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di Eleonora Aquiliniil filo e la trama

07/01/2017

La passione e la ragione

Non bisogna estinguer la passione colla ragione, ma convertir la ragione in passione.
[G. Leopardi,  Zibaldone, 294]

E’ questo che dobbiamo fare a scuola. Non c’è altro. Dobbiamo amare ciò che insegniamo e far capire che  il senso della nostra vita è lì dentro. Nello stesso tempo è necessario non stare troppo vicino agli alunni perché la conoscenza troppo personale favorisce l’amicizia o l’attenzione genitoriale, non l’insegnamento. Abbiamo vissuto abbastanza per renderci conto che è difficile, in generale, distinguere fra i diversi tipi di relazione che si stabiliscono fra le persone, siano adulti o adolescenti. La relazione fra esseri umani è un misto di vari aspetti e non è classificabile. Se si conosce una persona e si ha un rapporto profondo con lei, si capisce anche ciò che non dice, si entra in una sfera di osservazione particolare che permette la comprensione: in certi momenti si ha l’occhio e la cura che può avere una madre, in altri il garbo e il distacco dello sconosciuto che “non vede”. L’attenzione è  per i bisogni piccoli e grandi che ha l’altro e che si avvertono come nostri.

Quando si parla di relazione fra  alunni e insegnanti e la vicinanza è eccessiva, si ricade spesso nella tipologia del rapporto genitoriale con il problema della mancanza di distacco necessario (per l’insegnamento), che in queste condizioni è difficile da mantenere. Si crea  confusione  e una melassa indistinta di sentimenti complicati da gestire. Si parla di ruoli diversi, per quello del genitore e quello dell’insegnante, ma non vorrei dare a queste definizioni un significato stereotipato.
La distinzione non riguarda solo l’intensità dei  sentimenti che si possono provare: l’affetto, l’empatia, la comprensione profonda. La distinzione  sta nella trasposizione ad un livello  razionale  dei sentimenti che deve fare l’insegnante in modo che ciò che  insegna acquisti significato per gli alunni. E’ importante cioè fare qualcosa di buono per le menti di ragazze e  ragazzi. 

Se l’insegnante vuole avere cura e rispetto degli alunni deve studiare, provare, ricercare… per  illuminare ciò che è oscuro e per sapere ciò che deve rimanere in ombra.  E quando fa questa operazione ha bisogno di molta dedizione  per il proprio lavoro. Essa  è di natura diversa da quella che può avere un genitore verso il proprio figlio, non tanto perché si parla di italiano e matematica e non del benessere materiale o affettivo del ragazzo, ma perché l’insegnante pensa non ad un ragazzo ma a una categoria. Pensa ad un alunno che riassume in sé le caratteristiche di tutti, o forse si può dire che pensa ad un insieme che viene riassunto in un esemplare.

Gli adolescenti, per esempio, hanno caratteristiche diverse dai bambini o dai giovani che frequentano l’università. Gli adolescenti vivono un mondo interiore che, dal punto di vista della strutturazione del  pensiero, si muove  fra l’astratto e il concreto, mentre i sentimenti passano dagli incendi delle passioni al deserto del nonsenso. E’ in questo scenario che devono abitare l’italiano, la matematica o le scienze. E’ là dentro che le materie di studio  devono essere accettate, gustate, apprezzate. E’ qui che si gioca la partita  dell’insegnamento.
Bisogna che ciò che insegniamo si ponga fra loro e noi  in uno spazio intenso e caldo, che costituisca esso stesso un’intercapedine fra il loro mondo e il nostro. In esso si possono esprimere le possibilità. E’ uno spazio creativo nel senso che al suo interno l’allievo deve avere l’impressione di creare da solo ciò che impara;  deve esservi la nascita di pensieri nuovi che non sono solo immagini, ma avere  la forma che ne dà il linguaggio. E il linguaggio è la prima forma di razionalità. L’intercapedine deve essere permeabile ma protetta, una sorta di spazio transizionale di Winnicott, in cui i concetti che provengono dall’esterno possono essere riconosciuti e quindi assimilati (Piaget) e rielaborati in un discorso interiore fatto di parole.
La scuola, in altre parole, non deve essere una seconda pelle per l’allievo, ma deve costituire un ambiente in cui la ragione acquista  forma ed è un sentimento.

Di che cosa parliamo

Il nostro lavoro di insegnanti assomiglia a quello della tessitura. Cerchiamo di trovare i fili, di metterli al punto giusto, di costruire tele di conoscenze, reti di relazioni che tengono uniti, che danno senso.
Nel cercare i fili giusti siamo guidati dall’idea di connettere conoscenze che siano utili e importanti per i nostri studenti. Le scelte che noi facciamo sono sempre regolate dall’incognita data dalla presenza degli altri. Mentre negli altri rapporti umani possiamo non dare eccessivo peso alla differenza e all’indifferenza, alla disponibilità e all’indisponibilità, ai giudizi e ai pregiudizi, tutto questo a scuola non è possibile.

 

L'autrice

Eleonora Aquilini è laureata in Chimica, docente di Scuola secondaria di II grado. Fa parte del “Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica in educazione scientifica del CIDI di Firenze”. Da diversi anni fa attività di formazione nel campo dell’insegnamento scientifico nei diversi ordini di scuola. Ha numerose pubblicazioni riguardanti la didattica della Chimica e delle Scienze.