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di Mauro Pirasl'arte politica

16/04/2014

Una cosa per la scuola, subito

Ho fatto, questo pomeriggio, un’esperienza interessante. Sono stato in una scuola a parlare della crisi del capitalismo. Ho conosciuto un piccolo gruppo di docenti motivati, determinati, che fanno chilometri per leggere, tenersi intellettualmente vivi, organizzare un bel seminario di analisi e discussione di testi. Colleghi di filosofia, in questo caso. Ma la cosa più edificante è stato il rientro a Torino.
I due amici che mi accompagnavano hanno raccontato a lungo le loro vicende scolastiche, come sono finalmente arrivati ad avere un posto a scuola, uno come insegnante di sostegno, l’altro come insegnante di filosofia e storia. Ci siamo trovati a parlare della spaventosa confusione di percorsi di accesso alla scuola: graduatorie, TFA, PAS, concorsi, ecc. E dei conflitti tra i diversi gruppi, ben noti, purtroppo. 

Tutte cose che conoscevo, ovviamente. Però, ascoltandoli, ho avuto una percezione netta di una cosa forse anch’essa evidente, ma che non avevo mai visto balzarmi agli occhi così: c’è un gruppo generazionale che è stato consumato, estenuato, in alcuni casi bruciato, dalle incertezze e dalle decisioni assurde della politica scolastica dalla fine degli anni Novanta in avanti. Si tratta di persone diciamo tra i trentacinque e i quarant’anni, che hanno avuto queste disavventure. Le Ssis, prima: iniziano un percorso di formazione, che vuole essere di alto livello, e a volte lo è, per poi finire nella geenna delle graduatorie, ad attendere posti che non si vedono mai; il precariato per anni; poi, il concorso, in condizioni quasi insostenibili, per provare un’altra carta; le abilitazioni per il sostegno, ecc. Il tutto in un contesto di risorse sempre più scarse, in cui vengono creati sempre pochissimi posti, oggetto di contesa violenta tra gruppi con diritti diversi.

In tutto questo, gli anni passano, e persone coltissime, dall’intelligenza viva, dalla forte motivazione etica e culturale, come quelle con cui parlavo, si consumano senza una prospettiva sicura. Abbiamo sprecato le migliori energie di una generazione. E stiamo facendo lo stesso con il gruppo successivo, quelli che adesso hanno sui trent’anni ed entrano di nuovo in una bolgia di incertezze e di conflitti. E alla fine, tutti i problemi della scuola sono qui.

La scuola è fatta dagli insegnanti. Mi scuso per avere scritto questa banalità, ma a quanto pare è necessario. Il problema della scuola è che gli insegnanti sono stanchi, demotivati, hanno bisogno di formazione. E invecchiano. Il ricambio generazionale è fondamentale, per tutti. Anche quelli che hanno più anni e più esperienza ricevono una spinta in più dall’arrivo di energie nuove. Anche io, adesso, mi accorgo che inizio a lasciarmi andare, a essere meno propulsivo. E già solo questi colleghi di qualche anno più giovani di me mi rimettono in gioco, mi danno vitalità.

Invece, abbiamo questo enorme problema del reclutamento degli insegnanti, a cui nessuno sembra voler mettere mano seriamente: le graduatorie da esaurire, i mille percorsi differenziati in conflitto tra loro, l’incertezza totale sul futuro. Il ministro Giannini ha presentato alle Camere, a fine marzo, le sue linee programmatiche. Ha presentato una prospettiva ad ampio raggio, con l’intenzione di superare la gestione delle emergenze: si tratterebbe, ora, di programmare davvero. E in effetti ci sono tutte le tematiche fondamentali: l’edilizia, la sicurezza, il riordino normativo, la valutazione, la carriera dei docenti, la selezione dei dirigenti scolastici, il finanziamento del fondo di istituto, la scuola dell’infanzia, l’inclusione dei disabili, ecc.

E certo una attenzione particolare è dedicata al problema del precariato e del reclutamento. Su questo si dice una cosa chiara: “...i precari della scuola vanno riassorbiti e in un’ottica di lungo periodo dobbiamo bandire solo concorsi a cattedra. Dobbiamo predisporre un Piano necessariamente di medio termine per il reintegro dei precari e il loro inserimento all’interno di ‘organici funzionali’, che permettano ai dirigenti scolastici una miglior gestione delle supplenze e un aumento dell’offerta formativa”. Tutto corretto e condivisibile.

Giusta l’idea che la regola debbano essere i concorsi, e che si debba puntare sull’organico funzionale. Tuttavia, queste dichiarazioni non bastano. Nel lungo periodo, diceva J. M. Keynes, siamo tutti morti. Qui non bastano più le enunciazioni di principio, belle ma vaghe. Qui, la risposta che dobbiamo ai neolaureati e ai trentenni di adesso è solo una, e molto semplice: dare delle certezze sulla regolarità del reclutamento. Quindi non basta dire che - chissà tra quanti anni - i concorsi saranno la regola. I concorsi devono diventare la regola subito, adesso

Un governo che vuole davvero fare qualcosa per la scuola, adesso, deve farne subito una: bandire al più presto un altro concorso a cattedre, e allo stesso tempo vincolarsi a bandirne regolarmente uno ogni due anni. Solo così il ricambio può avvenire nel modo meno traumatico possibile, dal momento che rimane in vigore la regola secondo la quale le immissioni in ruolo devono avvenire metà dal concorso e metà dalle graduatorie. Solo così eviteremo di sprecare un’altra generazione di insegnanti appassionati, e riusciremo a dare qualche certezza a tutti gli altri.

Lo stato democratico è, prima di tutto, stato di diritto. E questo si regge sulla certezza del diritto, sulla sua regolarità. Il personale della scuola vive da anni nello stato di natura, cioè nello stato di guerra, perché non sa che cosa sia la certezza del diritto. I sistemi di reclutamento vengono cambiati continuamente, e quando si fa un concorso non si sa mai quando sarà il prossimo. Questo governo che vuole cambiare l’Italia e ama darsi delle scadenze faccia, in un gesto semplice, un profondo atto di cambiamento, dando delle date certe, dica: “A settembre un nuovo concorso a cattedre, e da questo momento uno ogni due anni”.

È molto semplice, e rivoluzionario.

Cercarono, dunque, di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si radunavano, si recavano offesa tra di loro, proprio perché mancanti dell’arte politica, onde nuovamente si disperdevano e morivano. (Platone, Protagora, 322b).

Di che cosa parliamo

La scuola non vive senza la politica e questa non vive senza la scuola. L’arte politica tiene insieme i cittadini nella giustizia, virtù che esiste solo se condivisa e acquisita in un processo educativo permanente. D’altro lato, le finalità sociali della scuola non possono realizzarsi senza una politica orientata a un’idea di eguaglianza e di giustizia. Discuteremo qui temi di attualità politica e politica scolastica, guidati dall’ideale di una società di cittadini eguali e liberi, che trova nelle istituzioni giuste e nella scuola le sue strutture fondanti.

L'autore

Insegna Filosofia e Storia al Liceo Classico “Gioberti” di Torino. Scrive di filosofia politica e teoria sociale, e di attualità politica. È tra gli autori del sito www.leparoleelecose.it.  Coordina il Seminario di Filosofia Politica presso il Centro Einaudi di Torino e si occupa di politica scolastica per il Dipartimento Istruzione PD di Torino.