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Cidi TorinoSì, cambiamo la scuola (davvero)!

28/03/2015

Per l’integrazione, contro la disintegrazione. Per la civiltà, contro la guerra

Ospitiamo questo contributo al dibattito e alla elaborazione,  che è pervenuto al Gruppo di coordinamento di "Sì, cambiamo la scuola (davvero)!" .

di Mariangela Colombo Ranzini

Premessa*
Comincerò   con  una  breve   annotazione  lessicale,  relativa  al titolo  di queste  note.  
La  ricerca  di un  titolo  è  sempre   un’impresa   molto difficile . Un  titolo   deve    “preannunciare”  il  contenuto del  testo ,   rendendo  esplicita  la  volontà  dello scrivente.
Mi  rendo conto che  l’enfasi  di questo mio titolo  rischia    di  farlo apparire   come  una  specie  di slogan,   come   una  sorta  di    “striscione”   da   esibire    in occasione  di una   marcia,   di una  manifestazione,   di  un  atto collettivo  di  protesta, di  contestazione,  o di solidarietà. 

Lo Stato  moderno:  crisi   di una  definizione
Si usa  definire lo  Stato attraverso tre elementi:   territorio,  popolo,  potere  sovrano.
Possiamo, oggi,  considerare   ancora  valida  questa  declinazione   di  “Stato”?   Evidentemente   sì,   se  ci   limitiamo  a   definire   l’essenza -   la  struttura  portante  -  di  un  qualsiasi  Stato  nazionale.
Ma  - a  fronte dei   due   fenomeni  della  globalizzazione  e    della   rivoluzione  scientifica e tecnologica  che  hanno       pervaso   gli  ultimi  decenni  del  XX° secolo  e   connotano  integralmente   l’inizio    di   questo      terzo  millennio  -  dobbiamo   pur  chiederci   fino a  qual punto    l’idea  tradizionale   di  Stato  nazionale  continui   ad  avere   prospettive   di  realizzazione  concreta  e  - soprattutto  -  di  sviluppo   efficace   e  produttivo.
La    crisi   del   “territorio” e  la  crisi   del  “popolo” (cioè  la crisi    della  loro  identità, così  come  tradizionalmente  intesa)  sta dentro      la diaspora  dei  migranti,  dentro  la  velocità di  spostamento  da un  luogo  all’altro ( non solo  per   mera  sopravvivenza,     ma anche    per  ragioni di mobilità professionale,  culturale   o  turistica), dentro  la  mondializzazione   delle  economie,      e  dentro  la diffusione   planetaria  (informatizzata mediatizzata)  dei dati e  delle  notizie,    realizzata  da   sistemi e strumenti   di  comunicazione variamente interconnessi e  in rapidissima  evoluzione.
Accade  allora   che   i flussi  transnazionali  di   merci,  di  capitali,  di persone,  di informazioni   rendano   anche  il  “potere  sovrano”  (terzo degli elementi    classici  di  definizione  di uno  Stato nazionale )  sempre  più  inadeguato  al  compito  di    “regolare”  l’esistenza   dei popoli all’interno  dei territori  in  cui  essi  vivono.
Accade  cioè  che  il   “potere  sovrano” finisca  per venire   eroso   da processi che  lo attraversano   e lo  pervadono dal  basso verso l’alto e viceversa:  nel primo caso,  dall’ascesa e dal consolidamento di poteri  “regionali” e “locali”;   nel secondo,  dalla   nascita   di forme  e strutture  di potere intergovernativo e sovranazionale,  fra  le quali   va  collocata -  ad  esempio  -    quell’ Unione  Europea  che     fu  pensata  da    grandi  combattenti  contro   il   nazifascismo, durante   la  seconda  guerra  mondiale e  -  al   termine di quest’ultima  -  da   illuminati   politici  di   ogni  convincimento  ideologico  e  di  ogni provenienza   nazionale. 

