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a cura di insegnareRipensare la scuola

16/10/2016

La formazione dei docenti al tempo del bonus

Spunti di discussione a cura di Valentina Chinnici 

Sintesi della sessione a cura di M. Gloria Calì 

Un intervento di Massimo Baldacci 

Contributi di "insegnare" sul tema 

 


Spunti di discussione a cura di Valentina Chinnici

Premessa. Quale docente vogliamo?
Per parlare di formazione dobbiamo avere chiara l’idea del docente che abbiamo in mente, considerata anche la complessità, nel senso della “multidimensionalità”, del profilo del docente di oggi. Alcune domande sono quindi fondamentali e restano sottese a qualsiasi ragionamento sulla formazione.
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Quale docente dobbiamo formare e come? Qual è il nostro tipo ideale di docente? Possono coesistere figure diverse e diversamente formate? Il docente resta comunque e prima di tutto un “artigiano” e un “professionista” della didattica.

La formazione iniziale
Distinguiamo allora tra formazione iniziale e formazione in servizio. Da sempre in Italia la formazione in servizio deve supplire a una formazione iniziale deficitaria. Generazioni di insegnanti italiani si sono formate direttamente “sulla pelle degli alunni”, spesso catapultati in classe con la semplice laurea in tasca e nessuna idea di scuola (è il caso della sottoscritta e di tutta la generazione degli attuali 40-50enni che vinsero il concorso del 1999). Chiediamo:

- Formazione iniziale: passato e presente. Dalle SISS al TFA: un bilancio in perdita? 
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Si potrebbe pensare a una formazione diversificata? Il docente del liceo classico può essere formato diversamente dal docente della scuola media “a rischio”?
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L’anno di prova dei neoimmessi in ruolo (col relativo portfolio delle competenze). Si può tracciare un primo bilancio.
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Le prospettive della legge delega.

La formazione in servizio
Nel contratto si parla di diritto-dovere, nella L.107 comma 124 si parla invece di obbligo, ma manca ancora il DM. La domande sono:

​- Per le associazioni professionali l’obbligo è una conquista, ma rischia di trasformarsi in boomerang. Si può attuare in modo “indolore” il passaggio da diritto-dovere a obbligo?
​Uno
spunto di riflessione: "La contestualità del sapere per la  formazione docenti discende da una distinzione essenziale tra aggiornamento e formazione. Mentre l’aggiornamento può imboccare sentieri individuali, che hanno a che fare con la legittima necessità del singolo di rivedere i propri contenuti disciplinari, la formazione non può che riguardare il corpo professionale all’interno di un progetto che assume il contesto quale terreno di intervento formativo. L’insegnante resta un professionista in un progetto, non un viandante dell’aggiornamento che si abbevera a questa o quella fonte in base ai suoi interessi personali". (M. Muraglia)

Ma i docenti hanno davvero chiara la distinzione tra aggiornamento e formazione? Il miliardo di euro investito in bonus non alimenta la visione solipsistica e competitiva dell’autoformazione del singolo a discapito della crescita della comunità professionale?

Ruolo degli attori: università, scuola, associazioni, reti di scuole.
​- Quale sistema sembra profilarsi e quale sarebbe auspicabile?  Quale rapporto “virtuoso” è possibile fra università e scuola? Possiamo immaginare dei correttivi che ci aiutino a riequilibrare il rapporto Università-scuola nell’ambito della formazione.


A proposito del ruolo delle Reti di scuole, che si profilano ormai come lo snodo fondamentale  per organizzare la formazione, scrive in questi giorni l’ispettore Maviglia: "Vi è il rischio che la rete diventi una sorta di sovrastruttura burocratica, lontana dai bisogni formativi dei docenti e non in grado di venire incontro alle esigenze di formazione che trovano espressione all’interno delle singole istituzioni scolastiche. (…) Se la formazione diventa appannaggio della rete temiamo che i bisogni formativi più immediati (ma non per questi meno significativi e importanti) espressi dai docenti nelle singole istituzioni scolastiche rischiano di non essere riconosciuti. Insomma vi è una dimensione formativa che è specifica e peculiare di ogni singola istituzione scolastica e non può essere misconosciuta o coartata, perché è all’interno dell’istituto che si creano dinamiche, procedure, relazioni e strategie didattiche che possono favorire o impedire i processi di apprendimento".
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Siete d’accordo o vi sembra un allarme poco condivisibile

Il ruolo della pedagogia e quello del legislatore
Esiste ancora una dialettica feconda, o ormai il legislatore dispone e la pedagogia, quando può, muove qualche critica?

