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editoriali

02/07/2015

Una riforma contro la scuola

di Mario Ambel

E' stata definitivamente approvata anche alla Camera la serie di provvedimenti  denominata "Buona scuola", che la scuola reale ha provato a contrastare e fermare in tutti i modi possibili.
 Riportiamo ancora, anche se ormai sembra quasi a futura memoria, il documento congiunto "Far vincere la scuola", che è stato redatto da 32 fra associazioni e sindacati della scuola e che conteneva una serie di controproposte al Governo per fermare il Ddl e riaprire il confronto.
Analogamente, possiamo ricordare il recente "Appello del mondo accademico" contro il Ddl.

Ma, per ora, è finita come doveva finire. Il Governo, sensibile più ai richiami della componente meritocratica dell’opinione pubblica che alla voce della scuola ha fatto da tempo la sua scelta: stabilizzazione di una parte del precariato (che impropriamente viene definita “assunzioni”) in cambio della riduzione del potere contrattuale in un pezzo nevralgico del pubblico impiego e  brandelli di meritocrazia e decisionismo, per altro più demagogicamente dichiarati che convintamente agiti.

I provvedimenti di questo governo portano a sintesi, la peggiore possibile, almeno dal punto di vista della scuola, vent’anni di politiche regressive e restauratrici sulla scuola, avviate con il tradimento dell’autonomia della responsabilità e della cooperazione, i tagli sistematici di risorse e di condizioni decenti di lavoro, la beffa dell’innalzamento dell’obbligo nell’apprendistato, l’uso strumentale e maniacale di una malintesa e peggio praticata valutazione a tutti i livelli per giungere ora a questa visione tutta organizzativa, funzionalista, falsamente efficientista dei contesti educativi e delle relazioni umane e professionali che li animano. Quanto ai contenuti e ai processi educativi, si sono registrati solo risibili interventi a sostegno del “brand Italy" e parole al vento, oltre alla totale ignoranza delle vere priorità di cui avrebbe bisogno la scuola e delle problematicità in cui si dibatte.

Il tutto orientato e sostenuto dall’ampliamento e dalla strumentalizzazione di una verità molto parziale, alimentata ad arte da non pochi commentatori e in genere da tutto lo schieramento dei media: quella della inamovibilità della scuola e del rifiuto sistematico dei docenti e della scuola ad essere giudicati. Spiace che anche alcuni analisti attenti e autorevoli abbiano in parte o del tutto accettato questo schema interpretativo. Ma su questo torneremo, se ci sarà ancora spazio e utilità di un qualche dialogo serio e non demagogico sulla scuola e con la scuola.

Chi vive e lavora dentro la scuola e crede alla necessità di cambiarla e migliorarla davvero constata il trionfo finale della schizofrenia istituzionale di questi anni: a fronte di squilibri profondi, della crisi della vivibilità quotidiana di una parte della scuola e di alcuni risultati certamente insoddisfacenti, da un lato si è risposto con “indicazioni” programmatiche e discorsi pedagogici anche innovativi che proseguono il discorso educativo avviato fin dai programmi della scuola media del ’79 (tranne che sulla valutazione, guarda caso) e che richiederebbero un livello adeguato e alto di professionalità e ben altre condizioni strutturali, ma dall’altro si sono impoverite le risorse, inquinate le istanze ideali e rese spesso ingestibili le relazioni interne rendendo quelle indicazioni sempre meno praticabili. È una contraddizione che spesso rende impotenti le buone intenzioni. E persino un poco ipocrite le raccomandazioni di chi, dall’alto, continua a diffonderle fingendo di ignorare che non ci sono più le condizioni per realizzarle.

E' ciò che sta avvenendo anche a proposito del RAV o della certificazione delle competenze: operazioni che avrebbero senso (e ne andrebbero comunque ridiscusse alcune gravi approssimazioni) in un contesto completamente diverso, ma che, nella prospettiva delineata dal Ddl, rischiano solo di essere una colossale presa in giro.

Lo stesso vale per le prove Invalsi: per certi versi spiace che siano finite nel mezzo dello scontro sulla "Buona scuola", perché del ruolo dell'Invalsi bisognerebbe poter ragionare senza forzature, ma è anche venuto il tempo di porre con maggiore chiarezza e coerenza il problema di quale idea di scuola quelle prove intendono servire o a quali strumentalizzazioni rischiano di essere asservite. Di fronte alle forzature del Governo, l'alibi "tecnico" -  per le prove Invalsi come per il RAV - non è più sufficiente, come non è più sostenibile la contraddizione fra un istituto che giustamente rivendica la natura e i confini del proprio intervento e governi che brandiscono criteri di valutazione in perenne oscillazione fra l'improvvisazione e l'inadeguatezza; o la contraddizione tutta interna a un'amministrazione che chiede di certificare competenze ma non ha il coraggio culturale e la dignità teorica di abolire i voti su scala decimale.

Sarà una pessima scuola quella che uscirà da questo provvedimento. Più incerta, confusa, litigiosa, pressappochista, inconcludente, in preda a parole d’ordine alcune di scarsa attendibilità e altre palesemente pericolose, soprattutto in un contesto educativo. Forse più simile alla società esterna cui si vuole sempre più costringerla ad assomigliare…

Sicuramente la scuola ha molte lacune e responsabilità e certamente le condizioni di vita e di lavoro in molte scuole sono peggiorate in questi anni, spesso la scuola non ottiene risultati soddisfacenti, alcuni docenti e dirigenti assumono atteggiamenti non più difendibili e soprattutto inadeguati a risolvere davvero i problemi della scuola, ma questa è la cura peggiore che si potesse immaginare!

E da domani? Certo, la parte migliore della scuola ricomincerà come sempre a tessere la sua tela, a trovare soddisfazione e piacere nel lavoro con i ragazzi, persino a continuare a chiedersi e sperimentare come migliorare il modo di insegnare. In certi contesti, quelli più difficili, docenti e presidi forse riusciranno persino a sentirsi ancora comunità educante al servizio del bene comune e non un pollaio litigioso in cerca di patetiche prebende o scatti di carriera. Magari troveranno anche modo di organizzarsi per svolgere attività di formazione in servizio, sempre che non siano appaltate soltanto a produttori ansiosi di vendere fuffa tecnologica, a istituti universitari bisognosi di sistemare qualche teoria o qualche ricercatore, a un’editoria scolastica sempre meno credibile, a inventori di progetti più o meno utili ma di certo politicamente corretti e a la page...

Ma nessuno dei problemi veri della scuola avrà qualche possibilità in più di essere affrontato davvero perché non saranno certo la meritocrazia degli stenterelli o qualche brandello di decisionismo in un mare di difficoltà o qualche libro in più comperato dai docenti con la paghetta annuale o il premio ai volenterosi e men che meno qualche ora di stage in azienda a dare alla nostra scuola una dignità culturale e organizzativa adatta ai tempi e un futuro migliore.

 

 

Scrive...

Mario Ambel Per anni docente di italiano nella "scuola media"; esperto di educazione linguistica e progettazione curricolare, già direttore di "insegnare".