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di Mauro Pirasl'arte politica

26/08/2013

La scuola dell'eguaglianza

La scuola sembra condannata all’eterno ritorno dell’identico. Questa ciclicità coatta emerge all’inizio dell’anno scolastico: ritardo nelle assunzioni e nelle nomine dei supplenti, disorganizzazione, grida d’allarme dei sindacati, proteste dei precari, costi troppo alti dei libri di testo, proteste delle famiglie, ecc. Non ci si aspetta nulla di nuovo. C’è poi l’interdetto sulle risorse: non ci sono soldi, ci si deve accontentare di quello che c’è; se vuoi fare qualcosa devi tagliare da qualche altra parte nelle spese del ministero. Ritornano sempre gli stessi problemi: la dispersione scolastica, il livello di competenze degli studenti troppo basso, la lentezza e l’inefficienza burocratica, i docenti troppo vecchi, demotivati, mal pagati, ecc.

Da anni giriamo intorno a queste cose. E andiamo avanti più o meno alla cieca, a tentoni. La cosiddetta “riforma Gelmini” ha investito la scuola con cambiamenti radicali, ma senza visione, perché condotta sotto la sferza delle leggi finanziarie. Dopo, si è proceduto con interventi circoscritti e spesso disorganici. La sola costante di tutto è la mancanza di orientamento, l'ssenza di un progetto di politica scolastica. Se si guarda indietro agli ultimi cinque anni, le uniche parole che hanno preteso di dare un orientamento sono “qualità” e “merito”. Si sono fatti degli interventi, si è detto, per migliorare la qualità della scuola e per promuovere il merito, tra gli studenti e tra i docenti.

Ora, la qualità della scuola è un concetto troppo vago. È ovvio che tutti la vogliano. E poi la qualità si definisce rispetto agli obbiettivi, riguarda gli strumenti con cui realizzare dei fini. Non può certo essere il concetto guida della politica scolastica. Quindi la vera parola chiave di questi ultimi anni è “merito”, come in altri settori della nostra vita politica e sociale (la pubblica amministrazione, l’università ecc.). Tuttavia il merito, applicato alla scuola, indica una direzione politica: vaga, certo, ma non innocente.

Una politica del merito si fonda su questo modello: tutti i partecipanti alla gara vengono messi in pari condizioni sulla linea di partenza, poi vinca il migliore. Non è un modello ingiusto, in apparenza. Limitandoci solo alla scuola, può sembrare corretto: la scuola dà i voti, no? Quindi premia chi fa meglio, e dà meno a chi fa peggio. L’importante è che gli studenti a cui vengono dati i voti siano messi in condizioni di partenza paritarie. Poi, vengono premiate le loro capacità individuali. I voti migliori, quindi, sono meritati, come i peggiori.

Il problema è che non sono meritati le capacità e i talenti. L’intelligenza, l’attitudine allo studio ecc. possono derivare da fattori casuali: una famiglia con tanti libri, l’abitudine alla discussione e alla lettura, la comodità di studiare senza essere disturbati, l’assenza di assilli economici; e le capacità naturali, non determinate da fattori sociali, sono appunto dei doni della natura, del tutto casuali. Anche la forza di volontà, l’autostima necessaria a impegnarsi, a sforzarsi per migliorarsi, crescere, ottenere dei risultati, sono il frutto casuale di condizioni psicologiche e sociali favorevoli. Dove va collocata quindi la linea di partenza in cui tutti sono allo stesso livello? Il modello è inadeguato, bisogna intervenire per sostenere (economicamente, socialmente, nella formazione, sul piano psicologico) chi parte più svantaggiato. Qui si vede che allora il principio che ci orienta non è il merito. Se il merito fosse il valore di riferimento, non ci porremmo questi problemi. Se invece ce li poniamo, è perché dietro la giusta ricompensa ai meritevoli c’è un valore più importante, per noi.