Come si domanda E. Annaloro: "Quale ruolo può avere ancora la pedagogia nel delineare i nuovi contorni del paradigma formativo italiano? Si è rotta l'alleanza tra pedagogia istituente, realtà delle scuole, livello politico? Oppure il sistema scolastico italiano è ormai formato da livelli che non comunicano più tra loro?", è possibile superare l’antico conflitto fra “disciplinaristi” e “pedagogisti”, che ha tanto nuociuto alla formazione iniziale?

Lo stato dell’arte. Il piano MIUR
Molti promuovono il Piano, altri ne sottolineano rigidità e rischi. E voi, quali impressioni avete ricavato dalla presentazione del Piano per la formazione?

Fin dalle prime pagine compare il paradigma del capitale umano, che si inquadra, come ci ricorda Baldacci, nella “meta-cornice del neoliberismo” (cfr. Massimo Baldacci, Per un’idea di scuola, p.55).

È ancora praticabile un’idea di scuola diversa, che assuma per esempio il paradigma dello sviluppo umano? (vd. ancora Baldacci, cit., pp. 57 ss.) Oppure ormai il mondo della scuola ha assunto la visione aziendalistica e neoliberista come un male necessario? E, per inciso, il patto di fiducia tra dirigenza e docenti è ancora salvabile? O lo iato è ormai insanabile?


 

Sintesi della sessione a cura di M. Gloria Calì

Coordina Valentina Chinnici
Discussant: Carlo Fiorentini e Massimo Baldacci

Valentina Chinnici avvia la discussione mettendo a fuoco uno snodo fondamentale della riflessione sulla formazione dei docenti: il modello di formazione va costruito su un’”idea” di docente, che, a sua volta, fa parte di una certa “idea” di scuola; il riferimento al saggio di Massimo Baldacci dal titolo “Per un’idea di scuola” (Franco Angeli, 2014) è immediato e spontaneo.  Si evidenziano subito alcune contraddizioni in atto nel panorama attuale della formazione dei docenti, in cui si è passati da una situazione di “diritto/dovere”, come indicato nel Contratto nazionale, ad un obbligo, secondo il comma 124 della Legge 107. Per tale processo di formazione non è stato ancora emanato il decreto, ma c’è già un piano nazionale, come, del resto, è stato evidenziato già da caterina Caterina Gammaldi sulla rivista. I docenti devono organizzare tempo e risorse per assolvere ad un obbligo, la cui incombenza rischia di sbilanciare le scelte degli insegnanti più sulle “mode” didattiche e pedagogiche che sulle loro reali necessità formative. 

Anche Carlo Fiorentini, primo dei due discussant, evidenzia alcuni degli assunti generici sulla formazione docente, e, indirettamente, sull’idea di docente che si vuole costruire: la formazione per il curricolo, il processo di studio e ricerca, il ruolo del dirigente nella gestione della formazione nella scuola, ecc. Nella realtà, le dichiarazioni di principio, anche quelle più ampiamente condivise, non si sono sviluppate in azioni concrete coerenti con esse. Le esperienze positive ci sono state, certamente, negli ultimi anni, ma hanno avuto carattere episodico, non di sistema.
Fiorentini, infine, a partire dall’iniziale questione posta da Chinnici sul modello di docente su cui costruire una formazione, risponde che ogni considerazione va fatta sulla base di una scelta di fondo per una scuola di tutti, a scapito di una scuola selettiva e della considerazione che il compito istituzionale e costituzionale della scuola è dare competenze di cittadinanza a tutti;  precisazione forse non necessaria ma comunque ribadita con forza è stata quella per cui queste non vanno intese come “non-culturali”. 

Interviene Massimo Baldacci via Skype, il quale tiene la prima parte del suo intervento sulla formazione iniziale. Passando poi al tema più generale, egli evidenzia, riprendendo ancora una volta la questione del profilo del docente, le caratteristiche di una “offerta formativa” alta; ad essa corrisponde una complessità di aspetti fatta essenzialmente di tre requisitii: la didattica, la metodologia, la relazione; dall’integrazione equilibrata di queste tre dinamiche, si fonda la competenza del docente, che, però, si affina e si verifica lavorando in classe.
Baldacci richiama lo schema di J. Dewey, relativo all’opposizione tra apprendimento meccanico, cioè la riproduzione rigida di procedure e metodi, e apprendimento intelligente, cioè creativo oltre tali rigidità; tale schema può essere trasferito al docente, che attua un “insegnamento meccanico” quando ripete rigide abitudini professionali, contro un “insegnamento intelligente” che supera i metodi. Per la natura stessa della professione, sempre diversa e sempre varia in rapporto all’oggetto e ai destinatari, conclude Baldacci, ogni docente dovrebbe formarsi una competenza metacognitiva che stia in posizione sovraordinata rispetto a tutte le altre, una sorta di cabina mentale di regia delle azioni didattiche. Tale competenza integra un atteggiamento riflessivo e una propensione investigativa, che consenta di mettere in atto processi in cui porsi domande, affrontare problemi, assumere un assetto di ricerca-azione. 

