“Prenda il lettore le pagine che seguono come sfida e invito. Faccia il proprio viaggio secondo un proprio progetto... accetti di sbagliare strada e di tornare indietro, o, al contrario, perseveri fino a inventare inusuali vie di uscita verso il mondo. Non potrà fare migliore viaggio. E, se sarà sollevato dalla propria sensibilità, registri a sua volta, quel che ha visto e sentito, quel che ha detto e sentito dire… La felicità, che il lettore lo sappia, ha molte facce. Viaggiare probabilmente è una di queste. Affidi i fiori a chi sappia badarvi, e incominci. O ricominci. Nessun viaggio è definitivo."
José Saramago [1]
Accogliamo questa metafora e cerchiamo di cambiare il nostro modo d’insegnare, abbandonando le modalità usuali di accostarsi alla Chimica e alle altre discipline scientifiche, provando e riprovando, in modo da trovare le strade giuste per rendere avvincente lo studio di materie scolastiche che appaiono troppo spesso aride e adatte a pochi.
Sono convinta che la Chimica, materia che insegno, sia uno strumento essenziale per la formazione degli alunni, dei cittadini che devono capire e interpretare un mondo in cui scienza e tecnica dominano e regolano la vita quotidiana. Scienza, tecnica e tecnologia si confondono invece in un oscuro sentimento magico di onnipotenza umana, senza i confini tracciati dalla comprensione logica dei termini e senza adeguate interpretazioni. Quanto detto vale ovviamente per tutte le altre discipline scientifiche, spesso insegnate agli alunni in modo non coinvolgente e presentate facendo prevalere prematuramente il lato specialistico. E’ importante che l’insegnamento sia pensato per interessare e per appassionare e che quindi sia doveroso proporre la Chimica, la Fisica, la Biologia in modo che, a tutti i livelli scolari, se ne possa apprezzare il valore e la bellezza, anche quando non sono distinte in ambiti disciplinari veri e propri, con i loro statuti e le loro formalizzazioni, come nel primo ciclo.
Ogni insegnante, ogni classe, fa comunque un viaggio diverso, affascinate, unico e irripetibile; anche quando la traccia di lavoro è la stessa, il percorso non è mai uguale.
Il volere apprendere, a scuola, scaturisce sempre dal fatto che ciò che si sta studiando è effettivamente alla portata e suscita curiosità. Gli alunni vedono cioè il collegamento con le loro conoscenze pregresse, anche di senso comune, e sentono di costruire il loro sapere a partire da qualcosa di noto, in percorsi che hanno uno sviluppo e una storia che comunque parte da loro stessi. I percorsi didattici devono ad esempio portare, nel campo delle scienze, a definizioni che siano formulazioni verbali di un cammino conoscitivo degli alunni, che non siano invece percepite come estranee, astratte, incomprensibili. Le asserzioni scientifiche a cui si vuole giungere devono passare, nella loro costruzione, dall’essere poco definite dal punto di vista formale ad esserlo sempre di più, in modo che la formalizzazione a cui si giunge rappresenti una conquista del singolo e della classe. Allora la volontà di capire del singolo diventa il tradurre in parole le proprie osservazioni, metterle a confronto con quelli degli altri, compagni, insegnanti o testi di studio. Il voler apprendere è la prima vera consapevolezza metacognitiva che l’alunno percepisce. Questo voler capire è una affermazione di sé. La riflessione sul proprio modo di apprendere è, al di là delle teorie, innanzi tutto un controllo nella formulazione linguistica dei propri pensieri che nasce dal confronto con i pensieri degli altri. Nessuno di noi ragiona in astratto sulle proprie strategie cognitive (perché lo dovrebbe fare?), ma è dal confronto con le riflessioni degli altri o delle linee di ragionamento proprie di un ambito disciplinare che siamo portati a riflettere e valutare i nostri pensieri.
Capiamo che la scuola e i suoi contenuti devono in qualche modo appartenere agli alunni per entrare nella loro vita. Quando i contenuti appartengono possono anche essere raccontati.
La scuola, per assolvere il suo compito, ha bisogno di contenuti e metodi d’insegnamento che siano coinvolgenti e motivanti, che riescano ad intercettare il mondo degli alunni, in modo che le discipline di riferimento diventino anche per l’alunno un riferimento. Le discipline hanno infatti una loro razionalità che insegna ad essere razionali, insegnano cioè a ragionare in base a delle premesse, a delle regole che diventano nel tempo una guida per il pensiero. Tuttavia occorre tenere presente che la razionalità delle discipline deve passare attraverso la narrazione, strettamente connessa all’interpretazione, prima ancora che con la spiegazione. Questo perché gli alunni prima interpretano, poi spiegano e i loro, i nostri racconti sono sempre interpretazioni dei fatti. Attraverso la narrazione possiamo raggiungerli.
1. J.Saramago, Viaggio in Portogallo, Einaudi, Torino, 1993, p. 4.