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di Lina Grossipagine dimenticate

01/03/2015

Imparare la lingua per vestire i pensieri

UNA FRASE. – Eccomi.
LO SCRITTORE (guardandola). – Le rassomigli; ma non sei per l’appunto quella che cerco.
LA FRASE. – Ma son bella.
LO SCRITTORE. – Lo vedo, e mi tenti. Ma non puoi vestir la mia idea, le faresti addosso delle pieghe, e parresti un abito preso a nolo.
LA FRASE. – Ma poiché non n’hai altre alla mano! Chi sa quanto avresti a cercare, e forse senza trovare! Pigliami. I lettori, colpiti dal mio color vivo, non baderanno alle pieghe.
IL BUON GUSTO. – Non le dar retta: le vedrebbero, come si vedono le rughe anche in un bel viso. Rifiutala.
LA FRASE. – Farai vedere se non altro che mi possiedi, sarò un segno di più della tua ricchezza.
IL BUON GUSTO. – E del tuo cattivo gusto e della tua improprietà e della vanità per giunta. Mandala via e cerca ancora.

Questa sollecitazione alla ricerca della proprietà espressiva nella scrittura viene da lontano, da una pagina di Edmondo De Amicis  che nel capitolo “Con la penna in mano” di un suo libro, L’idioma gentile, mette in scena un dialogo tra un “giovanetto che scrive” e alcune personificazioni che gli fanno visita e lo consigliano: Il genio amico- Il Buon gusto- Il Buon senso - Idee, frasi, parole - Un’idea velata -L’Ambizione.

La ricerca della parola propria e la raccomandazione a pensarci prima di scrivere sono alcune idee centrali del libro, scritto con l’intento di  diffondere un uso più vivo e più raffinato della lingua italiana. Un libro molto piacevole e fruibile, nonostante la patina del tempo, pubblicato in una seconda edizione “riveduta e corretta” dallo stesso autore nel 1906, e  strutturato in forma di racconto con finalità didattiche, una sorta di exemplum moderno. Le  situazioni e i personaggi descritti incarnano vizi e virtù, vale a dire atteggiamenti errati e corrette modalità di acquisizione della lingua.

Dalla riflessione teorica scaturiscono alcuni principi di scrittura proposti in chiave didattica, ancora molto attuali, se si pensa  alle difficoltà a scrivere delle nuove generazioni, segnalate da più parti. 

Per scrivere efficacemente, osserva  De Amicis,  sono essenziali la brevità, che “quando non nuoce alla chiarezza, è bellezza e forza.”, e la proprietà espressiva e l’esattezza  lessicale , perché  “ad imparare a scrivere e a parlare con proprietà e con esattezza, a dar contorno fermo e netto all’espressione del proprio pensiero e a rendere di questo tutte le flessioni e le sfumature, non c’è lavoro più utile che l’esercitarsi a discernere le più piccole gradazioni di significato delle parole, a adagiare l’una voce sull’altra, per vedere dove combacino, dove no, dove sia maggiore il rilievo, dove più delicati i contorni”.

La ricerca tra vocaboli concorrenti per designare idee e concetti, attraverso un uso attento e consapevole del dizionario, è un esercizio che dovrebbe essere continuo sui  banchi di scuola. Usare le parole appropriate è un’abitudine da acquisire per esprimere e rivestire i propri pensieri con abiti adeguati. È quanto viene consigliato nel passo che segue, ricco di ironico acume.

Una signorina

O signorina, anche lei? Ma come? Metterà tanta cura ad abbigliare la sua graziosa persona e non ne vorrà metter punto a vestire i suoi pensieri? Porrà tanto studio a camminare con grazia e nessun impegno a parlar con garbo? Cercherà con tant’arte di modular dolcemente la sua voce e non le importerà di pronunziare con dolcezza parole spurie e frasi barbare? […] Non è uno studio per la donna? Ma direi che è il primo studio che ella ha da fare, poiché la madre è la prima maestra dei suoi figliuoli, e perché in ogni società colta sono, e non possono esser che le donne quelle che insegnano ed impongono nella conversazione la dignità del linguaggio, la finezza dello scherzo, l’urbanità della contraddizione. E come si può far questo non conoscendo la lingua? Ah, ella scuote il capo, con un sorrisetto: ho capito. È bella, ed ha vanità femminea, non ambizione letteraria, e pensa che un viso come il suo basterà, senza il sussidio del vocabolario e della grammatica, ad attirarle da per tutto l’ammirazione e l’ossequio. Ma s’inganna, signorina. Se sapesse che peggior effetto fa una parola brutta sur una bocca bella, e com’è più ridicola la sgrammaticatura detta con un sorriso vanitoso! E se sentisse con che barbara compiacenza le belle amiche commentano e portano in giro il piccolo sproposito dell’amica bella! Andiamo, mi confessi che ha torto, e mi conforti anche lei, almeno per un tratto di strada, della sua cara compagnia.