Dal pubblico interviene chi scrive, per esprimere la considerazione secondo cui la formazione dovrebbe essere strutturata in modo da trasformare le scuole in comunità professionali; la scuola, allo stato attuale, talvolta è una “comunità”, le leggi tendono a trasformarla secondo parametri aziendali, mentre sarebbe necessaria forse una formazione che ne faccia una “comunità professionale”, con obiettivi comuni, scambi e un comune approccio a fare ricerca didattica. Questo sistema, che certamente non è agevolato dal bonus premiale, è l’unico che consentirebbe di “fare” il curricolo, per usare un’espressione usata da Baldacci in base alle reali esigenze culturali ed educative della scuola.  

Interviene di seguito una Dirigente Scolastica di Foggia, che sostiene l’importanza delle reti di scuola, anche per la formazione: in questo assetto, alle singole scuole è alleggerito il carico burocratico, e si possono condividere i bisogni. 

Caterina Gammaldi esprime una posizione  diversa, evidenziando come la costituzione delle reti, così come l’apertura di un piattaforma ministeriale a cui attingere formazione, abbia in sé il rischio di un’eccessiva centralizzazione delle esigenze; l’insegnante ha un profilo complesso, che si definisce solo all’interno della comunità professionale, non in forma isolata.

A seguire, il presidente del CIDI Napoli, Antonio Maiorano, DS, sottolinea che il piano di formazione delle scuole dovrebbe conciliare i bisogni formativi reali della scuola con l’obbligatorietà ministeriale. 

A questo proposito, ritorna Chinnici sul piano di formazione, nel quale si manifesta apertura, apparentemente, a tutti gli ambiti tematici e metodologici, mentre poi il digitale e l’inclusione sono presentati come “irrinunciabili”. Lei sottolinea come questi due aspetti della didattica sono importantissimi, ma sono strumenti, non finalità.

Fiorentini rafforza questa lettura delle contraddizioni del documento, riconoscendo nel piano affermazioni di grande importanza, contraddette dalle indicazioni attuative, che finiscono per delineare, secondo lui, un modello di formazione frantumato.

In vista della conclusione, Baldacci ricorda che il docente italiano deve ancora fare i conti con il paradigma gentiliano, per cui “chi sa, sa insegnare”; forti di questo presupposto, talmente radicato da essere inconsapevole, i docenti spesso hanno un rapporto sbagliato con il proprio lavoro e, in esso, con la propria disciplina. Il cambiamento di prospettiva non si fa certo per decreto, conclude Baldacci.  


 

Un intervento di Massimo Baldacci

Questo intervento, elaborato in occasione del Convegno nazionale di Foggia, è stato pubblicato da insegnare, nel mese di dicembre 2016, nella sezione "scuola e cittadinanza".

Circa la preparazione del docente per la scuola secondaria si sconta l’assenza storica di una soluzione organica, che soltanto con le Ssis aveva visto una almeno parziale realizzazione. Un problema, questo, che permane anche rispetto al nuovo sistema messo a punto dal Governo Renzi.

In questo intervento compiremo una rapida valutazione di tale sistema. A questo scopo, partiremo da un modello di formazione caratterizzato da due idee fondamentali:  un’idea complessa della professionalità docente; un’idea di curricolo integrato.

L’idea complessa della professionalità docente è legata al superamento di unilateralità inerenti al profilo dell’insegnante: ora esperto di contenuti ora di metodi didattici, ora depositario dell’istruzione ora educatore. Il mestiere d’insegnare richiede una pluralità di competenze: culturali (relative ai saperi disciplinari); didattiche (inerenti alle metodologie d’insegnamento); relazionali (concernenti in rapporto con gli alunni); organizzative (relative alla gestione degli ambienti della formazione). Ma l’idea che caratterizza questa prospettiva non è solo legata alla pluralità delle dimensioni della professionalità, ma anche alla convergenza sul concetto della “competenza” come costrutto in grado di esprimere la forma specifica di tale professionalità. Questo approdo teorico ha, però, precisi riflessi pratici: formare competenze non è la stessa cosa che impartire conoscenze.

Si è, inoltre, compreso che la complessità della professionalità docente non è dovuta solo alla molteplicità delle dimensioni di competenza che implica, ma anche al fatto che tali dimensioni si devono intrecciare e fondere nel contesto delle pratiche scolastiche. Da qui la seconda idea, quella del curricolo integrato.

