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di Lina Grossipagine dimenticate

20/04/2018

Il sapore delle storie

Ovvero il cibo raccontato come movente simbolico

“.…la novella vale per quel che su di essa tesse e ritesse ogni volta chi la racconta, per quel tanto di nuovo che ci s’aggiunge passando di bocca in bocca”

(I. Calvino, Sulla fiaba)

Prima ancora che potessero immaginare il fatto stesso di scrivere, gli esseri umani inventavano e si raccontavano storie. Raccontare storie è dunque un istinto umano fondamentale dell’uomo, secondo la tesi dello statunitense Jonathan Gottschall, il quale tenta di esplorare l’enigma della finzione, ossia il mistero dell’inspiegabile istinto a narrare dell’uomo, e di spiegare perché viviamo sempre e comunque immersi nei racconti.
Che cosa ci accade mentre viviamo un’esperienza finzionale? Sulla base delle ricerche più avanzate della biologia e delle neuroscienze, le risposte alla finzione narrativa hanno mostrato che la mente umana si attiva e determina nuove connessioni neurali, preparando le vie nervose che regolano le nostre risposte alle esperienze di vita reale. Le storie sembrano dunque comportarsi come simulatori di problemi e in questo risiede il loro potere ammaliante [1].

Se in Gottschall l’idea di come si sviluppi questa capacità è nuova e affascinate, la consapevolezza dell’importanza del raccontare, nelle sue molteplici forme, come risposta a un bisogno di comunicazione e di contatto tra gli esseri umani, attraverso il tempo e lo spazio, è da tempo oggetto di riflessione. L’arte del narrare, asserisce Roland Barthes [2]  “è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; il racconto comincia con la storia stessa dell’umanità, non esiste, non è mai esistito un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti sono fruiti in comune da uomini di culture talora opposte [...] internazionale, trans-storico, trans-culturale, il racconto è là come la vita”.

Aspetto costitutivo e rilevante di molta parte delle narrazioni, in forma orale e scritta, è l’elemento fiabesco presente in numerosi generi letterari ancora prima della nascita della fiaba come genere di narrativa autonomo, che trova espressione nel Cunto de li Cunti o Pentamerone di G. Basile, la prima raccolta europea di fiabe popolari [3].
Questa forma narrativa diffusa ovunque nel mondo mostra un carattere di universalità, non solo perché presente nelle diverse culture, ma anche e soprattutto perché propone ai suoi fruitori - narratori, ascoltatori o lettori che siano - una prospettiva di globalità per la sua capacità di prospettare tutti i destini dell’uomo, di essere metafora della condizione umana. Le fiabe infatti, “prese tutte insieme, sono - per dirla con le parole di Italo Calvino - nella loro ripetuta e sempre varia casistica di vicende umane, una spiegazione generale della vita” [4], nata in tempi remoti e conservata fino a noi, una sorta di catalogo dei destini che possono darsi all’essere umano nella sua vicenda esistenziale. Per questo il linguaggio della fiaba è simbolico: i tempi, i luoghi, gli oggetti, gli eventi, dietro l’apparente immediatezza e semplicità, rimandano a un significato più profondo, che tocca la sfera delle emozioni e dell’inconscio del fruitore.

Le fiabe italiane di Calvino fanno parte di un patrimonio culturale che continua a esercitare una suggestione intensa sia sui bambini sia sugli adulti e ciò è dovuto alla singolare efficacia insita in ogni fiaba di essere metafora della vicenda umana: “nelle perle di vetro della fiaba si riflette l’universo (Max Lütni)”. Ma è dovuto anche a quell’insieme di elementi variabili che legano le storie al contesto locale del narratore: il contafiabe prima, lo scrittore poi. Entrambi, come nella celebre fiaba di Pollicino di C. Perrault, lasciano tracce della loro presenza: nei particolari che rinviano al vivere quotidiano e alle tradizioni locali.
Il fatto che le favole siano uguali dappertutto non esclude una qualche diversità che può esprimersi nell’aggiunta o nell’eliminazione di motivi, personaggi e particolari, nell’atmosfera complessiva in cui è inserito il racconto. La fiaba - scrive Calvino - “qualunque origine abbia, è soggetta ad assorbire qualcosa dal luogo in cui è narrata, - un paesaggio, un costume, una moralità, o pur solo un vaghissimo accento o sapore di quel paese,-…” [5].
Sebbene, infatti, non sia possibile legare le fiabe a strutture culturali regionali [6] è però possibile trovare, nei particolari e negli aspetti più propriamente di contenuto, rimandi alla storia e alla cultura del narratore, di colui o di colei che ha raccontato a voce le storie scelte da Calvino e inserite nella sua raccolta di fiabe. Ciò che è comune alle fiabe è il suo nucleo originario che può contare anche millenni; ciò che invece è occasionale e variabile è il corredo di informazioni e di particolari che variano in base al colore locale e al vissuto del narratore. E Le fiabe italiane di Calvino sono ricche di elementi propri della tradizione regionale e in esse il cibo, presente in molte storie come elemento della quotidianità – in genere per mancanza e più raramente per abbondanza - esprime, in qualche maniera, il sapore del luogo in cui [la fiaba] è narrata.

