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di Lina Grossipagine dimenticate

18/04/2015

Quel giorno, il 25 Aprile: memorie al femminile in un difficile “domani”

Ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta
e gliene chiede ragione. 

(C. Pavese, La casa in collina)

Ecco la guerra è finita. Si è fatto silenzio sull’Europa, e sui mari  intorno
ricominciano di notte a navigare i lumi… Ricominciamo, o amici,
a dormire senza soprassalti, a dire “domani”, a dimenticare la morte.

(D. Buzzati, In quel preciso momento)

 

Ha un senso, e quale senso, celebrare ancora il 25 aprile, anniversario della liberazione?
Da cinquanta’anni il 25 aprile è festa, la festa della liberazione: è vacanza nelle scuole; si fanno cerimonie e discorsi ufficiali; gli italiani vanno a spasso o in gita fuori città; la primavera contribuisce a dare alla ricorrenza un sapore di evasione e di svago.
Ma quello che la data evoca è un evento grande e terribile […] qualcosa di decisivo per la storia del paese: punto di arrivo di una vicenda drammatica, punto di partenza della ricostruzione della democrazia italiana.

Così si apriva il saggio di Pietro Scoppola 25 Aprile. Liberazione, pubblicato nel 1995 proprio in quella collana “Einaudi Contemporanea” che, diretta da Gustavo Zagrebelsky, era dedicata alla costruzione di un “lessico civile”. Oggi, a settanta anni da quel 25 aprile 1945, la domanda sul senso da attribuire a questa data sembra essere ancora aperta. Proprio per questo, accanto alla riflessione puntuale sul processo di liberazione democratica e sulla sua effettiva compiutezza nelle coscienze dei singoli cittadini e nella vita sociale - argomento questo oggetto di una vastissima storiografia -, su insegnare si vuole  ricordare (ri)proponendo la lettura di alcune memorie al femminile. 
Ci sono pagine di letteratura che rimangono documenti preziosi per far conoscere ai giovani e ai ragazzi delle scuole l’esperienza storica e umana della Liberazione e, quello che più conta, per far capire il dramma e gli  orrori che la guerra produce, nella fase bellica e nel difficile “domani”. 

Se si pensa che tra i motivi per i quali è scoppiata la prima guerra mondiale - che apre il secolo breve, l’epoca ritenuta da Eric J. Hobsbawm la più violenta della storia dell’umanità - vi era una diffusa mancanza di consapevolezza che impedì di comprendere il lento scivolare verso la guerra, perché si continuava a credere che un simile evento non potesse mai accadere, un possibile antidoto all’inconsapevolezza è mantenere vive la memoria e la riflessione, per  formare  coscienze orientate al rispetto, alla tolleranza  e alla negazione della guerra come soluzione dei conflitti.
Il difficile “domani” e la fatica di ridare un senso alla propria esistenza, dopo  un grande e sanguinoso conflitto quale è stata la seconda guerra mondiale, emergono dalle pagine di Natalia Ginsburg, che si interroga anche, negli stralci riportati di seguito, sul ruolo della scrittura letteraria. 

C’è stata la guerra e la gente ha visto crollare tante case e adesso non si sente più sicura nella sua casa com'era quieta e sicura una volta. C'è qualcosa di cui non si guarisce e passeranno gli anni ma non guarire­mo mai. Magari abbiamo di nuovo una lampada sul tavolo e un vasetto di fiori e i ritratti dei nostri cari, ma non crediamo più a nessuna di queste cose perché una volta le abbiamo dovute abbandonare all'improv­viso o le abbiamo cercate inutilmente fra le macerie.[…]