Chi sono e  con  chi  dialogano  gli  “attori”  della  nuova società civile?
 I  nuovi attori   non  sono  soltanto   le  grandi  imprese  multinazionali  ma   le associazioni professionali,  i soggetti  del cosiddetto  Terzo Settore,  le  Organizzazioni non-governative…  In altre  parole,  tutti  quei   “corpi intermedi”  con  cui   possiamo   entrare   quotidianamente  in contatto,   per  ragioni    lavorative ,  politico-sociali,  culturali…
Tutti  questi  “attori”  hanno ormai  orizzonti    tendenziali   di   carattere  globale, che   vanno ben  oltre   il  mero   dialogo  coi  Governi  nazionali ,   contribuendo a  creare    e a  sviluppare      una  società civile orientata    verso  la  nascita    di  un’opinione  pubblica  sovranazionale,  con  la quale    il  potere   legislativo e  quello esecutivo  nazionali     debbono      abituarsi a  fare  i conti. 

Le  grandi  domande
In  questo  mondo  globalizzato e interconnesso  possiamo    chiuderci  alle  culture  “altre” ed essere   indisponibili  alla ricerca  di nuove  categorie  interpretative e di nuovi linguaggi, di cui impossessarci per  comunicare pacificamente  ed  efficacemente?
Sappiamo  bene  che   il  compito  primario  di   ogni Stato   di  questo  nuovo mondo    globalizzato   e interconnesso è  quello di  garantire a tutti  i suoi  cittadini  quei  beni  pubblici  che   sono  la  ragion  d’essere  dello  Stato  stesso,    ossia  la  pace e la sicurezza,  lo  sviluppo  economico  e il lavoro,  la  salute,  l’istruzione, la coesione sociale,  la tutela dell’ambiente.
Tutti  questi  “beni”  sono  tra loro   strettamente   interconnessi. La   domanda  - dunque  - è:      quale  di   questi beni     può  essere adeguatamente    garantito,  in condizioni    di  “chiusura” o di innalzamento  di  “barriere”  nazionalistiche e  protezionistiche? Possiamo   ragionevolmente  pensare  che    -   a   difesa   di “confini “  che   la  globalizzazione  e  la   tecnologia  hanno  reso    “porosi”,  ibridando    le  comunità, mescolando le  etnie,  moltiplicando  le  lingue, le  credenze  religiose,   i  riti,  le  tradizioni -    debba  essere  ripristinato   l’uso   delle  armi? Quali  armi?    Prodotte  da  chi?    Vendute  da   chi? Nell’interesse  di  chi?  In  vista e  in funzione  di quale    obiettivo?

Multiculturalità e  multiculturalismo
E’  importante     rilevare     come    l’identica   radice  di questi  due  termini non    connoti    una loro  identità  semantica:   nel  primo  caso,    si   designa    un   fatto,  nel  secondo  un   orientamento  strategico..
La  logica  vorrebbe   che   il primo   termine     rappresentasse    la    “conseguenza “   del  secondo: Se, infatti,     la  nostra  realtà  quotidiana   appare   ormai  -  ovunque nel mondo    -   contrassegnata  dal  fenomeno   di   una   multiculturalità  diffusa,     l’approccio    alla   strategia    del   multiculturalismo    comporta    un insieme  di  scelte  consapevoli, che  sono  il  frutto  di   un   processo   di   impadronimento  di   conoscenze (o  saperi ) che  - lentamente,   minuziosamente,  puntualmente -  diventano  azioni.  Di  questo  processo  -   con  tutta evidenza - non è  responsabile  il  solo  potere  politico o  amministrativo,   ma  l’intera   comunità  di cittadini   che   coopera  alla gestione   quotidiana   del  fenomeno della  multiculturalità.
Ed  è  proprio  a  questo  punto  del nostro  ragionamento  che  cominciano ad affacciarsi   i  maggiori  problemi. 

