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di Lina Grossipagine dimenticate

13/09/2015

I mezzi e il fine

La Natura è un tempio dove incerte parole
mormorano pilastri che son vivi,
una foresta di simboli che l’uomo
attraversa nel raggio dei loro sguardi familiari

(C. Baudelaire, Corrispondenze

La ricerca OCSE PISA del 2012 [1] - che riguarda, come è noto, i quindicenni scolarizzati e coinvolge più di 60 Paesi del mondo – ha considerato di vitale importanza la relazione docente-studente.  Dalla correlazione tra le variabili ambientali  e il rendimento nella lettura, in matematica e nelle scienze, è emerso che i Paesi in cui gli studenti sono più felici di stare a scuola sono quelli in cui si registrano i migliori risultati disciplinari.

Quale cura prestano i diversi sistemi educativi nei confronti del benessere complessivo degli studenti? La ricerca ha indagato[2] alcuni aspetti della relazione docente-studente connessi all'ambiente di apprendimento, quali l’assenteismo degli studenti (che si concretizza nell’arrivare tardi e nel marinare la scuola) e il clima scolastico (relazione studenti-docenti, clima in classe, stato d’animo degli insegnanti) [3].
Per l’Italia, lo studio dell’andamento di alcune variabili ambientali ha evidenziato una maggiore criticità nello svolgimento della normale attività didattica rispetto alla media internazionale, almeno secondo il parere degli studenti che è stato rilevato in PISA. Tali variabili, correlate a una serie di fattori  relativi allo svolgimento delle lezioni (gli studenti non ascoltano ciò che dice l’insegnante; c’è rumore e confusione; l’insegnante deve aspettare a lungo prima che gli studenti facciano silenzio; gli studenti non riescono a lavorare bene; iniziano a lavorare molto tempo dopo l’inizio dell’ora), hanno registrato soltanto un lieve miglioramento, nel periodo tra il 2003 e il 2009-12[4], del clima in cui si svolgono le lezioni in classe.
Mutamento che però spiega, a detta degli esperti PISA, solo una parte minima del complessivo miglioramento delle performance complessive degli studenti. Un ulteriore approfondimento dei risultati della ricerca PISA è stato condotto dal mensile “Focus”, mediante il contributo di alcuni economisti in un numero curato da Francesxca Borgonovi [5].
L’opuscolo  prende in esame l’attenzione prestata dai sistemi educativi dei diversi Paesi al benessere e allo sviluppo sociale ed emotivo degli studenti, e consente di notare come gli studenti finlandesi, i migliori in Europa, e quelli coreani, con punteggi molto più alti della media e tra i primi al mondo, risultano avere un senso di appartenenza ben al di sotto della media e di non essere felici a scuola, nonostante le ottime performance [6].  Questi due casi, che rappresentano un’eccezione al trend complessivo, aprono una riflessione: se, infatti, il rendimento scolastico andasse a scapito del benessere complessivo dei singoli, questo non può essere considerato un successo completo da parte di un sistema educativo. Tenuto inoltre conto, come mostrano studi condotti dall’OCSE in tale direzione, che i risultati positivi ottenuti nei test PISA sono in qualche modo predittivi del successo futuro post scolastico, è importante incrementare le possibilità di un miglioramento delle performance. Ma come farlo senza danneggiare l’equilibrio emotivo degli adolescenti?

Una soluzione potrebbe essere fornita dal miglioramento delle situazioni di contesto: una buona relazione con gli insegnanti può favorire lo sviluppo complessivo degli studenti. A questo proposito, PISA in “Focus” si chiede: “Le relazioni docente-studente incidono sullo star bene a scuola degli alunni?”. Il tema è da tempo ampiamente dibattuto. La motivazione allo studio non è una caratteristica intrinseca degli studenti ma nasce da fattori diversi tra i quali la relazione. 
Per incrementare le possibilità di successo in PISA e per un migliore sviluppo sociale ed emotivo degli allievi, potrebbe dunque essere opportuno migliorare le relazioni interpersonali. L’istantanea della nostra scuola fornita dai dati non è appagante: gli studenti italiani sono tra i meno felici di stare a scuola, stando a quanto dichiarato nei questionari, e l’Italia è quartultima, tra tutti i Paesi partecipanti, per quanto riguarda la maturazione di un senso di appartenenza alla comunità scolastica derivante da un buon rapporto docente-studente.