Non guariremo più di questa guerra. È inutile. Non saremo mai più gente serena, gente che pensa e studia e compone la sua vita in pace. Vedete cosa è stato fat­to delle nostre case. Vedete cosa è stato fatto di noi. Non saremo mai più gente tranquilla.
Abbiamo conosciuto la realtà nel suo volto più te­tro. Non ne proviamo più disgusto ormai. C'è ancora qualcuno che si lagna del fatto che gli scrittori si ser­vano d'un linguaggio amaro e violento, che racconti­no cose dure e tristi, che presentino nei suoi termini più desolati la realtà.
Noi non possiamo mentire nei libri e non possiamo mentire in nessuna delle cose che facciamo. E forse questo è l'unico bene che ci è venuto dalla guerra. Non mentire e non tollerare che ci mentano gli altri.[…]

Il pericolo, il senso di doversi na­scondere, il senso di dover lasciare all'improvviso il calore del letto e delle case, per tanti di noi è comin­ciato molti anni fa. Si è insinuato negli svaghi giova­nili, ci ha seguito sui banchi della scuola e ci ha inse­gnato a veder nemici dovunque. Così è stato per tanti di noi, in Italia e altrove, e si credeva che un giorno avremmo potuto camminare in pace sulle strade delle nostre città, ma oggi che potremmo forse camminare in pace, oggi noi ci accorgiamo che non siamo guariti di quel male. Così siamo costretti a cercare sempre nuove forze, sempre una nuova durezza da contrap­porre a qualsiasi realtà. Siamo spinti a cercare una se­renità interiore che non nasce dai tappeti e dai vasetti di fiori.

Non c'è pace per il figlio dell'uomo. 

(stralci da Natalia Ginsburg, “Il figlio dell’uomo” in Le Piccole virtù, Einaudi, Torino, (1962) 2012.)

Tra le altre pagine che si vogliono ricordare, anche quelle di Miriam Mafai, che  racconta in Pane nero la prima storia delle donne vissute negli anni del “pane nero”, anni che le hanno viste in tanti ruoli: di capofamiglia, di attiviste e di “uniche vincitrici della guerra perduta”.
Si propongono alcuni stralci dal cap. XI,  “Il prezzo della liberazione”

Si torna alla normalità, una bella normalità di prima della guerra, quando non c’erano i bombardamenti, i rastrellamenti, le razzie e la fame. Di questa normalità ritrovata fa parte la rivalutazione dei buoni sentimenti, l’amore, il fidanzamento, il matrimonio. [...]

Si torna alla normalità: il desiderio di tranquillità si legge anche nella moda. Nel primo dopoguerra le gonne si erano accorciate, le donne si erano tagliate i capelli cortissimi, andavano di moda “le maschiette”, un po’ libertine e impudenti. Il nostro dopoguerra che è incominciato nel 1943 in Sicilia, nel 1944 a Roma e nel 1945 in tutto il paese, si svolge all’insegna della tenerezza ritrovata: il più grande sarto francese, Christian Dior, impone il cosiddetto “new look”, gonne larghissime e lunghe alla caviglia, seni e fianchi abbondanti, come una nostalgia e una voglia di opulenza. […]

La liberazione non è l’improvviso mutamento nel quale molti avevano sperato: il ritorno alla normalità si colora di vecchie e nuove ingiustizie.[…]

Tornano i reduci.
Lucia non aspetta più nessuno. Sente che suo marito non potrà tornare. Ma anche lei, come migliaia di donne, va alla stazione e attacca la fotografia del marito sul muro, con l’indicazione del reparto al quale apparteneva. Il muro è pieno di queste fotografie di dispersi sotto la scritta che chiede, a chi li ha visti, a chi li ha conosciuti, di mandare qualche informazione alla famiglia. Nessuno le scrisse mai niente. […]

Tornano i reduci. Tornano dai campi di prigionia, da paesi lontanissimi, dove spesso hanno imparato altre lingue e conosciuto altre donne, dai campi di concentramento dove hanno patito la fame, la lontananza e le malattie. Tornano dopo anni, più vecchi, più magri, più rabbiosi. Spesso pieni di amarezza nei confronti di un paese che durante la loro assenza è così profondamente cambiato. Anche le donne che li hanno aspettati sono cambiate. I figli sono cresciuti. Non li ricordano. E’ tutto da ricominciare. […]

Tornano i reduci: le donne che negli anni della guerra hanno preso il loro posto, in fabbrica o negli uffici, devono prepararsi a sgombrare, a restituire il posto di lavoro. […]

Tornano i reduci. E quando i reduci sono donne? Tornano dai campi di concentramento in Germania le superstiti dell’inferno. […] Quando rientrano in Italia, dopo la Liberazione, sono larve umane.

