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di Lina Grossipagine dimenticate

22/12/2016

Costantinopoli, tra meraviglia, curiositĂ  e tristezza

 

Per descrivere le grandi cose bisogna farsi di lontano, e per ricordarsene bene, averle un po’ dimenticate.
(E. De Amicis, Costantinopoli)

Ah! nessun diletto può star a fronte di quello che si prova entrando in un paese sconosciuto, coll'immaginazione preparata a veder cose nuove e mirabili, con mille ricordi di fantastiche letture nel capo, senza pensieri, senza cure! 
(E. De Amicis, Spagna)

 

Il racconto del mondo, che  trova espressione in letteratura attraverso un’ampia gamma di forme di narrazione del viaggio e di luoghi e culture, ha alcuni luoghi privilegiati di osservazione e narrazione. Uno di questi è Costantinopoli, la città che da mezzo millennio l’Europa identifica come il “prezioso anello di congiunzione tra l’Antichità perduta e la Modernità mai davvero raggiunta, tra il Levante e l’Occidente”[1].

Non si vuole qui entrare nel vasto e complesso universo della letteratura di viaggio,  ma rileggerne  un frammento. La curiosità è nata in chi scrive sfogliando un libro, un lontano acquisto poi dimenticato, intitolato Se un dì un  viaggio [2], un’antologia di racconti di De Amicis, viaggiatore e narratore. In genere, al nome dello scrittore il ricordo corre al  libro Cuore, mentre rimane più in ombra l’altro De Amicis, autore di una copiosa produzione che comprende anche libri di viaggio [3].
Nelle sue corrispondenze di viaggio, in giro per il mondo, scrive pagine intense godibili raffinate e ancora leggibili con piacere e interesse, come quelle su Costantinopoli  [4].
Ecco l’incipit della narrazione:  

L’emozione che provai entrando in Costantinopoli mi fece quasi dimenticare tutto quello che vidi in dieci giorni di navigazione dallo stretto di Messina all’imboccatura del Bosforo. Il mar Jonio azzurro e immobile come un lago, i monti lontani della Morea tinti di rosa dai primi raggi del sole, l’Arcipelago dorato dal tramonto, le rovine d’Atene, il golfo di Salonico, Lemno, Tenedo, i Dardanelli, e molti personaggi e casi che mi divertirono durante il viaggio, si sbiadirono per modo nella mente, dopo visto il Corno d’oro, che se ora li volessi descrivere, dovrei lavorare più d’immaginazione che di memoria.

(Costantinopoli, L’arrivo)

L’incipit esprime l’emozione e il rapimento tipico dell’arrivo per mare dopo giorni di navigazione, di fronte alla vista della città del viaggiatore scrittore -  e la consapevolezza dello scrittore che la coglie in un’inquadratura fotografica, si potrebbe dire anche cinematografica, a campo lungo da cui emergono vivi i colori e i profili del paesaggio. De Amicis ci consegna, in queste righe iniziali,  anche il suo modo di scrivere racconti di viaggio: non a caldo e sulla base del ricordo immediato ma affidando all’immaginazione la successiva rielaborazione e la scrittura letteraria.

Un gran piacere per me e per il mio amico era la profonda certezza che la nostra immensa aspettazione non sarebbe stata delusa. Su Costantinopoli infatti non ci son dubbi; anche il viaggiatore più diffidente ci va sicuro del fatto suo; nessuno ci ha mai provato un disinganno. E non c’entra il fascino delle grandi memorie e la consuetudine dell’ammirazione. È una bellezza universale e sovrana, dinanzi alla quale il poeta e l’archeologo, l’ambasciatore e il negoziante, la principessa e il marinaio, il figlio del settentrione e il figlio del mezzogiorno, tutti hanno messo un grido di maraviglia. È il più bel luogo della terra a giudizio di tutta la terra. Gli scrittori di viaggi, arrivati là, perdono il capo. Il Perthusier balbetta, il Tournefort dice che la lingua umana è impotente, il Pouqueville crede d’esser rapito in un altro mondo, il La Croix è innebriato, il visconte di Marcellus rimane estatico, il Lamartine ringrazia Iddio, il Gautier dubita della realtà di quello che vede; e tutti accumulano immagini sopra immagini, fanno scintillare lo stile e si tormentano invano per trovare un’espressione che non riesca miseramente al disotto del proprio pensiero. Il solo Chateaubriand descrive la sua entrata in Costantinopoli con un’apparenza di tranquillità d’animo che reca stupore; ma non tralascia di dire che è il più bello spettacolo dell’universo; e se la celebre Lady Montague, pronunziando la stessa sentenza, ci premette un forse, è da credersi che l’abbia fatto per lasciare tacitamente il primo posto alla propria bellezza, della quale si dava molto pensiero

(Costantinopoli, “L’arrivo”)