Nel proporre in questa sede alcune fiabe (o meglio alcuni passaggi che rinviano ad altrettante storie di derivazione regionale) tratte dalla raccolta di Fiabe italiane, si è voluto leggerle o rileggerle in un’ottica del tutto particolare, alla ricerca dei sapori delle diverse terre di provenienza dei racconti, a conferma, ancora una volta che la lettura dei classici continua sempre a fornirci qualche sorpresa in rapporto all’immagine che ne avevamo e ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima [7].

Le vicende narrate nelle fiabe si aprono in genere sul mondo dei re (Un re in tempi antichi...; Una volta ci fu un re...), su quello dei mercanti (C’era una volta in Milano un mercante...; C’era una volta un mercante di Livorno), o più frequentemente su quello dei contadini, dei pescatori, dei poveri (Una volta c’era un pescatore....; C’era una lavandaia...; Una povera donna....). Spesso l’avvio “realistico” di molte fiabe della narrativa italiana [8] è il dato di partenza di una condizione di miseria, caratteristico di gran parte del folklore narrativo e delle canzoni popolari italiane. Nelle storie spesso la magia della parola e quella del cibo si intrecciano. Gli accenni al cibo, elemento visibile e oggettuale della cultura materiale delle diverse aree linguistiche di cui le favole sono espressione, sono sempre rapidi ed essenziali, una sorta di nota aggiuntiva funzionale alla caratterizzazione del colore locale.

Le storie esprimono la condizione di chi si reca nei campi a raccogliere erbe per la minestra perché di cibo ne ha poco, come accade a Giufà, in una delle sue avventure “Una mattina Giufà se ne andò per erbe e prima di tornare in paese era già notte [9] o di chi va nel vicino campo a raccogliere ceci o zucche per preparare un pranzo frugale, come una versione mantovana della famosa fiaba dei tre porcellini:  

La Marietta rispose:- Sì,sì, Viemmi a prendere, - ma, furba com’era, aveva capito che il lupo voleva solo farla uscir di casa per mangiarsela. Perciò l’indomani si alzò prima che facesse giorno, andò al campo dei ceci e ne raccolse una grembiulata, Tornò a casa, mise a cuocere i ceci e gettò le bucce dalla finestra. Alle nove venne il lupo. –Mariettina, vieni con me per ceci.
- No che non ci vengo balordo: i ceci li ho già raccolti, guarda sotto la finestra e vedrai le bucce, annusa il fumo che viene dal camino e sentirai l’odore, e a te non resta che leccarti le labbra. […] Il lupo tra sé giurava vendetta, ma a lei disse: -Ah, birichina, me l’hai fatta! E sì che ti voglio tanto bene! Domani dovresti venire con me in un campo che so io. Ci sono delle zucche che sono una meraviglia, e ne faremo una scorpacciata. [10]

Oppure di chi placa la fame con una focaccia, come nella fiaba ligure ambientata in una atmosfera fantastica [11]:

Allora il pastore tagliò l’albero e ne fece tanta legna da bruciare e la portò a casa. Intanto sua madre era morta e lui viveva solo, sempre più piccolo e gramo perché non poteva più crescere. Tutti i giorni andava a pascolare e tornava a casa la sera. Ora quale non fu la sua meraviglia a trovare i piatti e le casseruole che aveva lasciato sporchi al mattino, tutti puliti; e non capiva chi era che li lavasse. Allora si nascose dietro alla porta per vedere chi era: e vide una bella giovane piccola piccola che usciva dal mucchio di legna e gli lavava i piatti, le casseruole, i cucchiai, spazzava in terra, rifaceva i letti; poi apriva la madia, prendeva una focaccia e se la mangiava.
Saltò fuori il pastore e disse :- Chi sei? Come hai fatto a entrare?
-Io sono la bella Bargaglina, - disse la ragazza.-

