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04/11/2025

Dialogare tra le lingue, dialogare per la lingua e per un’ educazione linguistica e letteraria democratica e trasformativa.

di Annamaria Palmieri

Gli “Stati generali per l’educazione linguistica e letteraria” svoltisi a Roma, presso La Sapienza,  il 30 e 31 ottobre, per iniziativa di oltre 15 associazioni, sono stati una vera boccata di ossigeno per chi tiene ai destini della scuola e della formazione dei docenti in questo Paese. Il confronto “intertestuale” realizzatosi tra i diversi tavoli (italiano, italiano come lingua 2, formazione, trasversalità, lingue ) intrecciandosi e coniugandosi con gli interventi degli esperti di lingua e letteratura, da Franco Lorenzoni a Roberto Antonelli e Massimo Vedovelli, da Paolo D’Achille a Lucia Olini, ha messo in luce il bisogno di rigenerare all’interno delle scuole un dibattito trasversale e interdipartimentale su alcune questioni fondative nell’insegnamento della lingua e delle lingue.

Nel suo recentissimo “La luce e l’onda” (Einaudi, 2025), Massimo Recalcati distingue tra una scuola-dispositivo e una scuola-radura, attribuendo alla prima la riduzione del sapere a ripetizione, a regola, a disumanizzazione in contrapposizione netta alla vita vera,  e alla seconda invece l’incontro con il limite, con l’impossibile, con quel che ancora non è  (come scriveva Danilo Dolci,  sognando gli altri come ora non sono).

Ebbene, agli Stati generali c’era voglia di scuola-radura, scuola che si interroga, che non ha solo risposte da dare  o da pretendere dagli allievi, ma è viva perché riflette su se stessa e  sulle domande del presente e del futuro

Alcuni elementi emersi con chiarezza sono stati ribaditi  nei diversi momenti delle due giornate; è mio parere che essi saranno portati con sé da ciascun docente che ha partecipato alle giornate,  all’interno del proprio agire quotidiano e dei propri contesti, sia scolastici che universitari. Mi piace ricordarne qualcuno, senza pretesa di esaustività:

  1. nella nostra visione di educazione linguistica democratica, inclusiva, consapevole, trasformativa, la pluralità e pluridimensionalità dei repertori linguistici dei nostri alunni rappresenta un capitale che va valorizzato e non stigmatizzato, è il vero capitale di cui disponiamo. Le parole sono le cose, e più parole, più patrimoni linguistici sono ricchezza, risorsa, futuro.
  2. Per consentire a ciascuna persona, dalla scuola dell’infanzia fino a 18 anni, di passare progressivamente  dalla conoscenza linguistica alla "coscienza” linguistica, è indispensabile promuovere un approccio trasversale nell’educazione linguistica lungo  tutto il percorso scolastico, e favorire l’effettiva possibilità di collaborazione, interazione e inter-comprensione tra i docenti dei diversi dipartimenti disciplinari, pur salvaguardando gli specifici statuti epistemologici,  attraverso adeguate attività di formazione che coinvolgano insegnanti di tutte le discipline e di tutti gli ordini scolastici e prevedendo tempi e occasioni perché gli insegnanti delle diverse discipline possano davvero collaborare per adottare un approccio trasversale.
  3. la prima ed essenziale forma di collaborazione deve avvenire  a livello interlinguistico”, dal momento che, attraverso le nostre conoscenze e competenze linguistiche, non solo siamo in grado di generare comunicazione, ma anche di  rapportarci con altre lingue e altri codici; come si è notato,  confrontando gli apporti dei diversi tavoli e il loro comune sentire,  bisogna  valorizzare il dialogo tra le lingue a partire da quelle note agli studenti, potenziando la loro capacità di riflessione  metalinguistica. Impegnarsi ad abolire nelle scuole gli steccati tra i dipartimenti inizia da qui, dalla creazione di un dipartimento interlinguistico, per lavorare sul serio ad una didattica per competenze: questa la direzione.
  4.  “Je est en autre”, scriveva Rimbaud: se la scuola oggi è mondo, non è accettabile che il tema dell’identità linguistica venga giustapposto (e confuso strumentalmente) con quello di una identità di tipo “nazionalistico”. L’educazione linguistica e letteraria deve e vuole perseguire Il compito di creare ponti, di co-costruire significati di facilitare la comprensione tra interlocutori diversi, di riformulare e negoziare significati nelle diverse situazioni comunicative, di utilizzare la mediazione e l’integrazione (culturale, cognitiva)  come strategia sia all’interno della materia/disciplina (tra le diverse abilità, tra i diversi oggetti di cui ciascuna si compone) sia come modo di stare al passo con l’evoluzione sia degli oggetti che dei soggetti destinatari che oggi provengono da culture di tutto il mondo.
  5. Perché la scuola smetta di essere metodologicamente e cognitivamente lenta, occorre sì compiere un “salto” nel mondo delle nuove tecnologie e dell’Intelligenza artificiale, ma anche non fare delle stesse un feticcio da demonizzare o esaltare, bensì una sfida didattico-educativa da cui possiamo ricavare nuovi stimoli; ci vuole un equilibrio pedagogico, che  spinga  tutti i docenti a superare le contraddizioni tra il tecno-entusiasmo acritico e il passatismo nostalgico, costruendo percorsi didattici che “integrino” davvero complessità tecnologica ed educazione analogica intenzionale. La scuola deve formare giovani capaci di programmare algoritmi, di usare costruttivamente e criticamente i social media, ma anche di dialogare con il passato, riflettere sull’errore, coltivare la memoria, leggere Dante (anche per coglierne l’inesauribile attualità), giocare liberamente con la poesia.

