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editoriali

10/04/2016

Come fai sbagli

di Mario Ambel

L’insegnante non è uno che insegna, ma molti che insieme creano le condizioni perché gli allievi apprendano. La specificità del loro lavoro è relazionale, collegiale, pluridisciplinare, plurilingue. Fino a quando l’istituzione scolastica (in tutte le sue componenti) e la società che sta fuori dalla scuola non modificheranno radicalmente la loro visione della scuola e del ruolo dei docenti, ogni innovazione reale sarà impossibile e di conseguenza ogni tentativo di valutazione del sistema e dei suoi attori sarà ideologico e nocivo.

Per questo le proposte contenute nella legge 107 sono solo pannicelli demagogici per tacitare richieste dell’Unione Europea che meriterebbero un’altra intelligenza politica  e pressioni da parte degli utenti suscettibili di risposte  meno strumentali. Per questo anche l’esito che potrebbe uscire  dal referendum abrogativo di cui si discute in questi mesi è certamente meglio del ridicolo triumvirato di valutazione con funzione consultiva previsto dalla “Buona scuola”, ma non esce tuttavia dalle contraddizioni che vuole sconfiggere, riassegnando ai soli docenti una pseudo valutazione che, nelle attuali condizioni, è un’ inutile (e un po’ ipocrita) finzione.

Fino a quando si continuerà a considerare l’insegnamento una professione prevalentemente, se non esclusivamente, individuale, ogni proposta relativa a chi debba decidere i criteri per una sua valutazione sarà sbagliata e pericolosa. 
Se assegnati ai soli docenti, i criteri saranno autoreferenziali e corporativi; se al dirigente scolastico, dirigistici; se all’amministrazione, autoritari; se agli utenti-clienti, strumentali; se ad altri stakeholder, variamente servili… Insomma, si rassegni il Ministero: dentro questa idea e questa pratica di scuola… Come fai sbagli, poiché si cambia solo la patologia ideologica di riferimento.

L’insegnamento è (o dovrebbe essere) una attività professionale soprattutto cooperativa, che realizza un progetto educativo condiviso e ne assume collegialmente la responsabilità. In quest’ottica, diciamo da comunità educante di professionisti riflessivi (e non da accozzaglia di monadi autonome e tra loro competitive),  la valutazione dell’efficacia del progetto educativo e dei suoi risultati è inevitabilmente un’attività cui devono concorrere soggetti e momenti diversi con responsabilità, compiti e metodologie diversificate ma convergenti verso l’unico scopo di migliorare i processi in atto e i loro esiti.

Alcune ipotesi in tal senso sono presenti nelle norme sul Sistema Nazionale di Valutazione, ma troppo scarne sulla responsabilità collegiale della comunità educante e soprattutto vanificate e subissate da altre (insane) pulsioni: meritocratiche, competitive, demagogiche, individualistiche e conflittuali, che animano oggi parte dell’opinione pubblica, dànno forma a ideologie politiche, seducono componenti della stessa istituzione (i dirigenti scolastici organizzati in alcune delle loro associazioni di categoria, per esempio). E di fatto contribuiscono a rovinare la scuola, come di fatto è accaduto per tutte le scelte compiute attorno alle problematiche della valutazione negli ultimi dieci anni. In ottusa e pervicace coerenza con una idea di scuola che è tutto meno che "buona"!
Giusto abrogare, quindi: certamente il più possibile della Legge 107, ma anche l’idea perversa e anacronistica di scuola che la anima. Altrimenti, tolta la 107,  ci ritroveremmo con i mali di sempre.

Credits


Immagine a lato: Jan van Steen (1626-1679), Scuola di paese.

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".

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