Non bisogna estinguer la passione colla ragione, ma convertir la ragione in passione.
[G. Leopardi, Zibaldone, 294]
E’ questo che dobbiamo fare a scuola. Non c’è altro. Dobbiamo amare ciò che insegniamo e far capire che il senso della nostra vita è lì dentro. Nello stesso tempo è necessario non stare troppo vicino agli alunni perché la conoscenza troppo personale favorisce l’amicizia o l’attenzione genitoriale, non l’insegnamento. Abbiamo vissuto abbastanza per renderci conto che è difficile, in generale, distinguere fra i diversi tipi di relazione che si stabiliscono fra le persone, siano adulti o adolescenti. La relazione fra esseri umani è un misto di vari aspetti e non è classificabile. Se si conosce una persona e si ha un rapporto profondo con lei, si capisce anche ciò che non dice, si entra in una sfera di osservazione particolare che permette la comprensione: in certi momenti si ha l’occhio e la cura che può avere una madre, in altri il garbo e il distacco dello sconosciuto che “non vede”. L’attenzione è per i bisogni piccoli e grandi che ha l’altro e che si avvertono come nostri.
Quando si parla di relazione fra alunni e insegnanti e la vicinanza è eccessiva, si ricade spesso nella tipologia del rapporto genitoriale con il problema della mancanza di distacco necessario (per l’insegnamento), che in queste condizioni è difficile da mantenere. Si crea confusione e una melassa indistinta di sentimenti complicati da gestire. Si parla di ruoli diversi, per quello del genitore e quello dell’insegnante, ma non vorrei dare a queste definizioni un significato stereotipato.
La distinzione non riguarda solo l’intensità dei sentimenti che si possono provare: l’affetto, l’empatia, la comprensione profonda. La distinzione sta nella trasposizione ad un livello razionale dei sentimenti che deve fare l’insegnante in modo che ciò che insegna acquisti significato per gli alunni. E’ importante cioè fare qualcosa di buono per le menti di ragazze e ragazzi.
Se l’insegnante vuole avere cura e rispetto degli alunni deve studiare, provare, ricercare… per illuminare ciò che è oscuro e per sapere ciò che deve rimanere in ombra. E quando fa questa operazione ha bisogno di molta dedizione per il proprio lavoro. Essa è di natura diversa da quella che può avere un genitore verso il proprio figlio, non tanto perché si parla di italiano e matematica e non del benessere materiale o affettivo del ragazzo, ma perché l’insegnante pensa non ad un ragazzo ma a una categoria. Pensa ad un alunno che riassume in sé le caratteristiche di tutti, o forse si può dire che pensa ad un insieme che viene riassunto in un esemplare.
Gli adolescenti, per esempio, hanno caratteristiche diverse dai bambini o dai giovani che frequentano l’università. Gli adolescenti vivono un mondo interiore che, dal punto di vista della strutturazione del pensiero, si muove fra l’astratto e il concreto, mentre i sentimenti passano dagli incendi delle passioni al deserto del nonsenso. E’ in questo scenario che devono abitare l’italiano, la matematica o le scienze. E’ là dentro che le materie di studio devono essere accettate, gustate, apprezzate. E’ qui che si gioca la partita dell’insegnamento.
Bisogna che ciò che insegniamo si ponga fra loro e noi in uno spazio intenso e caldo, che costituisca esso stesso un’intercapedine fra il loro mondo e il nostro. In esso si possono esprimere le possibilità. E’ uno spazio creativo nel senso che al suo interno l’allievo deve avere l’impressione di creare da solo ciò che impara; deve esservi la nascita di pensieri nuovi che non sono solo immagini, ma avere la forma che ne dà il linguaggio. E il linguaggio è la prima forma di razionalità. L’intercapedine deve essere permeabile ma protetta, una sorta di spazio transizionale di Winnicott, in cui i concetti che provengono dall’esterno possono essere riconosciuti e quindi assimilati (Piaget) e rielaborati in un discorso interiore fatto di parole.
La scuola, in altre parole, non deve essere una seconda pelle per l’allievo, ma deve costituire un ambiente in cui la ragione acquista forma ed è un sentimento.