Questo valore è l’eguaglianza. Se ci interroghiamo sulle condizioni di partenza, è perché vogliamo che ognuno sia messo nelle condizioni di raggiungere i migliori risultati per se stesso; non vogliamo semplicemente promuovere i meritevoli. La ragione per cui questo valore fondamentale è l’eguaglianza si trova nel contesto in cui è inserita la scuola di cui stiamo parlando. In una democrazia liberale, la scuola incorpora i valori politici fondamentali delle istituzioni pubbliche. Il fondamento di questi valori è l’idea di una società di eguali. Nei rapporti sociali, pensare di trattare le persone solo sulla base del merito è ingiusto. Se vogliamo una società di eguali, tutti hanno diritto a essere trattati da persone eguali, degne di rispetto morale, anche chi non raggiunge risultati speciali di nessun tipo. La scuola che vogliamo si colloca in questo contesto. Quindi è una scuola democratica, il cui fine non è selezionare i meritevoli, ma permettere a ognuno di realizzare una formazione, e quindi una parte della propria persona, nel modo migliore. Nel modo migliore per sé: per la propria autostima, per la propria realizzazione sociale, per ottenere il rispetto che la società gli deve. La società democratica non può mai mancare all’obbligo di trattare da eguali. Ecco perché, per essa, il merito non è un concetto giusto in sé. È giusto solo se subordinato al valore dell’eguaglianza.

La politica scolastica deve risollevarsi partendo da qui: il suo compito è realizzare l’eguaglianza sul terreno della formazione e dell’istruzione. Su questa idea non sembra esserci più accordo. La sinistra ha quasi paura di nominare l’eguaglianza come valore fondativo, e di criticare le politiche meritocratiche unilaterali. Questo perché si irretisce nella contrapposizione rigida tra eguaglianza e merito, intendendo la prima quasi come un “livellamento”. Inoltre, intellettuali e esperti, ultimamente, si compiacciono nell’affermare che la scuola è inutile, per la realizzazione dell’eguaglianza sociale, perché ha fallito, per ragioni intrinseche (si veda, ultimamente, Norberto Bottani,  Requiem per la scuola?). Queste posizioni sono paradossali, e con effetti pratici irrilevanti, se non nel senso di scoraggiare ulteriormente chi lavora nella scuola. Non vedono che è la democrazia in cui viviamo a imporci l’imperativo dell’eguaglianza, a imporci di declinarlo in maniera specifica e differenziata in ogni campo.

Il compito di ogni riflessione sulla scuola, oggi in Italia, è quello di rilanciare un’idea di politica scolastica. Dalla posizione proposta qui, questa idea deve essere democratica, e nell’interpretazione più radicale delle promesse della democrazia. Quindi, di sinistra. Una politica scolastica di sinistra deve avere come parola d’ordine l’eguaglianza, e quindi l’inclusione; non il merito. La sua qualità si misurerà in funzione di quell’obbiettivo.

Cercarono, dunque, di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si radunavano, si recavano offesa tra di loro, proprio perché mancanti dell’arte politica, onde nuovamente si disperdevano e morivano. (Platone, Protagora, 322b).

Di che cosa parliamo

La scuola non vive senza la politica e questa non vive senza la scuola. L’arte politica tiene insieme i cittadini nella giustizia, virtù che esiste solo se condivisa e acquisita in un processo educativo permanente. D’altro lato, le finalità sociali della scuola non possono realizzarsi senza una politica orientata a un’idea di eguaglianza e di giustizia. Discuteremo qui temi di attualità politica e politica scolastica, guidati dall’ideale di una società di cittadini eguali e liberi, che trova nelle istituzioni giuste e nella scuola le sue strutture fondanti.

L'autore

Insegna Filosofia e Storia al Liceo Classico “Gioberti” di Torino. Scrive di filosofia politica e teoria sociale, e di attualità politica. È tra gli autori del sito www.leparoleelecose.it.  Coordina il Seminario di Filosofia Politica presso il Centro Einaudi di Torino e si occupa di politica scolastica per il Dipartimento Istruzione PD di Torino.