Dal momento però che “pensieri e parole nascono nella mente gemelli” è presupposto essenziale il legame tra cosa o concetto da esprimere e forma dell’espressione.  Per vestire in modo adeguato i propri pensieri occorre evitare i rischi che derivano da una povertà lessicale. Limando qualche espressione troppo datata e modificando quanto basta da renderlo in un linguaggio più moderno, potrebbe rivelarsi un'introduzione perfetta per lo studio del lessico e l’uso dei sinonimi e contrari, il capitolo intitolato “Il signor Coso”, (pensando ai tanti vuoti di linguaggio oggi  e al massiccio uso di intercalari) di cui si propongono alcuni passaggi.   

Il Signor Coso

Non che fosse propriamente taciturno: alle conversazioni degli amici prendeva parte; ma accennava ogni suo pensiero con poche sillabe, in modo informe, e masticava il resto con voci inarticolate, e con un atto del capo e un cenno trascurato della mano invitava l’uditore a fare in vece sua il molesto lavoro di compiere l’espressione dell’idea ch’egli aveva abbozzata. Con un come si dice? si liberava dalla seccatura di dir la cosa; lasciava a mezzo ogni periodo con un insomma, tu capisci; e con la parola coso faceva di meno di mille vocaboli. Per questo gli avevan dato il soprannome di Coso. – “Sai, questa mattina ho veduto coso, laggiù.... Dice che per quell’affare.... tu sai.... niente; salvo il caso.... ma neanche nel caso.... Tu m’intendi –„. Era questa la forma tipica del suo discorso. […]Dal tempo che andava a scuola, dove a nessun professore era mai riuscito di cavargli più di quindici righe su qualunque soggetto di componimento, egli era venuto restringendo sempre più il suo linguaggio, nel quale ai vocaboli si sostituivano i gesti, e alla pronunzia scolpita un barbugliamento d’addormentato. Egli aveva un gesto per dire: – Non ti fidar del tale: è un briccone; – un gesto per annunziare che una commedia aveva fatto fiasco, che un certo affare non premeva, che d’un altro affare non si voleva impicciare; e tutte le gradazioni dello stupore, della maraviglia, del dispiacere esprimeva con una sola esclamazione, diversamente intonata: – Oh diavolo! – E s’aveva un bel burlarlo di questa sua stranezza: egli scrollava le spalle e rispondeva: – Chiacchieroni! […]Poiché pensiero e parola nascono nella mente gemelli, chi si disavvezza dall’esprimere il proprio pensiero, si disavvezza a poco a poco anche dal pensare. Questo era seguìto a lui: le facoltà di pensare e di parlare gli s’erano arrugginite ad un tempo. Egli pensava a pensieri indeterminati, monchi e sconnessi come il suo linguaggio, e dall’inerzia del cervello gli era venuta una grande indifferenza per ogni cosa. È questo l’ultimo e peggior danno nel quale incorrono tutti coloro che per pigrizia rifuggono usualmente dalla fatica di tradurre il propriopensiero in parole. Negli ultimi suoi anni Coso non leggeva nemmeno più i giornali: si contentava di raccoglier le notizie politiche al caffè o per la strada, e quando gliele davano con troppi particolari, tagliava la parola in bocca all’amico, dicendogli: – Insomma, hanno cosato il bilancio – oppure: – alle corte, avremo un ministero Coso –, e aggiungeva un gesto che significava: – Basta, basta; ho capito; oh che fastidio![…]

Certo quelli che si lasciano andare fino a un tal segno son rari. Ma quanti non sono quelli che parlano presso a poco al modo di Coso; che, per infingardaggine intellettuale o per disprezzo dell’arte volgare del discorso, non dànno del proprio pensiero che briciole e sgoccioli, non mettono nella conversazione che la materia bruta del loro concetto, lasciando agli altri la cura di lavorarla, come una faccenda indegna di loro? Il mondo n’è pieno. Ma se l’uomo si può definire “l’animale parlante„, codesti non sono uomini... sono cosi.

 Il volume è reperibile nel catalogo digitale IntraText  a questo indirizzo ed è stato recentemente ristampato da Baldini Castoldi Dalai.
Ma, per chi è a Roma e voglia concedersi una piacevole esperienza, esso è leggibile  nella biblioteca della "Casa delle Letterature", tra i volumi di sola consultazione del Fondo Enzo Siciliano. Una lettura piacevolissima, aumentata dalla stupenda cornice del giardino interno all’edificio che ospita la Casa. Lì chi scrive ha avuto modo di (ri)trovare il testo e di (ri)leggerlo, rimanendo  colpita per la sua ironica attualità e per certi efficaci spunti di riflessione.  

 

Immagini

Dall'alto
-Copertina della seconda edizione de  L'idioma gentile, Fratelli Treves, 1906.
-Giardino della "Casa delle Letterature", fotografia dell'autrice, fotolg©insegnare2015.

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.