Come avverte questo problema l’insegnante? Quelle che seguono sono alcune tra le risposte fornite da insegnanti di scuola primaria nelle interviste condotte nell’ambito di studi di caso realizzati a latere della ricerca internazionale IEA-PIRLS tra gli anni 2002-2008. La domanda rivolta loro era diretta a sondare la bibliografia e i nuclei solidi della teoria pedagogica e gli ambiti connessi con la capacità di mediazione del docente nella didattica quotidiana: la consapevolezza della complessità del ruolo attuale dell’insegnante, le caratteristiche organizzative, la conoscenza e la gestione degli aspetti relazionali e la capacità di valorizzare ciascun allievo.

  • “L’insegnante è come un pittore a cui se tu chiedi di fare lo stesso quadro non te lo fa tale e quale” (p. 5).
  • “L’insegnante deve amare la lettura perché diventa difficile trasmettere ai bambini qualcosa che non si sente, è difficile farla piacere anche a loro; riesce meglio quello che piace anche all’insegnante” (p. 85).
  • “La molla è sempre quella dell’interessarli, di motivarli” (p. 21).
  • “Non è importante tanto il cosa, ma il come si insegna”(p. 33).
  • È fondamentale come si pone una persona: il miglior professore non è il migliore insegnante(p. 34).
  • L’aspetto della relazione credo sia molto importante perché non c’è apprendimento, non c’è conoscenza se manca un sostegno relazionale ... l’aspetto della relazione non può essere assolutamente staccato, separato ... quando un bambino ha delle carenze affettive ... non apprende ... [L’aspetto relazionale] è in qualche modo un feeling che sostiene l’apprendimento e motiva la conoscenza”. (p. 54).
  • “Educare all’ascolto è la prima porticina che devi aprire, così entri in loro, e dopo incominci a raccontare, a far leggere…Creare dei momenti in cui è bello solo leggere perché leggere è bello.” (p. 64).
  • “Bisogna saper suscitare l’interesse e non sempre si riesce” (p. 78).
  • “Ci arrangiamo come possiamo…le difficoltà permangono” (p. 77).

da Studio osservativo IEA ICONA 2002-2004.

  • “Piuttosto che una professione il mio lavoro è quello dell’artigiano…io mi faccio guidare molto dal buon senso e quando ho fatto errori è stata l’esperienza e non la teoria che mi ha aiutato a correggerli”(p. 64).
  • “Penso che un clima tranquillo e la garanzia di uno svolgimento ordinato delle lezioni siano di grande aiuto per agevolare la loro capacità di concentrazione” (p. 79).
  • “Io cerco sempre di incoraggiarli e tranquillizzarli… Fondamentalmente il principio a cui mi ispiro è quello della collaborazione… Loro amano raccontare ma non tanto ascoltare (p. 91).
  • “Se avessi la bacchetta magica, farei una scuola nuova: cercherei di dare più spazio a questi ragazzi: una palestra, che non abbiamo, laboratori per attività varie e per l’uso del computer (ci sono ma non sono attivi); i ragazzi stanno sempre chiusi in classe per quattro ore. Ma in effetti tutti giorni adoperiamo la bacchetta magica, per ottenere qualcosa da questi ragazzi! (p. 108).
  • “Il mio modello pedagogico:l’insegnante che ha saputo trasmettermi il mestiere” (p. 108).
  • “Attribuisco grande importanza all’esperienza e alla motivazione che deriva dai risultati positivi” (p. 152).


Da "Studi di caso" a cura di Lina Grossi e Silvana Serra, in Ricerca IEA-PIRLS 2006, La lettura nella scuola primaria in Italia, Armando editore, Roma, 2008; scarica qui il testo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella rappresentazione di sé fornita in questa occasione, gli insegnanti sembrano consapevoli dell’importanza di promuovere l’apprendimento e le competenze disciplinari, in sintonia con l’attenzione allo sviluppo emotivo e sociale degli studenti, pur nelle difficoltà costanti in cui si trovano a operare. 

Sembra che in Italia la scuola primaria, sempre nei primi posti nelle rilevazioni internazionali, sia riuscita a coniugare la capacità di sviluppo delle competenze di base e la capacità di inclusione e di accoglienza degli allievi, mentre  persiste una difformità di risultati e di impostazione tra scuola primaria e secondaria. Restano quindi domande aperte e zone d’ombra che avviano molti ambiti di riflessione e spingono ad affermazioni e provocazioni semiserie, come scrive Alessandro Banda: "La noia ha sempre regnato sovrana nelle scuole” (p. 19) e ancora “Pare insomma che negli anni, anzi nei secoli e millenni, non muti nulla o ben poco. La scuola ha tutta l’aria di essere una foresta pietrificata. Attraversiamola” (p. 20); resta valida tuttavia la premessa che “per me, come per altri oscuri professori, la scuola è innanzitutto un’esperienza” (p. 7) [8].