Sul piano metodologico sono state offerti moltissimi spunti, impossibili da riassumere, ma si possono consultare  i documenti redatti dai  diversi tavoli e messi a disposizione in rete – documenti che verranno poi ripresi e arricchiti  proprio a partire dal dibattito di queste giornate, che vanno considerate dunque come  passaggio-chiave di un processo,  come  transizione e non conclusione del percorso intrapreso diversi  mesi fa.

Mi piace compiere un ultimo passaggio sull’educazione letteraria che – è stato ben detto- non può limitarsi a guardare alla tradizione letteraria nazionale e non può sfuggire a un  rapporto di continuità  dialettica con la cultura di massa: anzi, proprio alla luce di questo, essa  è educazione al senso della storia e della complessità (nel senso duplice di saper storicizzare ciò che si legge e saper riconoscere l’attualità dei prodotti culturali del passato).

Va detto che mentre per la storia letteraria,  dagli anni ‘80 in poi,   la crisi di metodo è stata affrontata, e anche grazie ad un’ editoria illuminata si è arrivati ad una pluralità di metodi e approcci ( con prevalenza di sue direzioni, una di tipo storicistico- -antropologico-sociologico, l’altra di tipo linguistico-strutturalistico-semiotico), il che consente oggi di guardare con fiducia anche ad ulteriori innovazioni, per l’educazione linguistico-letteraria, in particolare per l’approccio alla lingua letteraria del passato la sfida metodologica è ancora in atto e si è nei pressi di un difficile guado: ad esempio,  come formare un “buon lettore” che sia in grado di comprendere la complessità del periodare del Boccaccio, senza che questi ne venga respinto e portato  ad allontanarsi dall’immenso significato etico-politico e storico-culturale della sua opera?

Bisogna essere ottimisti, a mio parere: educare alla letteratura è anche e soprttutto scoperta ermeneutica, cioè incontro tra le grandi opere e la comunità dei lettori costituita dai nostri alunni. In un triangolo virtuoso (centralità dei testi-centralità del lettore- insieme di operazioni che docente e alunni compiono insieme sui testi) si è poi inserito da tempo un quarto vertice, il dialogo intertestuale  con altri linguaggi artistici, le arti visive, la musica, il cinema, che avvicinano i giovani e non  li allontanano (come qualcuno teme) dalla letteratura.  E’ necessario anzi,  in un’epoca che tende a subordinare tutto a logiche di tipo economico e produttivo ed a semplificare tutto, manipolando la realtà proprio   tramite le narrazioni,  dare nuove responsabilità alla letteratura.  Nell’era della cosiddetta post-verità, in cui contano più le rappresentazioni che i fatti, abbiamo sempre più necessità di affinare le capacità di analisi, di filtro selettivo, di decifrazione di comunicazioni complesse: nell’odierno contesto ecco una nuova centralità per l’ educazione  letteraria,  che è preposta alla costruzione (o decostruzione) di fictiones in grado di narrare e rimodellare il reale attraverso un ricco armamentario retorico.

Si realizzerebbe così la possibilità di  coesistenza fra competenze e saperi. Un  nodo, questo della sinergia e dei passaggi tra saperi e  competenze,  che va smosso, specie nei percorsi della secondaria superiore,  e  intorno a cui, per citare Ivano Dionigi  e il suo Magister, si possono realizzare le tre nuove i, ben diverse da quelle di berlusconiana memoria: la i dell’interrogare (i testi) , dell’intelligere, (entrarvi dentro),  dell’invenire, favorendo la  scoperta e il confronto con la realtà. E promuovendo quella che ostinatamente continuiamo e vogliamo continuare a chiamare  scholè….

Questo nome, questa parola, nella lingua corrente,  non è stato ancora cambiato, continuiamo a dirci “scuola”. Cerchiamo allora di non dimenticare cosa esso originariamente significa:  libero incontro, tempo dell’otium dedicato alla riflessione, alla conversazione,  al dialogo filosofico o scientifico.  Una cosa bella, non solo un dispositivo istituzionale a cui sfuggire o assoggettarsi.

 

Scrive...

Annamaria Palmieri Dirigente scolastica presso un istituto professionale di Torino, attualmente tutor organizzatore di Scienze della formazione primaria all'università di Salerno. Già Presidente del Cidi Napoli e successivamente per due legislature Assessora all'Istruzione del Comune di Napoli.

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