Una  realtà  in  pericolo
Viviamo   giorni    di    grande   pericolo.   Assistiamo   -  in condizioni  di pressoché   totale  impotenza -  alla rinascita   proterva   e arrogante  di forme    di  xenofobia e razzismo,   che  si coagulano  in     inattesi  successi elettorali   di movimenti   nazionalisti e populisti,  che   arrivano  addirittura a     minacciare   l’assetto   democratico   di  interi  Paesi .
Come  una  metastasi,   il   male  dell’intolleranza,  del  pregiudizio,   della  ripulsa   di ogni   “diversità”  è tornato ad  assumere   le   sembianze    orrende    di  un  terrorismo  generalizzato,   “globalizzato”,   ingestibile,  davanti al quale    riemerge -  insieme    alla   paura   per  la propria    sopravvivenza   individuale  -  lo  spettro   (che  credevamo  sepolto)   della   Guerra   Totale,   intesa  come   scontro  definitivo  tra  civiltà.
Dove  si  annida  il  “gene”   che    sta ridando   vita a  questo   cancro?  Possiamo  combatterlo  - e   abbatterlo -   con  le  armi,  con  i   missili,  i  cannoni,  i  carri  armati,  le  bombe?  Con   le  rappresaglie    violente ,   che  -  insieme  al   male  -   eliminano  l’ammalato, il   colpevole, e -  accanto a  lui  -   l’innocente? Possiamo  rispondere  all’integralismo  dell’odio   e   della    morte,    con  l’integralismo    della     disperazione  e  della   paura? 

La    proposta   sta  in una  risposta “di  comunità”.
Va  subito  detto  che  non si tratta   affatto    di una  proposta  di facile realizzazione.. Anzi.
Essa  comporta un lungo   cammino ,  per  molti  versi,  ancora  da  “puntellare” su  robusti   principi ideali,  che  richiedono il concorso  delle  menti,  delle  volontà,  delle   capacità organizzative  e operative  di tutti i  cittadini. A  qualunque  livello   di   “responsabilità” appartengano.
Bisogna  essere  consapevoli    che  si tratta  di  un  panorama   inedito  nella storia  umana,  prodotto da   una   globalizzazione   che  ha  reso     sempre  più  multiculturali e    meticce  le  società, e  che  richiede  quindi  un  grande  sforzo   di  immaginazione  e innovazione  istituzionale. Tutti  noi  dobbiamo   assumere   questa  sfida ,  producendo  cambiamento,  trasformazione,   evoluzione,  grazie  alla  costruzione   di  alleanze   paritetiche  con  tutti gli attori  impegnati   in  questa  direzione . Dobbiamo,  insomma,   educarci  ed  educare  a  interiorizzare  il principio  che  -  insieme  al diritto   alla differenza -    esiste    il  diritto/dovere   alla convivenza

Come e dove nasce  una  comunità?
Tra   un   potere  politico e amministrativo   inattivo,  imbelle,   spesso  corrotto  e   corrompibile  e   un  popolo   costituito  da    individui   educati  alla  coltivazione     del  tornaconto  personale e     rapidamente   trasformatisi    in  minuscole  monadi,    sempre   più    affezionate    al    consumismo, all’arrivismo ,  al qualunquismo  che      fa -  del  cittadino  attivo -  il  suddito  sordo-cieco  e  acritico,   continua   a esistere  (talora  in condizioni     di   difficilissima  sopravvivenza )   una    luogo    privilegiato  perché     organico e  organizzato   istituzionalmente    allo   scopo  della  formazione  iniziale e continua  del   futuro  cittadino.
Questo  luogo  è  la  SCUOLA.
E’  nella  scuola   che    si   impara  (e  si  insegna) il    metodo  che     trasforma  il  suddito  in   cittadino,   che     muta    un’accozzaglia   di   “individui”   in  una   “comunità”  che  interiorizza      -  crescendo  -  le  regole   della     convivenza tra    le  differenze.
Il   “metodo”   (che   è  patrimonio  culturale e operativo    specifico   della  scuola )  è  tutt’altro  che  semplice. Esso  comporta     la  necessità   di      costruire    grandi  racconti   che  siano  in  grado    di  alimentare  l’immaginario,  i   sentimenti,    le   opinioni,  i   giudizi,  e  persino  i  pre-giudizi,   attraverso  l’inclusione e  il  dialogo    che    “argomenta”,  che   dà  conto  del  “perché “ delle  proprie prese  di posizione,   che      confrontadibatte  tra  i diversi  “perché”,    optando   infine    democraticamente    per  il    “perché”  che  -  anche   se  non    completamente  e  immediatamente   accettato  -   ha   comunque  innescato    un   meccanismo  di   messa  in  crisi  cognitiva e  metacognitiva  che    contribuisce   al  dinamismo  del  pensiero e  aiuta   ad  accrescere  il senso critico,  insieme   a  quel   senso  di  “responsabilità  personale”  che    ci     trasforma  in  membri  di una  comunità.

