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di Bruno Lositovalutare per capire

12/05/2014

Le rilevazioni Invalsi: qualcosa si muove. In quale direzione?

In concomitanza con l’inizio delle rilevazioni Invalsi, il nuovo presidente dell’ Istituto – la professoressa Anna Maria Ajello – ha rilasciato una intervista a  La Stampa che contiene alcune valutazioni e alcune informazioni di un certo interesse. (versione on line). Il titolo dell’articolo promette scintille: Basta trabocchetti. Dal prossimo anno cambia il test Invalsi
È probabile che – come sempre accade in questi casi! – ci sia stata una forzatura della giornalista che ha realizzato l’intervista. Ma che il giudizio del nuovo presidente nei confronti delle prove utilizzate nelle rilevazioni sia quanto meno critico sembra indiscutibile: “Alcune formulazioni sono troppo complicate” (sembrerebbe che la stessa presidente abbia avuto difficoltà nel comprenderne una); “non si possono effettuare le prove sulla base di tranelli o furbizie”; le prove “non vanno rese più complicate ricorrendo a queste complicazioni”. Come ho già detto, è difficile dire se il presidente dell’Istituto si sia effettivamente espresso in questi termini nei confronti delle prove. È probabile che una forzatura ci sia stata (e che forzatura!), altrimenti sarebbe un incredibile autogol da parte dell’Istituto impegnato nelle rilevazioni, che come tutti gli anni, secondo un copione ormai un po’ trito, stanno sollevando reazioni di tutti i generi.
Quello che interessa sono le conclusioni che il presidente dell’Invalsi trae da questa sua valutazione delle prove: la promessa di mettere a punto, grazie anche all’intervento di esperti che già sono stati convocati, di prove “ben fatte”, meno difficili e più legate alle indicazioni nazionali (si suppone quelle per il curricolo).

Pur apprezzando questa promessa, credo che alcune domande siano legittime. È ovvio che le prove possano essere migliorate progressivamente, personalmente ritengo (e su questo mi sono espresso pubblicamente in varie occasioni) che le prove utilizzate dall’Istituto siano migliorate molto nel corso delle successive rilevazioni. L’Invalsi ha prodotto negli anni vari rapporti tecnici, in cui le caratteristiche delle prove sono state analizzate sulla base dei risultati raccolti e rese pubbliche. Ma la domanda, alla luce dell’intervista del presidente dell’Invalsi, è se e in quale misura le prove attuali siano prove valide e affidabili. Se quello che misurano sia, cioè, quello che effettivamente intendono rilevare, oppure se le loro caratteristiche sono tali da impedirlo. 

Negli anni passati, si è sviluppato un dibattito pubblico, spesso anche molto critico, sulle caratteristiche di queste prove. Forse sarebbe opportuna una discussione pubblica su questo aspetto, che coinvolga esperti di diversa provenienza (disciplinari e non). Non si tratta di mettere in discussione l’opportunità e l’utilità delle rilevazioni, ma di capire effettivamente a che cosa servano, che cosa misurino e come lo misurino. Si tratta, cioè, di sciogliere le ambiguità che in questi anni hanno accompagnato le rilevazioni del Servizio nazionale di valutazione. Un ulteriore esempio:  nell’intervista si dice (sempre con il beneficio dell’inventario) che le prove servono “per valutare le competenze acquisite e per confrontare i dati in modo da mettere a punto indicatori per evidenziare il peso che le diverse variabili socio-economiche, socio-culturali e familiari possono avere nel determinare i risultati”. Una affermazione importante, per almeno due aspetti, che andrebbero approfonditi. 

Primo aspetto: fino allo scorso anno, i risultati delle rilevazioni Invalsi – almeno nei rapporti nazionali – sono stati sempre presentati in maniera decontestualizzata, senza alcun riferimento alle variabili di contesto citate nell’intervista, che pure sono indispensabili per provare a dare non soltanto una fotografia, ma almeno un tentativo di interpretazione dei risultati ottenuti. È auspicabile che quanto dichiarato dal presidente dell’Invalsi segni una inversione di tendenza. Anche per evitare interpretazioni distorte dei risultati conseguiti dalle singole scuole.

