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di Lina Grossipagine dimenticate

22/12/2015

A proposito di letteratura e sport: Pasolini cronista sportivo

Nei due saggi “Pasolini critico dei linguaggi” e “Pasolini linguista” presenti nel volume sulla pluralità idiomatica e culturale delle “Italie” [1] , Tullio De Mauro ne sottolinea la multiforme esperienza espressiva e l’eccezionale ampiezza dell’inventario di linguaggi e canali comunicativi adoperati. Per queste peculiarità definisce lo scrittore friulano come “il primo artista di grande livello internazionale che possa definirsi multimediale nel mondo di oggi” in quanto “infaticato utente e sperimentatore attivo e appassionato” [2]  di linguaggi profondamente diversi: da quello colto-scientifico  e letterario al linguaggio politico, ideologico, giornalistico, al linguaggio verbale delle canzoni, linguaggio gergale e triviale, alla scrittura da sceneggiatura, al dialogo dei copioni. Accanto a questa varia famiglia di usi del linguaggio verbale, Pasolini sperimenta i linguaggi della figurazione filmica e grafica.

Un ulteriore aspetto  che De Mauro è attento nel sottolineare è quello relativo al linguaggio degli sport: “anche su questo canale [Pasolini] è un plurilingue, un polisportivo” ed “è un magnifico giocatore di calcio, formidabile mediano"[3] . Il ragionamento si snoda  a questo proposito in due direzioni: l’una connessa con le drammatiche vicende biografiche e, in particolare,  con uno dei punti deboli della ricostruzione della sua morte da parte di Pino Pelosi (come è possibile che uno sportivo, allenato e abituato a correre, sia stato tenuto fermo e sprangato da un solo ragazzo?), l’altra, più interna al saggio  e alla critica dei linguaggi, sulla fisicità di  Pasolini e sul  rapporto cercato e vissuto con lo sport. 

Pasolini - è questa la tesi di De Mauro -  non accetta i vari linguaggi come qualcosa di statico ma “già col giustapporli in tal numero li trasforma, li violenta. Trasgredisce nel trasgredire e, tra l’altro trasgredisce  mettendoli brutalmente alla prova come strumenti capaci di trasmettere quello che per lui è il senso” delle cose e degli strumenti che hanno e danno senso e per “scoprire nuove possibilità di cambiare il modo di partecipazione all’esistenza attraverso l’esistenza stessa”. [4]

Prendendo lo spunto da quest’ultima riflessione, si ripercorrono qui (sommariamente) alcune pagine da Pasolini in veste di cronista sportivo dalle quali emerge con chiarezza in che modo la creazione artistica e linguistica di Pasolini sia al tempo stesso adesione vitale e sociale,  carica di senso etico e pedagogico, alla realtà a lui contemporanea.

Pasolini ha scritto di sport e ha praticato lo sport con passione: questo duplice rapporto che lo caratterizza e lo contraddistingue nel panorama letterario italiano [5], fa parte di quella carica di trasgressione e di innovazione propria dell’intellettuale Pasolini. È famosa la risposta di Pasolini a Enzo Biagi [6] che nel corso di  un’intervista gli chiedeva: “Senza cinema, senza scrivere, che cosa le sarebbe piaciuto diventare?”: “Un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l’eros, per me il football è uno dei grandi piaceri"[7].

La passione, in particolare, per il calcio si combina con la scrittura letteraria nel corso della collaborazione con il settimanale Vie Nuove sul quale, in qualità di scrittore e intellettuale, teneva una rubrica in cui dialogava con i lettori. Quando gli viene proposto di seguire come inviato stampa le Olimpiadi del 1960, accetta con entusiasmo e scrive resoconti che  vanno oltre la cronaca degli eventi  e diventano lucide e, a tratti, provocatorie  analisi sociopolitiche e culturali. Tra gli articoli pubblicati, due sono particolarmente significativi: “Un mondo pieno di futuro” del 3 settembre 1960 e “Dramma sul filo” del 17 settembre 1960.