La guerra è proprio finita, anche se a Milano Genova Venezia Napoli sono ancora piene di macerie, anche le scuole e le caserme sono piene di sfollati, anche se per le strade c’è ancora la borsa nera, anche se la gente muore ancora di tubercolosi. La guerra è finita : la grande ondata di emozione, violenza, coraggio, la grande ondata di paura, di tipo, di scabbia, la grande ondata di odio, fame e disobbedienza, si sta ritirando.

 La guerra è proprio finita”.  

(stralci da Miriam Mafai, Pane nero, Ediesse, Segrate, 1987)

“Una volta sofferta, l’esperienza del male non si dimentica più”, scrive Renata Viganò  nell’incipit del romanzo L'Agnese va a morire nel quale narra il  periodo che va dal settembre del 1943 alla primavera del 1945, alle soglie della Liberazione. La contadina protagonista della storia è anche la rappresentazione di un’immagine collettiva, come scrive Sebastiano Vassalli, "di tutte quelle donne che da una quotidianità semplice e di lavoro duro si sono ritrovate nella folla che ha costruito con grande sofferenza la strada della libertà".

Una sera di settembre l’Agnese tornando a casa dal lavatoio col mucchio di panni bagnati sulla carriola, incontrò un soldato nella cavedagna. Era un soldato giovane, piccolo e stracciato. Aveva le scarpe rotte,  e si vedevano le dita dei piedi, sporche, color di fango. Guardandolo, l’Agnese si sentì stanca. Si fermò, abbassò le stanghe. La carriola era pesante.
Ma il soldato aveva gli occhi chiari e lieti, e le fece il saluto militare. Disse: - La guerra è finita. Io vado a casa. Sono tanti giorni che cammino-. L’Agnese si slegò il fazzoletto sotto il mento, ne rovesciò le punte sulla testa, si sventolò con la mano: - Fa ancora molto caldo-. Aggiunse, come se si ricordasse: - La guerra è finita. Lo so. Si sono tutti ubriacati l’altra sera, quando la radio ha dato la notizia-. Guardò il viso del soldato e sorrise, un sorriso rozzo e inatteso sulla sua faccia bruciata dall’aria. Io credo che i guai peggiori siano ancora da passare, - disse improvvisamente, con la rassegnata incredulità dei poveri. C’è stata la guerra e la gente ha visto crollare tante casa e adesso non si sente più sicura nella sua casa com’era quieta e sicura una volta. C’è qualcosa di cui non si guarisce e passeranno gli anni ma non guariremo mai.[…]Una volta sofferta, l’esperienza del male non si dimentica più.

(da Renata Vigano, L’agnese va a morire, Einaudi, Torino, (1946), 2013)

Infine, una immagine, tratta da un libro di Tina Anselmi (Zia cos'è la Resistenza? Manni editore, San Cesano di Lecce, 2003), rappresenta in modo molto forte e immediato il contrasto tra “l'anomalia della guerra” e la "normalità della quotidianità" negli anni della Resistenza.

Per concludere questa veloce riflessione su un evento terribile e temibile, la guerra, che impone oggi più che mai l’esigenza di tenere l’occhio vigile in un contesto internazionale dilaniato dai conflitti, e riprendere la domanda di senso iniziale, si propongono ancora le parole di Scoppola:  “celebrare il  25 aprile  significa aprirsi alla cultura della liberazione, all’idea di traguardi più avanzati di dignità e libertà umana […] significa aprirsi alla prospettiva di una lotta per la liberazione che continua oggi e deve continuare domani”.

                  Modena. Archivio Storico

 

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.