De Amicis è un narratore dalla prosa vivace e brillante, “alla ricerca del colore più che del fatto” [5], come poteva esserlo un intellettuale dell’Ottocento, che coglie la meraviglia e comunica al lettore, al quale spesso si rivolge, le proprie emozioni. La sua scrittura è affidata prevalentemente al sentimento, alla percezione, alla sensazione, e di questo si ha conferma  già nel capitolo iniziale in cui, con frequenza maggiore di altre, ricorrono termini quali: emozione, piacere, bellezza, meraviglia, sentimento, che rimandano tutti a un ambito estetico. Si ripetono anche  nel resto del testo, con un’alta frequenza, i termini: piacere, bellezza, sentimento. Ma nelle annotazioni paesaggistiche e nei profili umani che emergono dalle pagine deamicisiane è presente anche una capacità  di andare oltre l’estetica ottocentesca. De Amicis è un viaggiatore colto e documentato che arriva a Costantinopoli con un  bagaglio di letture sulle città, anche di argomento storico, affascinato dagli scrittori di area francese che lo avevano preceduto sulla città del Bosforo. Nel corso del viaggio ama indagare, annotare, discutere le sue fonti e le sue pagine sono percorse da una curiosità e da un desiderio di matrice razionale, oltre che emozionale, e da uno sguardo  disincantato, a tratti ironico. 

Ecco Costantinopoli! Costantinopoli sterminata, superba, sublime! Gloria alla creazione ed all’uomo! Io non avevo sognato questa bellezza! Ed ora descrivi, miserabile! profana colla tua parola questa visione divina! Chi osa descrivere Costantinopoli? Chateaubriand, Lamartine, Gautier, che cosa avete balbettato? Eppure le immagini e le parole s’affollano alla mente e fuggono dalla penna. Vedo, parlo, scrivo, tutto ad un tempo, senza speranza, ma con una voluttà che m’innebria. Vediamo dunque. Il Corno d’oro, diritto dinanzi a noi, come un largo fiume; e sulle due rive, due catene d’alture su cui s’innalzano e s’allungano due catene parallele di città, che abbracciano otto miglia di colli, di vallette, di seni, di promontorii; cento anfiteatri di monumenti e di giardini; una doppia immensa gradinata di case, di moschee, di bazar, di serragli, di bagni, di chioschi, svariati di colori infiniti; in mezzo ai quali migliaia di minareti dalla punta lucente s’alzano al cielo come smisurate colonne d’avorio; e sporgono boschi di cipressi che discendono in striscie cupe dalle alture al mare, inghirlandando sobborghi e forti.

(Costantinopoli, L’arrivo)

[Nell'immagine: La Moschea del Sultano Ahmed, disegno di  Cesare Biseo, dall'edizione del 1881]

Chi osa descrivere Costantinopoli? È la  domanda che si pone De Amicis, raccogliendo a sua volta una provocazione fortemente e autenticamente letteraria, di fronte alla meraviglia che gli provoca la visione della città, che si avvia a descrivere guidando sapientemente i lettori. Dopo lo sbalordimento iniziale, concede loro una pausa. “Ed ora i lettori vengano con me all’albergo a prendere un po’ respiro”, per poi tornare a spaziare nelle strade,  negli edifici, nelle memorie, negli usi, nella complessità etnica della città, trasmettendo loro emozioni ma anche fornendo informazioni utili a capire e stimolare la curiosità. 

Poi il senso della curiosità è prima rintuzzato che soddisfatto da questa sterminata varietà di cose strane. Che misteriosi rivolgimenti accadono nell’anima umana! Non era passato un quarto d’ora dal mio arrivo sul ponte, che stavo appoggiato alle spallette, rabescando sbadatamente un pezzo di trave colla matita, e dicendo a me stesso, tra uno sbadiglio e l’altro, che c’è qualche cosa di vero in quella famosa sentenza della Staël, che viaggiare è il più triste dei piaceri.

(Costantinopoli,  Il ponte)

La meraviglia, il sentimento di ammirazione e contemplazione per la bellezza della  città, e la curiosità, il desiderio di conoscere e di raccontare, si alternano nell’animo dello scrittore che arriva  a indulgere in momenti di malinconia tardo-romantica allorché si lascia andare a un richiamo a Madame de Staël e alla sua affermazione “Il viaggiare è il più triste dei piaceri”, per sottolineare il consapevole dissidio tra aspettative e soddisfacimento di esse. Ma il momentaneo smarrimento del letterato viene superato dallo spirito di avventura del viaggiatore che afferma subito dopo: 

Per riaversi da questo sbalordimento, non c’è che infilare una delle mille stradicciuole che serpeggiano su per i fianchi delle colline di Stambul. Qui regna una pace profonda, e si può contemplare tranquillamente in tutti i suoi aspetti quell’Oriente misterioso e geloso, che sull’altra riva del Corno d’oro non si vede che a tratti fuggitivi in mezzo alla confusione rumorosa della vita europea. Qui tutto è schiettamente orientale.