La relazione tra insegnante e studente è anche al centro delle riflessioni di Daniel Pennac sulla sua esperienza di insegnante. Come si pongono gli studenti che “vanno male”? Questi studenti “non vengono mai soli a scuola. In classe entra una cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti… arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla. Difficile spiegarlo, ma spesso basta solo uno sguardo, una frase benevola, la parola di un adulto, fiduciosa, chiara ed equilibrata per dissolvere quei magoni, alleviare quegli animi, collocarli in un presente rigorosamente indicativo”  Di qui l’esigenza di maggiore accoglienza per tutti. Di nuovo le parole di  Pennac: “C’è l’appello del mattino. Sentire il proprio nome pronunciato dalla voce del professore è un secondo risveglio… Recitare una lista di nomi come se si contassero le pecore, è inammissibile. Io chiamo i miei ragazzi guardandoli, li accolgo, li nomino uno per uno e ascolto la loro risposta. In fondo l’appello è l’unico momento della giornata in cui il professore ha l’occasione di rivolgersi a ciascuno dei suoi studenti, anche se solamente pronunciando il suo nome. Un breve istante in cui lo studente deve sentire di esistere ai miei occhi, lui e non un altro. Dal canto mio cerco per quanto possibile di cogliere il suo umore dal suono che fa il suo ‘presente’. Se la voce è incrinata, bisognerà eventualmente tenerne conto” (p. 109) [9].

In sintesi,  se i  mezzi sono  il miglioramento delle relazioni interpersonali e il benessere degli studenti, il fine è altrettanto condivisibile?  Si vuole capire la scuola, nelle sue diverse componenti e dinamiche, per migliorarla e per rendere gli studenti persone capaci di amare il sapere e cogliere la bellezza della vita oppure per renderla più funzionale rispetto al mondo esterno e per dotare i giovani di specifiche competenze funzionali prioritariamente al mondo del lavoro? Su questo è bene continuare a riflettere. 

Oltre ai testi citati, si possono ricordare situazioni e figure di insegnanti, in bilico tra entusiasmo e rassegnazione, presenti  in pagine letterarie del Novecento. In particolare in:
G. Verga, Il maestro dei ragazzi (Vagabondaggio);
L. Pirandello, L’eresia catara, La mosca (Novelle per un anno);
H. Hesse, Lezione interrotta (Racconti);  
A. Moravia, La disobbedienza;
E. Morante, Lo scolaro pallido (Il gioco segreto)

Note

1. I risultati di PISA 2012 sono reperibili sul sito OECD; visita la paginaCfr. la tabella  “Good teacher-student relations foster a sense of belonging among students”, p.2.
A. Banda2. Per il Quadro teorico e i risultati internazionali si veda “How the Quality of the Learning Environment is Shaped”, in   PISA 2012 Results: What Makes Schools Successful? Resources, Policies and Practices (Volume IV); scarica il pdf.
 3. Le informazioni su motivazioni e atteggiamenti nei confronti della scuola e dell'apprendimento derivano dal questionario riservato agli studenti;  quelle sulla scuola nel suo insieme dal questionario compilato dai Dirigenti Scolastici.
4. Cfr.PISA 2012, Rapporto nazionale, a cura di Invalsi, Box 3, pag.222-3.
5. "Focus", n. 50, Aprile 2015.
6. Cfr. in op. cit., la tabella  “Good teacher-student relations foster a sense of belonging among students”, p.2.
 7. Con un excursus nel tempo, il saggio contiene riferimenti a numerosi testi (da Orazio, Petronio, Giovenale, ­a Sant’Agostino, Dante, Montaigne, fino a T. Mann) che testimoniano come nel corso dei secoli gli insegnanti siano sempre stati malpagati, le strutture insufficienti, gli studenti ribelli e le lezioni noiose.
8. Cfr. A. Banda, “Una lagna lunga duemila anni”, in Il lamento dell’insegnante, Guanda, 2014.
9. Cfr. D. Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, Milano, 2008, p. 55.

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.