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di Paolo Citranfilosofia, educazione, società

03/02/2014

Bambine e bambini nella società liquida

"Io ce l'ho e tu no"

In un piccolo ormai classico pamphlet edito nel 1973 e arrivato alla ventunesima edizione (Dalla parte della bambine. L’influenza dei comportamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano, 1977), di utile impiego anche in ambito didattico,  Elena Gianini Belotti usava questa espressione icastica riferendosi a  una manifestazione di superiorità del maschietto rispetto alla femminuccia nel periodo edipico di freudiana memoria (3-6 anni).
 In tale fase Freud identificava nell’invidia del pene della bambina e nell’ansia di castrazione del bambino due formazioni psicologiche per lui tanto generalmente proprie dell’uomo quanto il complesso di Edipo / di Elettra. Si tratterebbe di tendenze universali, collegate con l’identificazione col genitore del proprio sesso. L’autrice contestava l’idea che l’avvertire precocemente superiorità e inferiorità in tal modo sia un fatto naturale, piuttosto che determinato dai condizionamenti culturali propri di una società maschilista, in cui “quando le bambine fanno la scoperta di avere ‘qualcosa di meno’ dei maschi, nessuno le rassicura sul valore del proprio sesso, perché nessuno ci crede”, né il padre né la madre (op. cit., p. 80).
 Il punto è che Freud aveva come campionario di casi donne e uomini borghesi della Vienna del periodo compreso tra Otto e Novecento, caratterizzata dalla tendenza a una forte repressione delle pulsioni sessuali; le generalizzazioni sono pertanto da attribuire a quella data società, non all’umanità intera. Non è un caso che Freud avesse iniziato la propria ricerca clinica partendo proprio dallo studio dell’isteria in pazienti donne (isteriche erano considerate quasi solo le donne: isteria deriva da hysteron = utero) in un contesto sessuofobo e fortemente repressivo.

Una critica in questa direzione venne espressa già nel 1927 dall’etnologo Bronislaw Malinowski in Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi (Boringhieri, Torino, 1969). Questi, studiando la società matriarcale degli indigeni melanesiani delle isole Trobriand, notava che lì non si riscontravano “né desideri repressi né desideri negativi né desideri frustrati” equivalenti ai “complessi familiari europei” studiati da Freud (op. cit., p. 112), e “l’atteggiamento del padre verso il fanciullo è quello di un amico intimo o di un coadiutore”, cosicché “nel periodo in cui i nostri padri fanno piacere al bambino quando stanno lontano dalla nursery” dato il rigido ruolo paterno, “il padre trobriandiano è prima di tutto nurse e poi compagno” (p.113); un ruolo analogo a quello del padre occidentale è svolto in quella società dallo zio materno, verificandosi un rapporto conflittuale fra zio e nipote”.
Infatti “nel complesso di Edipo – affermava Malinowski - c’è  il desiderio di sopprimere il padre e sposare la madre, mentre nella società matrilineare delle Trobriand  il desiderio è di sposare la sorella  e di uccidere lo zio materno” (ibidem, p. 113). 

È quindi pensabile che anche i rapporti parentali si modifichino nello spazio, nel tempo e nelle diverse culture/società e di conseguenza si possano anche modificare tanto il ruolo femminile quanto quello  maschile.

Dunque, negli anni Duemila, Edipo è vintage?


Il fenomeno Violetta

In un recente articolo su “la Repubblica” del  14.01.2014, "Gadget e amori impossibili.Quelle bimbe troppo adulte della generazione Violetta. Sono migliaia di baby-consumatrici, l’ultima frontiera del mercato", Maria Novella De Luca riferisce del concerto della cantante argentina Violetta, svoltosi a Roma per l’appunto all’inizio del mese scorso: nelle fan della cantante, le così dette “V-lovers”,  “l’infanzia e l’adolescenza si mescolano nella spinta accelerata verso il mondo dei più grandi. Violetta riempie i palastadi di baby fan di sette, otto, dieci anni, vestite come al derby, con la sciarpa legata alla fronte, gli striscioni e la ‘V’ tatuata  sulla  guancia”. Si tratta di “una generazione che cresce in fretta, ultima lucrosa frontiera del mercato della moda”. 

Pare essere una delle tante mode giovanili. Come al tempo in cui furoreggiavano gli ombelichi d’ordinanza in mostra anche in caso di freddo polare. Il rimedio? Aspettare che passi! Nell’attesa, “Violetta  le fa sentire grandi parlando di amore, di sentimenti, di gelosia, di competizione, perchè canta, balla”. Sono “bambine il cui rischio è quello di bruciare l’infanzia, precocemente adultizzate, per poi ritrovarsi a far scellte mature  sempre più tardi: molte vivono in una pubertà anticipata ma poi riescono a diventare madri quando la fertilità sta per esaurirsi.” È “il  mercato” che “ le fa sentire grandi,  donne  in miniatura, perché le trasforma in baby-consumatrici, mentre le sta soltando sfruttando”. 

