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di Eleonora Aquiliniil filo e la trama

15/01/2014

Collegamenti e significati nelle scienze

- Ecco un altro collegamento!- disse il camionista. – Mettendo insieme un collegamento dopo l’altro, si forma un significato. Così, naturalmente. Quando si mettono insieme tanti collegamenti, il significato diventa più profondo. Va bene tutto: l’anguilla, l’oyakodon, il pesce alla brace…Ha capito?
- Non tanto. Bisogna collegare le cose da mangiare?
- No, mica solo le cose da mangiare! Si può fare col treno, con l’imperatore, con quello che le pare.

- Nakata non prende il treno.
- Va bene lo stesso. Quello che voglio dire è che quando viviamo, fra le cose che ci capitano a tiro, non importa quali siano, si formano dei collegamenti, e quindi nascono dei significati, nel modo più naturale. L’importante è proprio questo, che si formino naturalmente. Non c’entra essere intelligenti o stupidi. Conta solo se uno vede o non vede le cose con i propri occhi.

Haruki Murakami 1

Imparare le scienze non è naturale, fondamentalmente perché la rete di senso che sostiene i concetti che apprendiamo nella vita quotidiana ha caratteristiche diverse da quella che sorregge la conoscenza scientifica. I fenomeni fisici, chimici, biologici sono sotto i nostri occhi e possono essere osservati attentamente, ma comprenderli, saperli interpretare e spiegare richiede la mediazione della scuola.

Le metodologie induttive da privilegiare nel primo ciclo portano, per esempio, a conoscenze che sono generalizzazioni che implicano attività quali osservare, catalogare, riflettere. Queste attività cognitive sono presenti, di per sé, anche in metodologie diverse da quelle induttive. Per esempio, catalogare i fenomeni come fisici o biologici richiede una riflessione di ordine superiore che comporta un ampio raggio di conoscenze e non è induttiva.
Una metodologia induttiva nello studio delle scienze nel primo ciclo implica la scelta di un fenomeno semplice da analizzare, eseguendo degli esperimenti su cui ragionare. Il sapere parlare di cosa si è osservato, dopo averci riflettuto, è assolutamente non banale e richiede passaggi di azione e di pensiero che devono essere guidati dall’insegnante. Questi movimenti del pensiero devono essere avvertiti come autonomi dal soggetto che impara, sebbene siano promossi dall’insegnante. È infatti l’insegnante che sceglie l’argomento e il fenomeno da studiare. Quindi, nel primo ciclo i fenomeni da studiare devono essere semplici, o per lo meno riconducibili a teorie elementari che non richiedono conoscenze disciplinari troppo elevate.


Un esempio, in chimica, sono i passaggi di stato. Questi possono essere studiati a vari livelli di complessità, ma i fenomeni che li riguardano possono essere studiati in questo livello di scuola senza eccessive difficoltà. Nel primo ciclo si può capire la differenza fra evaporazione ed ebollizione, si può capire che il vapore è acqua in un altro stato fisico, che le bollicine che si vedono nel riscaldamento dell’acqua sono di vapore, che la temperatura rimane costante durante l’ebollizione o la fusione.
Bisogna costruire dei percorsi didattici che portino a queste acquisizioni. Non basta eseguire esperimenti in cui si osserva l’evaporazione o la fusione di una sostanza, per esempio l’acqua, ma occorre rendere problematici gli esperimenti stessi. Se non si chiede agli alunni di fare delle osservazioni mirate sui fenomeni associati ai passaggi di stato e di fare ipotesi relative a cosa sta accadendo, verificandole successivamente, non ci si sposta dalla concezione di senso comune.
Per esempio, tutti gli alunni sanno che l’acqua bolle a 100°C (la dipendenza dalla Pressione non è quasi mai nota nella scuola primaria, nella secondaria di secondo grado qualcuno può averlo sentito dire), ma molti di loro non sanno che la temperatura non aumenta durante l’ebollizione. Allora non è importante solo registrare l’andamento della Temperatura rispetto al tempo nel riscaldamento dell’acqua, ma chiedere preventivamente cosa si aspettano che accada: “La temperatura si ferma o aumenta una volta raggiunti i 100°C?”. Così l’esperimento viene fatto per verificare un’ipotesi e non è una mera “esecuzione”, ma un’azione motivata e coinvolgente che porta a una scoperta. La scoperta fatta è qualcosa che non si dimentica perché appartiene a chi l’ha fatta.

In questo modo si parte dal soggetto, da quello che sa e si ritorna al soggetto arricchito di una conquista. La consapevolezza che si raggiunge non è solo individuale ma deriva da una discussione in classe sulle diverse interpretazioni che si danno degli esperimenti. Le conclusioni a cui si giunge individualmente e collettivamente vengono fissate nella verbalizzazione scritta e orale. È soprattutto lo scrivere ciò che si pensa prima e dopo gli esperimenti e, prima e dopo la discussione collettiva, che dà consapevolezza. È il testo scritto, inizialmente approssimativo e sempre più preciso nelle riscritture successive, che fissa i pensieri. Le definizioni a cui si giunge allora sono definizioni operative perché rappresentano un’operatività soprattutto della mente, contengono esperienze e non solo esperimenti. 2
Un mio alunno di una prima ITI di diversi anni fa, a conclusione del percorso sull’evaporazione, eseguito con le modalità del primo ciclo, scrisse sul suo quaderno: “Ho capito che nell’ebollizione c’è un suo procedimento e non è tutto a casaccio come sembra”. È una frase che rende l’idea di quello che vogliamo realizzare nell’insegnamento scientifico: un passaggio dall’indeterminazione del senso comune alla precisione data dall’indagine di tipo scientifico. Le definizioni operative richiedo tempo e riflessione. I tempi lunghi e l’attenzione ai vari passaggi del percorso didattico permettono di fare collegamenti.

I collegamenti costruiscono significati. Più collegamenti facciamo, più i significati diventano profondi. Capiamo allora che in natura.. non è tutto a casaccio..come sembra.

Note

1. Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia, Einaudi, Torino, 2013, pp.207-208.

2. Vedi esempi di "Didattica delle scienze", a cura del Cidi Firenze.

 

 

 

 

 

 

Di che cosa parliamo

Il nostro lavoro di insegnanti assomiglia a quello della tessitura. Cerchiamo di trovare i fili, di metterli al punto giusto, di costruire tele di conoscenze, reti di relazioni che tengono uniti, che danno senso.
Nel cercare i fili giusti siamo guidati dall’idea di connettere conoscenze che siano utili e importanti per i nostri studenti. Le scelte che noi facciamo sono sempre regolate dall’incognita data dalla presenza degli altri. Mentre negli altri rapporti umani possiamo non dare eccessivo peso alla differenza e all’indifferenza, alla disponibilità e all’indisponibilità, ai giudizi e ai pregiudizi, tutto questo a scuola non è possibile.

 

L'autrice

Eleonora Aquilini è laureata in Chimica, docente di Scuola secondaria di II grado. Fa parte del “Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica in educazione scientifica del CIDI di Firenze”. Da diversi anni fa attività di formazione nel campo dell’insegnamento scientifico nei diversi ordini di scuola. Ha numerose pubblicazioni riguardanti la didattica della Chimica e delle Scienze.