Nel primo narra la cerimonia di apertura e già nell’incipit è presente un richiamo allo sport più amato dallo scrittore che diventa metro di paragone nella descrizione della folla:

  “ a dire il vero mi aspettavo, lungo i viali che portavano allo Stadio Olimpico, il caos delle partite di calcio, il solito calore delle domeniche calde, con la nota passione, vivace, convenzionale e plebea”. Niente, invece: intorno a me camminava una folla del tutto nuova: i vestiti insieme più vivaci e modesti dei nostri, le facce e i corpi meno belli ma più sani, i sorrisi senza ironia  e senza volgarità, ma anche un po’ senza vita

Lo colpiscono il silenzio e la folla ordinata e così diversa dalla vitalità chiassosa delle partite giocate nelle periferie; lo colpiscono il colore nuovo “come più secco, anestetizzato, lucido, pulito: rossi laccati, marroncini, bianchi di bucato” e i suoni delle parole, quasi tutte straniere: “ sotto il sole disperato non si sentono che parole straniere, le più inafferrabili: finlandese, israeliano… Sembrano stridi di uccelli: di rondini, come dicevano i greci dei barbari..”

“Un punticino sperduto nel babelico ovale”: si definisce Pasolini, che non nasconde la propria meraviglia in quanto non ha mai assistito “ad uno spettacolo di così rassicurante e fraterna compagnia”. Ė una rappresentazione vitalistica e percettiva della realtà quella offerta da Pasolini ai lettori, attraverso stimoli sensoriali, visivi (i colori variegati delle bandiere e dei costumi degli atleti) e sonori (i suoni delle parole delle tante lingue e degli applausi) e attraverso la percezione del movimento (delle persone e delle tante bandire) e del caldo (“sotto il sole disperato”).A fare da sfondo alla cronistoria dell’inaugurazione dei giochi olimpici, è la riflessione sul senso profondo di questo evento, sull’aspetto di universalità del messaggio storico e politico che le immagini trasmettono: le delegazioni dei vari Paesi, piccoli e grandi, con le loro bandiere al vento a testimonianza delle singole identità nazionali, sono un “brano di storia contemporanea” e metafora di un nuovo corso nella storia della civiltà umana. Alla sfilata partecipa, con il suo portato di sofferenza e a distanza ancora di pochi anni da un conflitto mondiale che come non mai aveva stravolto il senso stesso dell’essere uomo, l’intero mondo e il suo impegno comune per un futuro migliore.

“Era presente in quella parata piena di colori l’intero mondo. Il mondo nell’ultimo istante del suo essere storico: ancora incandescente, ancora pieno del suo immediato futuro: un mondo che sarà così diverso da quello che ci siamo abituati a considerare nostro: perché gli uomini di colore sono liberi, le loro nazioni hanno la loro bandiera al vento, perché gli stati più poveri cominciano una loro vita civile, perché gli stati più ricchi e grandi, gli USA, l’URSS sono a una svolta decisiva della loro storia, che li porterà a possedere il cosmo: a riordinare in un’altra organizzazione questa terra.”

L’aspetto che conferisce alla cerimonia il suo senso più profondo consiste dunque in “questa giovanile, colorita visione del mondo, riunito in una pacifica sfida, questa evocazione dei momenti storici, come staccati dal male e dal bene, quasi pronti a far parte di una coscienza più alta e serena, quella che li giudicherà domani.”

Nel secondo articolo che si intende qui riportare alla memoria, Pasolini dichiara di sentirsi un pessimo spettatore di gare atletiche e se ne chiede la ragione: “Ci sarà pure una ragione. Qual è? Io temo sia poco lusinghiera: ma sarà pur necessaria, e quindi al di là di ogni giudizio di valore.” Trova la risposta nella natura dello sport.

