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di Eleonora Aquiliniil filo e la trama

12/06/2015

Relazione finale

Per me, la novità di questo anno scolastico è stata l’insegnamento  nella  terza serale del Liceo Artistico in cui lavoro anche al mattino. Inoltre completo l’orario  facendo anche  tre  ore  in un’altra scuola poiché, grazie alla riforma Gelmini, si sono perse tutte le ore di Chimica nelle classi quinte. Inutile dire che dopo tanti anni d’insegnamento non sono felice di questa frammentazione. Molti colleghi mi dicono  che hanno insegnato al Serale da supplenti e conservano un buon ricordo di questa esperienza, aggiungendo  che  "però... stare a casa la sera… è meglio!". Mi si prospetta un’esperienza insolita a questo punto della vita professionale, che può essere vissuta come una retrocessione o come un’avventura. Non scelgo nessuna delle due opzioni, entrambe emotivamente troppo impegnative e decido di vivere questa novità standoci dentro, senza subirla.

La terza del Serale è una classe articolata fra gli indirizzi di Arti figurative e Grafica e  non tutti devono frequentare le mie lezioni. Ci sono adulti- lavoratori che hanno abbandonato la scuola da parecchi anni e ragazzi sui vent’anni,  pluriripetenti,  che hanno lasciato la scuola da pochi anni. Tutti quanti  si giocano l’ultima carta per prendere il diploma. Diversi di loro hanno la terza media e a novembre fanno un esame integrativo per recuperare il biennio. Mi rendo conto ben presto che  nessuno di loro ha avuto un rapporto facile con la scuola, che non ci sono, come nella scuola diurna, i cosiddetti scolarizzati con cui avere quiete soddisfazioni e che ho davanti solo gli esclusi.
Questi studenti  con la loro umanità comunque unica e irripetibile, rappresentano varie tipologie di abbandono scolastico,  uno spaccato della  periferia della cultura  che si concentra in un’ aula scolastica. L’atteggiamento verso la scuola, che io per loro rappresento, è completamente diverso nel caso degli  adulti-lavoratori da quello dei  giovani studenti che si sono trasferiti dalla scuola della mattina a quella della sera, senza la riflessione sulle proprie esperienze che il tempo favorisce  e con speranze di facili riscatti.  
I primi hanno avuto il tempo di metabolizzare i loro insuccessi scolastici e vivono con fiducia questa nuova opportunità. I secondi, essendo usciti da poco e malamente dalla scuola di serie A, tentano di riprodurre con me gli stessi schemi di sfida-provocazione di chi vuole mettere alla prova l’insegnante  prima di essere lui stesso a provarci davvero. I comportamenti di questi ragazzi dicono: voglio vedere se riesci a insegnami qualcosa nonostante quello che sono, ... se non ci riesci sei come gli altri , che tradotto significa: riuscirai prima di tutto a vedermi e ad accettarmi per quello che sono?   Sono uno  sconfitto per la scuola, ma sono una persona degna della tua attenzione e del tuo amore.

Da un altro punto di vista, quello della maturità che ti dà la vita, la classe è fatta di madri, padri e figli un po’ scapestrati. Cerco di interagire con loro attraverso la disciplina che insegno e mi muovo con attenzione e senza pregiudizi di sorta.  Di fronte al fatto che non mi scandalizzo se  non sanno fare le divisioni o non  sanno descrivere fenomeni scientifici quotidiani, ma semplicemente   li aiuto nell’appropriarsi delle conoscenze di base, si aprono, acquistano fiducia.  S., una signora che fa le borse per una famosa casa di moda  e che  arriva stanchissima a scuola dopo otto ore di lavoro, è contenta di capire come si calcola uno sconto;  P., una ragazza inizialmente scostante e diffidente, si diverte un mucchio nel fare piccoli esperimenti e comincia a studiare con gusto; M., la ragazza che lavora in una ditta di pulizie è felice di aver capito, dopo aver fatto il percorso sugli acidi e le basi, perché i prodotti igienizzanti  funzionano;  D., il ragazzo  bravissimo a disegnare che con me  (nella scuola del mattino) aveva tre a chimica perché  a scuola  veniva saltuariamente, si rivela essere molto attento e coinvolto. 
Le cose funzionano anche perché tutti si aiutano: tutti insegnano  e tutti imparano.  Quando le  parti di chimica diventano complicate  la fatica che facciamo è tanta.   Due ragazze,  in particolare,  mi aiutano nel seguire  chi rimane indietro, compresi i  tre stranieri che non padroneggiano  la lingua e hanno bisogno sempre di  spiegazioni ripetute o coloro che hanno perduto qualche lezione.  I casi disperati diventano sempre meno disperati e pian piano riescono a lavorare come gli altri. Fra questi la gioia più grande me la dà J., un ragazzo marocchino che ha passato il primo quadrimestre senza parlare, scegliendosi sempre un posto lontano da tutti. Abbiamo aspettato che decidesse di starci, di esserci, ma per tanti mesi non  è successo niente. Poi F., un  ragazzo-adulto  che fa l’operaio,  si è fatto carico di questo compagno di strada, ha trovato il modo d’intercettarlo e, finalmente,  J. si è connesso. Ho aspettato ancora, dando tempo al tempo.  Poi è successo, l’ho interrogato mettendomi a sedere vicino a lui, per evitare il trauma dell’esibizione davanti alla lavagna. Ho potuto ascoltare ciò aveva imparato ed è stata una grande emozione sentirlo parlare  e raccontare  ciò che sapeva della tavola periodica. 

A metà anno scolastico ho  il semiesonero per fare il tutor coordinatore nel corso di TFA per la chimica. Non lascio il serale perché sarebbe un tradimento della fiducia che le ragazze e i ragazzi, gli adulti lavoratori e non,  hanno maturato nella scuola, attraverso di me.
Ho a che fare ora con due gruppi di adulti molto diversi che hanno in comune solo l’età media. I corsisti del TFA rappresentano il successo del percorso d’istruzione, sono stati selezionati con dure prove disciplinari per accedere al corso, sono l’élite dei laureati. Mi trovo così a muovermi su due fronti molto distanti: la periferia e il centro della cultura.  Fra il centro e la periferia  c’è la scuola.  E la scuola è il mezzo per vivere e costruire la città.

 

Di che cosa parliamo

Il nostro lavoro di insegnanti assomiglia a quello della tessitura. Cerchiamo di trovare i fili, di metterli al punto giusto, di costruire tele di conoscenze, reti di relazioni che tengono uniti, che danno senso.
Nel cercare i fili giusti siamo guidati dall’idea di connettere conoscenze che siano utili e importanti per i nostri studenti. Le scelte che noi facciamo sono sempre regolate dall’incognita data dalla presenza degli altri. Mentre negli altri rapporti umani possiamo non dare eccessivo peso alla differenza e all’indifferenza, alla disponibilità e all’indisponibilità, ai giudizi e ai pregiudizi, tutto questo a scuola non è possibile.

 

L'autrice

Eleonora Aquilini è laureata in Chimica, docente di Scuola secondaria di II grado. Fa parte del “Gruppo di ricerca e sperimentazione didattica in educazione scientifica del CIDI di Firenze”. Da diversi anni fa attività di formazione nel campo dell’insegnamento scientifico nei diversi ordini di scuola. Ha numerose pubblicazioni riguardanti la didattica della Chimica e delle Scienze.