L’idea di un curricolo integrato è invece basata sulla connessione di corsi, laboratori e tirocinio secondo un circolo tra teoria e prassi. Questi diversi dispositivi formativi non devono essere posti in una sequenza lineare (che parte dai corsi teorici per arrivare poi al tirocinio), ma si devono intrecciare variamente.

Giunti a questo punto, occorre domandarsi se il nuovo sistema di formazione va nella direzione indicata.
La soluzione formulata dal Governo Renzi per la formazione dei docenti prevede un concorso per l’assunzione dopo la Laurea magistrale disciplinare (nel corso della quale si acquisiscono anche 24 crediti formativi sulle scienze dell’educazione), seguito (per coloro che vengono assunti) da un triennio di formazione, di cui il primo anno rappresenta una sorta di corso universitario per l’insegnamento (più o meno come il recente Tfa), mentre il successivo biennio è dedicato al tirocinio sul campo che, se prestato in modo adeguato, permette la successiva assunzione “definitiva”.

Una valutazione analitica di questo sistema richiederebbe molto spazio, perciò ci limitiamo a poche considerazioni.
Come si è visto, il concetto di “competenza” costituisce il fulcro della dimensione professionale. Ma formare competenze, non è la stessa cosa che impartire conoscenze. Si tratta di apprendimenti di livello logico differente, e come tali legati a ordini temporali diversi: l’acquisizione di una competenza richiede un tempo molto più esteso rispetto all’apprendimento di conoscenze. Un tempo che non viene assicurato dal primo anno del triennio post-concorsuale (così come non è stato assicurato dai recenti Tfa, per di più compressi in pochi mesi di attività effettiva). Pertanto, l’anno di formazione universitaria rischia di esaurirsi in un’acquisizione di conoscenze relative alle scienze dell’educazione, senza dare luogo a vere competenze (e i crediti anticipati nella Laurea magistrale disciplinare, benché opportuni, non modificano la sostanza della questione).

Inoltre, lo spostamento del tirocinio nel biennio a valle del primo anno di formazione è contrario alla logica dell’integrazione, necessaria per fondere i diversi apprendimenti parziali in una competenza professionale. La soluzione adottata ripristina, di fatto, una logica sequenziale che separa la teoria dalla pratica, invece di tenerle unite e farle interagire il più strettamente possibile. In questo modo, non solo non si formeranno vere competenze, ma anche le conoscenze acquisite saranno debolmente integrate tra loro e prive d’ingranamento con la prassi. Così, tali conoscenze rischieranno di subire quel fenomeno d’incapsulamento di cui si è detto, che non permette di trasformarle in veri strumenti di lavoro. In altre parole, questo sistema rischia di produrre un insegnante equipaggiato soltanto di conoscenze mal integrate e scarsamente utili nella prassi.

Restando nella cornice del raccordo concepito dal Governo tra formazione e reclutamento, per ottenere un sistema razionale si sarebbe dovuto dedicare alla formazione universitaria il primo biennio del triennio post-concorsuale, ripristinando il modello integrato: corsi, laboratori e tirocinio (diretto e indiretto) che s’intrecciano fin dal primo anno.

Nel quadro del sistema varato, l’unica misura che potrebbe diminuire i rischi descritti è quella di prevedere nel biennio conclusivo del triennio post-concorsuale elevate dosi di tirocinio indiretto, concepito secondo modalità progettuali e riflessive, ossia dando ampio spazio alla progettazione degli interventi didattici e all’attenta riflessione sui loro esiti. Ma non si sa se all’atto pratico sarà possibile realizzare qualcosa del genere. Gli aspiranti insegnanti potrebbero essere assorbiti in una girandola di supplenze. Ma queste ultime, per la loro imprevedibilità, non rendono possibile una logica progettuale, e abituano invece a uno stile di lavoro basato sull’estemporaneità e l’improvvisazione. E sviluppare nell’insegnante la tendenza a improvvisare, anziché a progettare, non contribuisce certamente alla qualità dei processi formativi.
 

 

Contributi di "insegnare" sul tema

Caterina Gammaldi, Sul "Piano di formazione" presentato dal MIUR, ottobre 2016

Luigi Tremoloso, La formazione degli insegnanti, febbraio 2016

A proposito della formazione iniziale, a cura del Gruppo di lavoro "Formazione iniziale", gennaio 2016

Luigia Amoroso, L'unica strada percorribile, marzo 2015

Rosalia Gambatesa, L'Università e la formazione iniziale, maggio 2014

 

 

 

 

 

Presentazione, sintesi e materiali dei lavori del Convegno Nazionale del Cidi - Foggia 21/22 ottobre 2016

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