“Da troppo tempo lo sport è spettacolo. Il prato erboso degli stadi e il ring sono dei palcoscenici: che hanno sostituito addirittura i palcoscenici veri. E’ inutile rimpiangere le cose che passano: bisogna coraggiosamente affrontare quelle che si presentano, nuove, portate da nuove necessità. Ci sono degli sport che, piano piano, hanno finito col non coincidere più con lo spettacolo. Solo per pochi reggerebbe uno spettacolo teatrale composto da letture di liriche: davanti a un pubblico medio, questo non è concepibile. La gara atletica pura è una lirica, più o meno breve: i cento metri un endecasillabo, i duecento un emistichio, i quattrocento una quartina. Oggi […] lo sport è diventato lentamente, quanto a necessità un puro fatto igienico: e sopravvive soltanto, direi, perché sfoga certi istinti aggressivi e competitivi, di predominio, che nell’uomo moderno non si sono ancora spenti. Ed è quindi divenuto spettacolo, per l’esigenza di masse enormi: che senza dubbio non amano la brevità squisita di un endecasillabo. Non trovo che ci sia da indignarsi: l’indignazione in questo caso, è una forma, come sempre regressiva, di moralismo.”

Il racconto di questo dramma per una vittoria sul filo non è appassionante in quanto le gare e gli atleti non sono riusciti a coinvolgere lo scrittore che ammette di essere uscito dallo stadio, stanco e indifferente. Più che all’andamento delle diverse gare sembra interessato al filo dei suoi pensieri sulle ragioni della sua preferenza per sport più popolari, come il calcio e la boxe, rispetto alla più elitaria atletica leggera. Ne è conferma la conclusione dell’articolo – una sorta di breve racconto nel racconto, con finale didascalico - in cui sembra quasi contrapporre alla solennità e alla compostezza dei giochi olimpici, il coinvolgimento spontaneo e chiassoso di una gara dilettantesca di tiro alla fune, sulla spiaggia di Ostia, allo stabilimento Ondina, tra una comitiva di ragazze italiane e un gruppo di coetanee ungheresi che si erano casualmente incontrate sull’arenile.

“Devo dire la verità? Mi sono divertito di più alcuni giorni fa, a Ostia, allo stabilimento Ondina. Alcune ragazze si erano date da fare perché un gruppo di italiani – nati stanchi, ragazzi della periferia- si misurassero in alcune gare con un gruppo di ungheresi. Dopo infiniti sforzi organizzativi, nella spiaggia settembrina mezza deserta, coi suoi colori ancora coraggiosamente vividi al sole grigio, le gare sono incominciate. Bisognava vedere il pubblico! Delle donne, le sorelle e le mogli dei bagnini, le serve del ristorante, le ragazze del popolo che ancora erano lì, attorno ai capanni già scassati e deserti, parevano come impazzite. La spiaggetta, tra le due file di casotti gialli e rossi, era un vero palcoscenico: e gli urli, le risa, gli incitamenti! Naturalmente vincevano sempre gli ungheresi, colossi selezionati, potenti e meticolosi. Allora le donne italiane lanciando parolacce in romanesco, hanno sfidato al tiro alla fune le donne ungheresi: e ce l’anno fatta, hanno vinto, gridando come matte di gioia. E’ stata quella una vera riunione sportiva: lo sport ideale ha queste dimensione.”

Lo scrittore, qui cronista sportivo, vive dunque un particolare rapporto con lo sport: è piacere fisico intenso quando lo pratica; è rivivere con intensità e passione ogni momento quando lo narra. In entrambi i casi sono dominanti il senso di partecipazione e di identificazione con gli altri e la condivisione di emozioni.

Pasolini non è stato comunque l’unico intellettuale italiano del XX secolo ad essersi occupato di sport in veste di cronista sportivo. Prima di lui Italo Calvino era stato inviato speciale alle Olimpiadi di Helsinki [9] e Dino Buzzati al giro d’Italia [10]. Ma sul binomio letteratura e sport nel corso del Novecento è fiorita una tale produzione di studi e una così ampia produzione letteraria, che sarà bene tornare sull’argomento.