E’  questo   tipo  di   Scuola   (e  non  certo   la   scuola che  irreggimenta a    suon  di editti,  parole  d’ordine,  punizioni,  emarginazioni  o  subdoli   “premi” al  conformismo e  all’ubbidienza) il  luogo  della  ri-conquista  della   PACE universale  kantiana.
E’  la  Scuola   del   confronto  dialettico,  motivante  e    motivato,   che  genera  la  Democrazia. Chi  cresce  in  questa  Scuola,  impara – strada  facendo  -   che  “l’altro”  (il  “diverso  da  sé”)  è   una  fonte   di  conoscenza  e  non  un’occasione   di  sopraffazione  , di   violenza,  di  morte. E’   un   processo    lungo e difficile:   sarebbe   assurdo  (e   demagogico )  negarlo.
Ma   chi   ha   mai  detto che     il  “fare  scuola”   sia    un   mestiere   facile? 

Diciamolo  pure   tranquillamente:   la    nostra    scuola  (soprattutto   la  scuola  di questi  nostri,   difficilissimi   tempi)  è    il   luogo    della   più    complessa  -   ma  anche  della  più   esaltante -  delle  scommesse:    quella   di  contribuire  a costruire   -  con   l’arma del  pensiero   -    un   mondo  in  cui  le   guerre   con  le   armi   che     mutilano,  devastano e annientano   non   abbiano   mai  più  diritto  di  cittadinanza.  

 


*
Queste  note  che  seguono    sono  una    rielaborazione  e -  in  qualche  punto  -  un approfondimento  del contributo    da  me  fornito  in occasione   della  2.a  Conferenza   (anno  2011),  promossa   dal  Forum   piemontese delle  Associazioni,   sul  tema   del   Federalismo e dell’Autonomia  scolastica.  Quel  mio contributo si  ispirava  alle  pubblicazioni   del  prof.  Giampiero  Bordino  (membro   del  direttivo  del  Movimento  Federalista  Europeo),   il   cui  lavoro    di   docente  e ricercatore    si  orienta  -   da   anni  -   verso   l’obiettivo   dell’acquisizione   di  una  consapevolezza e  di una  maturità “civica”  che     porti    alla   trasformazione, sia     di  colui  che  insegna  sia di  colui che  apprende,  in partecipe,   attivo,   autentico  cittadino.

“Sì, allora cambiamo la scuola (davvero)”
Iniziativa promossa dal Cidi Torino per contribuire all’innovazione della scuola

Di che cosa parliamo


L’azione centrale di questa iniziativa pubblica è argomentare la nostra idea di scuola e costruire una campagna di ascolto, confronto e ulteriore approfondimento riuscendo a raggiungere tutti i soggetti del fare scuola.
Rimane forte l’idea di scuola come la più importante e significativa esperienza pubblica dell’infanzia e dell’adolescenza, necessaria per tutti e finalizzata alla costruzione degli strumenti culturali per affrontare gli ostacoli e le opportunità della vita adulta.
La proposta si basa sulla convinzione che:
a. è necessario cambiare la scuola perché c’è un divario tra il compito a cui è chiamata e la sua capacità di svolgerlo,
b. il cambiamento presuppone la convergenza delle azioni di politica scolastica con le azioni di innovazione del fare scuola quotidiano,
c. nelle scuole esistono le potenzialità per avviare e diffondere l’innovazione.

Chi siamo


Siamo il Cidi Torino 

Il “pubblico” nella sua accezione più autentica è il costituirsi di quell’arena simbolica, mediata dalla cultura, in cui prende forma l’autonomia individuale, in cui ha inizio quella particolare prassi sociale che è l’esercizio dei diritti: diritto di conoscere, di scegliere, di orientarsi, di agire.
(
Gianna Di Caro)


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