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di Eleonora Aquiliniil filo e la trama

01/09/2013

Come di antiche bende...

C’è un filo che sta nelle storie che conosciamo da sempre: è quello che Arianna dà a Teseo, che gli permette di ritornare dopo aver sconfitte il Minotauro. La storia ci affascina perché è un filo che fa uscire dal caos e consente di orientarsi. Arianna dà a Teseo un filo che si snoda nel labirinto e che lo semplifica, lo rende percorribile senza  il rischio di perdersi. Il filo è una bussola senza poli che evita lo smarrimento. Arianna trova questa geniale soluzione perché ama Teseo, è legata a lui  da un filo amoroso. Ma questo filo che li tiene uniti si perde nell’isola di Nasso dove lui l’abbandona. L’amore non corrisposto è il filo che non annoda. Avvertiamo l’importanza e l’ambiguità di quel filo, di ogni filo che è equilibrio e potenziale smarrimento.

C’è il filo che costituisce l’ordito e la  trama, che fa il tessuto, ed è  la tela di Penelope. Il filo intrecciato della tela è la storia che si dipana e che costruisce. È l’inganno dell’attesa solitaria, è il simbolo della  fedeltà ma anche dell’intelligenza di una donna che fa e disfa per  altre trame. È  la solitudine e l’astuzia che uniscono Penelope a Odisseo, prima di ogni altra cosa. Entrambi pensano,  riflettono e sospettano. Quando si incontrano dopo tanto tempo diffidano l’uno dell’altra: “Erano due ‘cuori di ferro’, due esseri arroccati nella mente, che usavano la forza e la bellezza come armi occasionali, ma tornavano subito nella loro acropoli invisibile… Per entrambi il primato è nella mente. In quanto tessitura di accorto controllo, per Penelope; di continua e molteplice invenzione, per Odisseo.” [1]

Il nostro lavoro di insegnanti assomiglia a quello della tessitura. Cerchiamo di trovare i fili, di metterli al punto giusto, di costruire tele di conoscenze, reti di relazioni che tengano uniti, che diano senso.
Nel cercare i fili giusti siamo guidati dall’idea di connettere conoscenze che siano utili e importanti per i nostri studenti. Le scelte che noi facciamo sono sempre regolate dall’incognita data dalla presenza degli altri. Mentre negli altri rapporti umani possiamo non dare eccessivo peso alla differenza e all’indifferenza, alla disponibilità e all’indisponibilità, ai giudizi e ai pregiudizi, tutto questo a scuola non è possibile.

Ci riguarda da vicino perché entrare nel labirinto delle diversità è il nostro lavoro. Dobbiamo avere strumenti per non perderci, guidati non solo dalle regole non scritte con cui selezioniamo i giovani in categorie (il quindicenne, lo svogliato, il ragazzo a rischio) ma soprattutto conoscenze psico-pedagogiche che permettano di scegliere contenuti disciplinari comprensibili. Questi attrezzi servono per stare nel labirinto senza perdere l’orientamento e per costruire tessuti di conoscenze che entrino a far parte delle strutture  portanti del dedalo. Lo scopo è quello di farlo diventare rete percorribile con accessi comuni e zone in cui ci si deve fermare, coni d’ombra che rispettano le imperscrutabilità di ognuno. Queste tele, questi tessuti sono nastri, sono bende che legano e intrecciano se portano allo stupore del riconoscimento di un significato. E il tessuto che è nastro, benda di lana, è quello che conosciamo da sempre perché decora e accompagna i grandi eventi nella Grecia antica.

“L’uscita dall’opacità profana, l’intensificarsi della vita verso qualsiasi direzione, verso l’onore e la morte, la vittoria o il sacrificio, le nozze o la supplica, l’iniziazione o la possessione, la purificazione o il lutto, verso tutto ciò che scuote ed esige un significato, era contrassegnata per i Greci dall’apparizione di bende volteggianti di lana; bianche o rosse per lo più, annodate intorno alla testa, alle braccia a un ramo, a una prua, a una statua, a un’ascia, a una pietra, a un tripode. L’occhio moderno le incontra ovunque e … non le vede, le scarta dal centro come dettagli decorativi e insignificanti. Per l’occhio greco valeva l’opposto: erano quelle bende lievi e morbide ad accendere il significato.” [2]

Le bende compaiono quando compare il significato, che è prima di tutto un legame fra il concreto e l'astratto, tra il segno e il significato. Le bende, i nastri sono le maglie di una rete ben più grande che avvolge il mondo e discende dal cielo alla terra.
Gli alunni che ci stanno davanti, come un insieme, un gruppo di simili, per età, per caratteristiche generazionali, possono diventare una classe se ci sono legami fra di loro e con noi. Le connessioni, le bende stanno nei significati che insieme costruiremo.

 

 


[1]  Cfr. Calasso R., 1988, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, Milano,p. 415.

 

Di che cosa parliamo

Il nostro lavoro di insegnanti assomiglia a quello della tessitura. Cerchiamo di trovare i fili, di metterli al punto giusto, di costruire tele di conoscenze, reti di relazioni che tengono uniti, che danno senso.
Nel cercare i fili giusti siamo guidati dall’idea di connettere conoscenze che siano utili e importanti per i nostri studenti. Le scelte che noi facciamo sono sempre regolate dall’incognita data dalla presenza degli altri. Mentre negli altri rapporti umani possiamo non dare eccessivo peso alla differenza e all’indifferenza, alla disponibilità e all’indisponibilità, ai giudizi e ai pregiudizi, tutto questo a scuola non è possibile.

 

L'autrice

Eleonora Aquilini è laureata in Chimica, docente di Scuola secondaria di II grado. Fa parte del “Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica in educazione scientifica del CIDI di Firenze”. Da diversi anni fa attività di formazione nel campo dell’insegnamento scientifico nei diversi ordini di scuola. Ha numerose pubblicazioni riguardanti la didattica della Chimica e delle Scienze.