 

Note

1. Cfr. T. De Mauro, L’Italia delle Italie, Editori Riuniti,  1987. Il volume comprende i due saggi citati, già presenti nella raccolta omonima a cura della Nuova Guaraldi editrice, Firenze, 1980. 
2. Cfr. Pasolini critico dei linguaggi, in op. cit. p.154 e 155.
3. Cfr. Ib. p.168.
4. La creazione artistica e linguistica di Pasolini (singen, il cantare) è adesione vitale e assoluta alla società (dasein, l’esistere), è una dimensione esistenziale carica di un senso etico e pedagogica, Ib., p.169.
5. Sul rapporto nel XX secolo tra gli intellettuali italiani  e lo sport – la riserva verso le attività del corpo a confronto delle attività dello spirito, il disinteresse degli intellettuali verso la cultura di massa – e sui modo con cui gli scrittori hanno celebrato lo sport, si rimanda agli Atti del Convegno su Letteratura e Sport, Roma 5/6/7 aprile 2001 in AA.VV, Letteratura e Sport, Limina, 2003.
6. Cfr. "Intervista di Enzo Biagi a Pier Paolo Pasolini", su  La Stampa, 4 gennaio 1973.
7. Di questa passione per il calcio ci restano fonti in alcuni suoi articoli, in particolare quello pubblicato sul giornale Il Giorno, 3 gennaio 1971,  intitolato “Il calcio è un linguaggio con i suoi poeti e prosatori”, in cui Pasolini, nell’ambito del dibattito sulle differenze tra scrittura letteraria e scrittura giornalistica, affronta la questione del calcio come sistema di segni, cioè come linguaggio. Si veda, a questo proposito, sul sito del Centro Studi PPP,  Pasolini e il calcio, passione di una vita .
[8]. Nel 1960 si svolgevano  a Roma i Giochi  della XVII Olimpiade, nello stesso anno Pasolini avvia la collaborazione con il settimanale Vie Nuove (dal 4 giugno 1960 fino al 30 settembre 1965), pubblica la raccolta “La religione del mio tempo” e  dà inizio alla sua attività di regista girando il film Accattone, presentato al Festival di Venezia  nel 1961.
9. Calvino è inviato speciale dell’Unità alle Olimpiadi di Helsinki del 1952. Nell’articolo di chiusura dei giochi dal titolo “Salutiamo a malincuore il microcosmo di Helsinki” apparso su l’Unità del 3 agosto 1952, scriveva al pari di Pasolini, parole profetiche: “Finiscono le Olimpiadi e si spezza un’atmosfera che ci teneva tutti uniti. Il mondo della “guerra fredda” inghiotte uomini che, per quindici giorni hanno lottato cavallerescamente alla pari, applaudendo l’uno alle vittorie dell’altro, senz’altra misura di grandezza che il valore dei risultati raggiunti. […]. Ora la propaganda dei guerrafondai riprende a martellare sui bianchi, sui neri, sui gialli che s’avviano via “occidente” le loro parole di odio verso i fratelli che prendono la via d’”oriente” e tornano alla loro vita di pacifico lavoro. E’ per questa ragione che ci rincresce che le Olimpiadi di Helsinki siano finite. Ma crediamo anche che esse abbiano gettato un seme che non fruttifichi solo di quattro anni in quattro anni nel cuore dei popoli.”
10. Dino Buzzati si è stato inviato speciale del Corriere della Sera, al Giro d’Italia, nel 1949. In un’Italia appena uscita dalla guerra il ciclismo rappresentava non solo una competizione tra grandi campioni - famose le pagine dedicate al duello narrato con toni omerici tra due grandi figure del passato, Coppi e Bartali – ma era una festa di popolo e una riappropriazione dell’orgoglio e dell’identità nazionale. Le 25 cronache scritte da Buzzati sono state raccolte nel volume dal titolo Dino Buzzati al Giro d’Italia, a cura di Claudio Marabini, Mondadori, Milano, 1981.

 

 

 

 

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.