Secondo aspetto: le prove Invalsi rilevano (intendono rilevare) “competenze”? Su questo ci sono spesso state ambiguità: a volte si è detto che questo è il loro obiettivo (o quanto meno la loro ambizione), a volte si è insistito di più sulla rilevazione di conoscenze e di abilità. Se si facesse chiarezza su questo aspetto, sarebbe un notevole passo avanti. Anche perché, come dimostrano i progetti internazionali che si propongono esplicitamente di rilevare competenze (per esempio PISA), il tipo di prove che si dovrebbero utilizzare è abbastanza diverso da quelle oggi utilizzate dall’Invalsi, composte prevalentemente, se non esclusivamente, di domande a risposta chiusa.

È quella della rilevazione delle competenze la direzione verso la quale si intende andare? Se così fosse – e il riferimento alle indicazioni per il curricolo lo farebbe supporre, almeno per il primo ciclo – forse bisognerebbe anche riprendere la discussione su altri aspetti del disegno che caratterizza le rilevazioni condotte dall’Istituto. Non mi riferisco alla discussione, anche questa ormai forse poco utile, sulla opportunità di effettuare rilevazioni sull’universo o su campioni. Una scelta è stata fatta e forse non sarebbe opportuno in questo momento ritornare indietro. Penso, però, ad altri aspetti, per primo quello della periodicità delle rilevazioni. Uno dei motivi che determinano il ricorso prevalente a domande a risposta chiusa è probabilmente quello legato ai tempi (per non parlare delle risorse economiche!): se l’obiettivo è la restituzione per l’inizio dell’anno scolastico dei risultati delle rilevazioni a ogni singola scuola, è chiaro che la scelta è quasi obbligata. Almeno nell’attesa dello sviluppo di procedure automatizzate di somministrazione (che comprendano anche la correzione delle risposte aperte), ancora molto lontane dall’essere approntate. Ma è legittimo chiedersi se, sia dal punto di vista della nostra conoscenza del sistema scuola, sia dal punto di vista delle singole scuole e della loro riflessione sul proprio intervento educativo e didattico, non sia possibile pensare a una periodicità meno compressa, che consenta il ricorso a prove più articolate e che dia alle scuole il tempo di elaborare piani di intervento di miglioramento.

Quest’ultimo aspetto ci riporta a un altro problema di cui si è spesso discusso in questi anni: quello del sostegno alle scuole in questo processo. Non tutte le scuole sono in grado di leggere e di interpretare i risultati conseguiti nelle rilevazioni, non tutte le scuole hanno al loro interno le risorse e le competenze per approntare interventi migliorativi. C’è bisogno di un sostegno esterno, la cui responsabilità non può essere affidata all’Invalsi.

Insomma, come tutti gli anni, al momento delle rilevazioni, si riapre la discussione. L’auspicio è che quanto affermato dal presidente dell’Invalsi nell’intervista riportata possa effettivamente dare avvio a una riflessione a tutto campo. Quello della valutazione è uno dei nodi su cui ci sarebbe più bisogno di ragionare. Mi riferisco non soltanto alle rilevazioni Invalsi, ma anche e in primo luogo alla valutazione degli studenti, quella operata dagli insegnanti all’interno dei processi didattici, alle caratteristiche e alla funzione degli esami di Stato al termine dei diversi cicli di istruzione. E l’elenco potrebbe allungarsi.

Magari questa discussione potrebbe avvalersi di una qualche valutazione (possibilmente non affidata allo stesso Invalsi) su che cosa in questi anni sia effettivamente cambiato nelle scuole in rapporto alla introduzione di rilevazioni esterne dei livelli di prestazione degli studenti. Anche per capire se, come, a quali condizioni le scuole utilizzano effettivamente queste rilevazioni in funzione di processi interni di autovalutazione.

Di che cosa parliamo

All’espandersi delle attività valutative della scuola e delle università si affianca un senso sempre più diffuso di incertezza, di insoddisfazione, di insofferenza, in larga misura generato dall’alone di tipo ideologico che intorno alla valutazione è stato costruito.
Non  sempre le critiche e le resistenze nei confronti delle attività valutative risultano giustificate, al contrario, a volte nascondono criteri e procedure di valutazione degli studenti certamente non migliori delle prove utilizzate nelle rilevazioni nazionali.
È per questo che è necessario riaprire un dibattito pubblico sulla valutazione in grado di coinvolgere decisori politici, scuole, università e comunità scientifica.

L'autore

Insegno Pedagogia sperimentale e Docimologia all’Università Roma Tre – Dipartimento di Scienze della formazione.
Sono stato ricercatore presso l’Invalsi e insegnante di Scuola secondaria di II grado. Mi occupo di valutazione dei sistemi di istruzione e delle scuole, con un interesse particolare per la valutazione delle competenze chiave e di cittadinanza.