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Cidi TorinoSì, cambiamo la scuola (davvero)!

16/05/2015

La scuola cambia, come?

Ospitiamo questo contributo al dibattito e alla elaborazione di Maria Luisa Masturzo, pervenuto al Gruppo di coordinamento di "Sì, cambiamo la scuola (davvero)!" .

di Maria Luisa Masturzo

Prima di entrare nel merito di alcuni aspetti del disegno di legge proposto dal governo per la riforma della Scuola, desidero proporre una breve considerazione generale: alcuni degli emendamenti presentati in Commissione vanno nella direzione di ripristinare quanto già esisteva, un esempio, la centralità e le funzioni del Collegio Docenti! Questo dovrebbe fare riflettere sul senso, sul metodo di  questa  operazione  e su quali reali miglioramenti essa porti davvero. 

Le assunzioni
Dopo anni di guasti l’attuale governo si è detto disponibile ad affrontare uno dei problemi che ha massacrato la scuola: il precariato che è il risultato dell’incapacità dei passati governi di programmare e gestire le assunzioni sulla base dei reali fabbisogni delle scuole.
Quindi, per quanto concerne l’assunzione dei docenti, ora il governo si propone di immettere in ruolo persone che vi lavorano da anni, questo si chiama finalmente razionalizzare, ma, senza entrare nei tecnicismi del problema, il buon senso mi dice di auspicare che vengano assunti docenti in base al vero fabbisogno delle scuole, il che significa rispettare il progetto educativo che le medesime si sono date prima e non dopo, in base alle assunzioni.

L’autonomia e il salario aggiuntivo
E’ certamente tempo di valorizzarla, di renderla operante e questo per prima cosa significa metter risorse sul fondo di istituto. Se parliamo di organico dell'autonomia, non può essere di rete, deve essere di scuola; chiediamoci banalmente a quanti e a quali collegi docenti un insegnante sull’organico di rete dovrebbe appartenere?
E sempre sull’organico, tutti gli insegnanti devono essere uguali, per cui non parliamo di organico aggiuntivo, ma di scuola ed esso deve esser costruito sul numero effettivo degli allievi, non delle classi per evitare le  famose “classi pollaio”.
Inoltre, per quanto concerne le supplenze brevi, esse possono essere effettuate dall’organico dell’autonomia, ma devono essere davvero “brevi”, per non inficiare il progetto educativo.
E ancora sull’autonomia, rendiamo le scuole in grado di retribuire le figure di sistema che già vi operano, mi riferisco, alle figure obiettivo di buona memoria, responsabili di dipartimenti, di laboratori, biblioteca, dell’orientamento, ed altro,  questo è il salario aggiuntivo dei docenti che deve esserci nella scuola, legato a concreti e verificabili impegni aggiuntivi degli insegnanti, quelli che sono scelti e votati dai collegi , per  competenze e disponibilità, in coerenza con l’ offerta formativa delle singole scuole. 

Sul salario aggiuntivo vorrei porre una domanda provocatoria: "Siamo certi che se io ti pago di più tu lavorerai di più e meglio, o le motivazioni vanno cercate altrove?”   E’ sulle risorse del fondo di istituto che si deve puntare per sostenere l’autonomia, risorse che oggi sono scarse, perché quindi erogare 500 euro ai singoli docenti e non alle scuole per finanziare la ricerca, le sperimentazioni, la valutazione dei risultati del proprio lavoro? Questo sarebbe già un buon inizio.  
Inoltre la scuola dell’autonomia opera in un territorio, il territorio è una risorsa per le scuole e viceversa. E’ importante rilanciare iniziative condivise tra i vari soggetti per la costruzione di Patti formativi territoriali.