(Costantinopoli,  Stambul)

“A dispetto di ogni mutamento, Istanbul resta un insieme unico al mondo se non altro per la quantità di storia che racchiude, per le tracce che un così lungo passato vi ha impresso!” [6]scrive Corrado Augias, un viaggiatore contemporaneo, a sua volta giornalista e scrittore, che racconta la città fondendo anche lui  in un unico sguardo sapere e meraviglia. E a fianco di Augias, Franco Cardini scrive nella sua monografia sulla città:

Istanbul: cioè per i romantici Costantinopoli, per i dotti e potenti  la Nuova Roma, per l’antica leggenda ottomana il Rosso Pomo da cogliere. E, ancora e sempre, Bisanzio: il chiaro di luna sul Bosforo, l’immagine da cui siamo partiti, che ci riconduce a 007, dalla Russia con amore; oppure l’incerto balenare dell’oro oltre la fitta cortina di nebbia che tanto spesso l’avvolge nei crepuscoli mezze stagioni ci riporta a una celebre descrizione contenuta nella Costantinopoli di Edmondo De Amicis, il più bel libro di viaggio di tutto l’Ottocento italiano, ma anche a tante altre impressioni e a tanti altri ricordi.

(Franco Cardini, Istanbul, pp-7-8) 

Come abbiamo visto, oltre alla seduzione della città, è il testo di De Amicis a esercitare un’attrazione sullo studioso di storia medievale qual è Cardini. Egli, collegandosi idealmente a quello che considera il miglior libro di viaggio ottocentesco, raccoglie la provocazione e osa descrivere quella città per la quale sembra  che le parole non siano mai abbastanza a colmare il desiderio di esplorarla, narrarla, goderla.
Costantinopoli di De Amicis è dunque un classico della letteratura di viaggio, preso come punto di riferimento da angolature e modi di sentire diversi da narratori che hanno osato fornire una propria lettura di una  delle città più affascinanti città del mondo, raccontata da Oran Pamuk con la passione enciclopedica del collezionista, l’amore del figlio, il lirismo intenso del poeta [7]. Pamuk, che considera “l’opera dello scrittore italiano Edmondo De Amicis,[…] il migliore dei testi su Istanbul del XIX secolo”, racconta la sua città natia dall’interno, lontano dallo sguardo affascinato e abbagliato dai miraggi dell’esotismo e ne coglie la vena più intima nella tristezza che la domina. 

“Pensare che il motivo della mia tristezza sia la città mi trascina all’improvviso in un sogno innocente. Attribuisco a Istanbul un’epoca d’oro, un momento di autenticità e verità in cui è «completamente se stessa»  e  «interamente bella». Ma so con amarezza che la mia anima e la mia mente sono ormai lontane dall’Istanbul della fine del XVIII secolo e dell’inizio del XIX, quella disegnata da Melling e raccontata dai viaggiatori occidentali come Nerval e Gautier o De Amicis. Inoltre, a casa, comincio a riflettere e mi dico che amo la città non per la sua genuinità, ma perché è un luogo complesso, una massa di costruzioni rimaste a metà o demolite. Tuttavia la parte di me insoddisfatta e decisa a migliorare mi consiglia di sbarazzarmi della tristezza che mi impone la città. Il rumore delle strade è ancora nelle mie orecchie”.

(Orhan Pamuk, Istanbul,  pp.313-4)

La città continua dunque a esercitare nel tempo sia  il suo richiamo culturale nel fil rouge che lega gli scritti di viaggio, sia la sua spinta emozionale, inducendo gli scrittori a parlare anche di sé mentre la visitano e la narrano. Perché in fondo il viaggio è diletto ma è anche  - e forse soprattutto per dirla con Constantinos Kavafis – conoscenza e scoperta di se stessi. 

 

Note

1. Così in Franco Cardini, Istanbul, Seduttrice, conquistatrice, sovrana, Il Mulino, Bologna, 2014.
2.Edmondo De Amicis, Se un dì un viaggiatore, Piemme, Milano, 1994. Il titolo della raccolta è un voluto richiamo del curatore  a un’opera di Italo Calvino, grande estimatore dell’opera deamicisiana, in particolare del racconto  Amore e Ginnastica.
3. Si ricordano: Spagna (1873); Ricordi di Londra  (1874);Olanda (1874); Marocco (1876); Costantinopoli (1877); Ricordi di Parigi (1879).
4. Il testo è disponibile nell'edizione Creative Commons di Liber Liber a questo indirizzo
5. Cfr. Giulio Cattaneo, in Cecchi-Sapegno, (a cura di), Storia della Letteratura Italiana, , Garzanti, Milano, 1965-69.
6. Corrado Augias, I segreti di Istanbul. Storie, luoghi e leggende di una capitale, Einaudi, Torino, 2016, p. 9.
7. Così in Orhan Pamuk, Istanbul, Einaudi, Torino, 2003.
 

 

 

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.