O  di chi si riscalda con vino caldo con le spezie; di chi ha messo la pentola al fuoco ma non ha i soldi per comprare la polenta [12],  come in questa fiaba di tradizione veneta:

Una volta c’era un pescatore che non riusciva mai a pescare abbastanza da comprare la polenta per la sua famigliola. Un giorno, tirando le reti, sentì un peso da non poterlo sollevare, tira e tira ed era un granchio così grosso che non bastavano due occhi per vederlo tutto.-Oh che pesca ho fatto stavolta! Potessi comprarmici la polenta per i miei bambini!
Tornò a casa col granchio in spalla, e disse alla moglie che sarebbe tornato con la polenta. E andò a portare il granchi al palazzo del re.
-Sacra Maestà. –disse al Re. – sono venuto a vedere se mi fa la grazia di comprarmi questo granchio. Mia moglie ha messo la pentola al fuoco ma non ho i soldi per comprare la polenta.

O ancora di chi si procura da mangiare con espedienti di vario tipo e qualche volta riesce a ottenere in dono una fetta di caciocavallo, come nella favola tratta dal fiabesco napoletano:

Entrarono, e c’era solo la moglie. - Bella signora, ci dà qualcosa da mangiare?
- Che volete?
- Una fetta di caciocavallo.
Mentre lei tagliava il caciocavallo, i due si guardavano intorno per vedere cosa c’era da aggranfare. Videro appeso un maiale squartato, è si fecero segno che a notte se lo sarebbero venuti a prendere. La moglie di manico d’Uncino s’accorse dei loro segni, ma stette zitta e quando venne il marito gli raccontò tutto. Il marito, dal gran mariuolo che era, capì subito. – Questi saranno Cricche e Crocche che si vogliono rubare il maiale. Va bene. Ora ci penso io!. Prese il maiale e lo mise nel forno. La sera andò a dormire. Quando fu notte Cricche e crocche vennero per rubare il maiale, lo cercarono da tutte le parti e non lo trovarono. Crocche allora cosa pensò? Zitto zitto s’avvicinò al letto, dalla parte dov’era coricata la moglie di Manico d’Uncino e disse: - Dì, non trovo più il maiale. Dove l’hai messo? La moglie credette fosse il marito, e gli rispose: -E dormi! Non ti ricordi che l’hai messo nel forno? –e si riaddormentò”. [13]

 O infine di chi si reca a cogliere cicoria e invece trova un grosso cavolfiore, lo sradica e scopre in terra una scaletta che porta in un mondo sconosciuto; di chi, approfittando di un’insolita fortuna, si reca a comprare qualcosa di buono da mangiare e si rifornisce di uva passa e fichi secchi, di nuovo dalle vicende tragicomiche della tradizione siciliana di Giufà:

 “Essa andò a comprare uva passa e fichi secchi, salì sul tetto e appena Giufà uscì di casa, prese a fargli cadere manciate d’uva e fichi sulla testa. Giufà si riparò. – mamma!- chiamò dentro casa- E la madre, dal tetto: - Cosa vuoi?
-C’è uva passa e fichi!
-Si vede che oggi piove uva passa e fichi, cosa vuoi che ti dica? [14]

La ricerca di tracce della vita quotidiana, può essere un modo per incontrare usi costumi e abitudini di altri, a partire dalla letteratura e dalle storie che la animano. In letteratura le pagine legate al cibo sono numerose e intense, basti pensare al giovane Werther che sgrana i piselli mentre legge Omero; alla farinata calda di Cime tempestose; ai muffin della zia Chloe nella Capanna dello zio Tom; al sapore e al profumo di una madeleine inzuppata nel tè che fa riemergere in Marcel Proust ricordi dell’infanzia; alla colazione di Leopold Bloom con cui inizia il giorno-odissea raccontato da Joyce; fino alle torte di mele che nutrivano da un oceano all'altro i vagabondi di Sulla strada.