L’apparato pubblicitario si è impadronito del logo di Violetta, che, con “la sua sensualità lieve”, rappresenta “l’immagine perfetta e rassicurante di una pubertà non problematica e difficile. Esperienza rara e forse per questo così attraente”. Violetta è “una Barbie vivente”: infatti “tutti questi fenomeni discendono da Barbie, il primo prodotto ad avere un’infinità di oggetti legati al suo nome e alla pubblicità”, che “non vende più oggetti, ma immagini, identificazioni”, È “un logo ‘vivente’”. 

Qui mi sembra che sia ancora in gioco il meccanismo dell’identificazione, che però non si verifica con la madre, come insegnava Freud, ma con un logo vivente, più virtuale che reale, un’immagine insomma: un’immagine del tutto disfunzionale rispetto a un processo di reale emancipazione femminile. E, per associazione d’idee, noto a margine di questa mia considerazione che appaiono su Facebook immagini di ragazzine puberi o prepuberi truccate ed addobbate da donne fatali e con atteggiamenti che vogliono essere provocanti. Allora mi chiedo quali siano i modelli con cui si identificano; e quali cambiamenti antropologico-culturali riflettano. La faccenda dà da pensare.

A scuola

La scuola dovrebbe porsi il problema di quali modelli identificativi offrire in una società in cui essi sono assai deboli, quando non assenti. Siamo forse non solo nel tempo dell’eclissi del padre, ma anche dell’eclisse  della madre e della caduta dei ruoli familiari tradizionali. In tale situazione le bambine e i bambini sperimentano legami coniugali e familiari  liquidi, in cui rischia di perdersi l’eredità culturale delle generazioni mature: viviamo in un momento in cui la famiglia è in trasformazione rapida, quando non tumultuosa, in una situazione di spaesamento che coinvolge bambine/i ed adolescenti, ma anche adulti.

Si dovrebbero rafforzare – con esempi e con una comunicazione rassicurante ed empatica da parte dei grandi - comportamenti sereni nei confronti del sesso e dei ruoli sessuali. Si potranno presentare così  concrete possibilità di riferimento per identificazioni alternative rispetto alle modalità prevalenti ed omogeneizzate correnti, pur senza creare ambienti esageratamente protetti, e permettendo di sviluppare gradualmente l’autonomia personale.

Oltre che far leva su meccanismi d’introiezione dei modelli adulti – il che tra l’altro pone il problema, soprattutto nei primi livelli scolastici, della scarsa presenza di figure maschili – credo sia opportuno far capire ad alunne ed alunni i dispositivi ingannevoli, i trucchi sottostanti a immagini attraenti, virtuali e non, il trash e le stereotipie dei tipi ideali che vengono proposti. Si tratta di sviluppare le potenzialità d’impiego della capacità di giudizio, dell’ironia e dell’autoironia, non incoraggiando il conformismo, né facendo leva sul moralismo, ma favorendo la crescita della riflessività. Ciò potrebbe permettere scelte consapevoli in direzione di un’adesione al principio di realtà. Si richiede oggi infatti di saper far fronte all’incertezza e alle insicurezze proprie delle donne e degli uomini del nostro tempo. Il senso critico implica inoltre il senso della civitas come spazio in cui è possibile interagire con gli altri in maniera originale, personale, cooperativa e costruttiva.

Immagini

Le immagini sono tratte dal citato libro di Bronislaw Malinowski, Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, Torino, 1969; e da www.ilmondodipatty.it e da http://torino.repubblica.it 

 

Di che cosa parliamo

Sulle orme della gloriosa rubrica a firma Piccì , "Controcorrente... dai confini" - tenuta per molti anni su insegnare "cartaceo" - tratterò gli argomenti di mia competenza e i temi più vari, che mi sembreranno di un qualche interesse per i nostri lettori, riassumibili sotto la formula sintetica “Filosofia, educazione, società”. Guarderò al presente e all’attuale, ma dal punto di vista soprattutto dell’inattuale, cioè a mio parere di ciò che è maggiormente attuale per chi non si adegui al dettato del pensiero unico e del politicamente corretto.

L'autore

Mi sono laureato in filosofia nel 1972, discutendo una tesi su demitizzazione e mito. Insegnante di Filosofia, Psicologia e Scienze dell’Educazione, ho lavorato nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti, anche come Presidente del Cidi della Carnia e del Gemonese . Mi interessano la filosofia, la pedagogia, la storia,  l’antropologia, la psicologia, le scienze sociali, le religioni, la politica scolastica. Ho approfondito i temi dell’educazione alla pace, dell’epistemologia, della didattica, della cultura materiale; dell’infanzia e dell’adolescenza; del senso del tempo e dei diritti dell’uomo…  Devo decidere che cosa farò da grande.