Il ruolo del dirigente
Esso va valorizzato,  non aumentandone il potere, ma rafforzandone il ruolo di coordinatore e garante di quanto elaborato e votato dagli organi  di governo della scuola, primo tra i pari, mi viene da dire.
Il dirigente ha il compito alto di tenere insieme professionalità varie, strumenti, risorse, relazioni, con lo scopo di rimuovere per i nostri  allievi  che sono per prima cosa  dei cittadini,  ” …. gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitandone di fatto la libertà e la eguaglianza….”,  come dice l’articolo 3 della nostra Costituzione, non quello di decidere da solo ed eventualmente premiare quelli che ritiene i migliori.
Nessuno nega al dirigente di scegliere chi è chiamato ad una diretta collaborazione, ma si può chiedere ad un dirigente scolastico che magari è un ingegnere civile di valutare la prestazione professionale di un insegnante di filosofia?
La scuola è una comunità, le scuole che hanno funzionato e funzionano bene nel tempo, lo devono proprio ad una loro grande collegialità, ad una forte cooperazione fra i tanti che vi operano e vi vivono, dirigenti, insegnanti, allievi, personale amministrativo, personale ATA, famiglie, che sono centrali e senza il cui aiuto non si va lontano e che devono essere ascoltate, curate, accolte come i nostri allievi.

La formazione in servizio dei docenti
Diciamo innanzitutto che essa deve essere riflessiva, non individualistica e non proposta come un elemento di competizione con gli altri insegnanti.
Il decreto la rende obbligatoria: benissimo, allora deve essere una formazione alta, coerente con il progetto che ogni scuola si è data e con le competenze e le scelte dei docenti e deve avere una ricaduta didattica  verificabile sulla scuola di appartenenza.
Inoltre nella formulazione dei progetti di formazione devono essere ascoltate e coinvolte le Associazioni degli insegnanti che hanno sempre garantito una alta qualità della formazione.

Restano ancora molte tematiche da approfondire: la valutazione dei presidi, dei docenti, degli allievi, dei quali ritengo assurda, nella scuola di base la valutazione in decimi, in quanto non coerente con una Scuola delle competenze e questo potrebbe essere un cambiamento importante, davvero!

Io penso che dei mutamenti nella Scuola siano necessari, ma essi devono partire dall’analizzare le esperienze migliori che nella Scuola esistono, come si fece con l’introduzione del Tempo Pieno; allora cambiamola, perché essa non diventi uno sbiadito ricordo come in un disperante racconto di Asimof in cui una bambina seduta davanti ad uno schermo buio scrope la Scuola del passato e dice: “ Chissà come si divertivano quando gli insegnanti erano persone!”

Allora, cambiamo la scuola! Cambiamola con tutti coloro nella Scuola pubblica della Costituzione credono, lavorano,  hanno lavorato dedicandole tempo e passione.  

“Sì, allora cambiamo la scuola (davvero)”
Iniziativa promossa dal Cidi Torino per contribuire all’innovazione della scuola

Di che cosa parliamo


L’azione centrale di questa iniziativa pubblica è argomentare la nostra idea di scuola e costruire una campagna di ascolto, confronto e ulteriore approfondimento riuscendo a raggiungere tutti i soggetti del fare scuola.
Rimane forte l’idea di scuola come la più importante e significativa esperienza pubblica dell’infanzia e dell’adolescenza, necessaria per tutti e finalizzata alla costruzione degli strumenti culturali per affrontare gli ostacoli e le opportunità della vita adulta.
La proposta si basa sulla convinzione che:
a. è necessario cambiare la scuola perché c’è un divario tra il compito a cui è chiamata e la sua capacità di svolgerlo,
b. il cambiamento presuppone la convergenza delle azioni di politica scolastica con le azioni di innovazione del fare scuola quotidiano,
c. nelle scuole esistono le potenzialità per avviare e diffondere l’innovazione.

Chi siamo


Siamo il Cidi Torino 

Il “pubblico” nella sua accezione più autentica è il costituirsi di quell’arena simbolica, mediata dalla cultura, in cui prende forma l’autonomia individuale, in cui ha inizio quella particolare prassi sociale che è l’esercizio dei diritti: diritto di conoscere, di scegliere, di orientarsi, di agire.
(
Gianna Di Caro)


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