Cibi e pietanze vengono raccontati anche in pagine significative della letteratura italiana dove l’importanza del cibo è evidente fin dalle origini, nel rilievo metaforico e reale del cibo nella Commedia e nel Convivio danteschi, oppure nelle novelle del Decameron di Boccaccio; o ancora nei riferimenti al pane in Dante e Manzoni; ai formaggi del paese di Bengodi del Decameron;  al timballo di maccheroni del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa; al Risotto patrio di Gadda e al Calvino di Sapore sapere. [15]

Negli ultimi decenni, come dimostra anche la vasta produzione letteraria e saggistica in proposito, l’interesse culturale per il cibo e le sue relazioni con la letteratura si è moltiplicato, tanto che sembra possibile avviare percorsi di lettura documentati su questo aspetto della cultura materiale, in ambito scolastico, a partire dai primi anni di scolarità, per arrivare poi a letture e interpretazioni più dense e complesse.
Per fare un esempio, la bibliografia proposta di recente dal CIDI, a cura di Chiara Ingrao, in Libri per la scuola di tutti i colori. Una bibliografia per la scuola dell’obbligo. Storie dell’Italia colorata. Storie di migrazioni Storie dal mondo offre un ampio repertorio di letture per il primo ciclo a cui accedere per avviare momenti di incontro e confronto su aspetti comuni del vivere quotidiano e di supporto alle relazioni interpersonali.

 

Note

1. L’idea di fondo di Gottschall è contenuta nell’affermazione: “La finzione, espressa con qualunque mezzo narrativo, è un’antica e potente tecnologia di realtà virtuale che simula i grandi dilemmi della vita umana”. Per questo motivo guardando un film o leggendo un racconto, accade la stessa cosa: si genera empatia, ossia una capacità di immedesimazione negli stati psicologici degli altri. Anche se ai neuroni specchio vengono attribuite funzioni, secondo recenti studi condotti negli Stati Uniti, mai sperimentalmente dimostrate, l’idea è potente in quanto, aggiunge Gottschall: “La finzione consente al nostro cervello di fare pratica con le reazioni a quei generi di sfide che sono, e sono sempre state, le più cruciali per il nostro successo come specie. Per approfondire: L. Grossi, "Jonathan Gottshall, L’istinto di narrare".
2R. Barthes, “Introduzione all’analisi strutturale dei racconti”, in L’analisi del racconto, Bompiani, Milano, 1969, p.7.
3. La raccolta edita nella prima metà del 1600,in lingua napoletana, è definita da Calvino ”un arabesco di metamorfosi multicolori che scaturiscono l’una dall’altra come nel disegno d’un tappeto soriano”.
4. I. Calvino, Sulla fiaba, Mondadori, Milano,1996, p. 38 ss.
5. Ib. pag.43.
6. La struttura e l’intreccio delle fiabe sono stati analizzati da Vladimir Propp che ha individuato uno schema ricorrente, identificando trentuno sequenze che compongono il racconto. Morfologia della fiaba e Le radici storiche dei racconti di fate sono i due principali studi di  Propp sulla composizione, sugli elementi e sulle radici storiche e culturali della fiaba...
7. I. Calvino, Perché leggere i classici, Mondadori, Milano 1995.
8. Cfr. I. Calvino, Sulla fiaba, Mondadori,  Milano, 1996, p. 57.
9. Da Giufà, la luna, i ladri e el guardie, in in Le fiabe italiane, Einaudi Editore, 1968, p- 655.
10. Da Le tre casette, ib. ,.p.142 ss.
11. Lo stesso Calvino paragona le atmosfere e gli esseri fantastici che compaiono nella favola dal titolo Il pastore che non cresceva mai alle creature che affollano i quadri del pittore fiammingo Hieronymus Bosch (XV-XVI secolo), sostenendo la tesi di un gusto popolare fantastico e goticizzante sedimentato in Liguria.
12. Da Il Principe granchio, ib. pp. 161 ss.
13. Da Cricche, Crocche e Manico d’Uncino, ib., 437 ss.
14. Da Giufà, tirati la porta!, ib., pp.664 ss.
15. L’interesse di Calvino per il senso del gusto -nella ricerca di approfondimento del fenomeno del graduale distacco dell’uomo moderno dalla percezione sensibile- emerge in modo nitido e deciso nella produzione letteraria successiva a quella della raccolta di fiabe: Sapore Sapere è il titolo di un racconto nel quale viene narrata, in prima persona, la storia di una coppia in viaggio attraverso il Messico. I veri protagonisti della storia sono però i piatti cucinati per i due ospiti: sopa de frijoles, huacinango a la veracruzana, enchiladas... e altro ancora. Il racconto del 1947 è confluito in Romanzi e racconti, I Meridiani, Mondadori, 2003, pp.299-306.
 


Immagini

tratte dalla copertina dell'edizione dell Fiabe italiane, Mondadori, 1982

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.