni giuste e nella scuola le sue strutture fondanti.

L'autore

Insegna Filosofia e Storia al Liceo Classico “Gioberti” di Torino. Scrive di filosofia politica e teoria sociale, e di attualità politica. È tra gli autori del sito www.leparoleelecose.it.  Coordina il Seminario di Filosofia Politica presso il Centro Einaudi di Torino e si occupa di politica scolastica per il Dipartimento Istruzione PD di Torino.