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di Lina Grossipagine dimenticate

28/01/2019

Voci altrimenti silenti: le lettere immaginarie di Ovidio

 

                                                                            È classico ciò che persiste come rumore di fondo                                                                             anche là dove l'attualità più incompatibile fa da padrona.

(Italo Calvino)

La suggestione generata da un evento occasionale - la recente mostra alle scuderie del Quirinale [1], nell’alveo del bimillenario ovidiano - può essere lo spunto per rileggere oltre alle Metamorfosi, altre pagine meno note di un autore dotato della straordinaria capacità di continuare a dialogare con i lettori nel tempo. È quanto accaduto a chi scrive dopo aver visto in mostra l'immaginario del poeta delle Metamorfosi, che è ancora l’immaginario del mondo occidentale, in “un dialogo tra poesia e arte, immagini e parole, che mette in luce la fitta trama di connessioni e i reciproci rinvii tra i diversi linguaggi” [2] attraverso opere che raccontano il contributo alle arti visive dato dal grande poeta latino. Affreschi e sculture antiche, rarissimi manoscritti medievali e dipinti di età moderna hanno accompagnato nel percorso della mostra, sala dopo sala, il racconto della vita del poeta e dei temi al centro dei suoi scritti: l’amore, la seduzione, la sensualità, il rapporto con il potere, il mito. Non sfugge, in particolare, la prospettiva dello sguardo sul mondo femminile che anima la complessità dell’universo ovidiano. Proprio al poeta latino si deve infatti, sul modello epicureo, “l’approfondimento della psicologia femminile, per quel suo dar voce con le Heroides che soffrono non solo in quanto donne innamorate o donne tradite ma proprio perché “donne”, e perciò condannate e sacrificate a un’esistenza ai margini” [3].

Le Heroides, scritte presumibilmente tra il 15 a. C. e l’8 d.. C, e tradotte in italiano con il titolo Lettere di eroine, sono una raccolta di ventuno lettere d’amore, raccolta che include anche tre lettere scritte “in risposta” ad altrettante lettere di eroine (Paride a Elena, Leandro a Ero, Aconzio a Cidippe). Si tratta ovviamente di una corrispondenza fittizia che vede protagoniste alcune delle figure femminili più note nell’ambito della mitologia o della storia.

Ovidio dà dunque voce a donne che il mito o la storia hanno consegnato all’immaginario collettivo, legate a vario titolo a eroi famosi, ma silenti. Le loro sono vite di straordinaria intensità e le loro lettere immaginarie ne diventano testimonianza. Le donne alle quali è data voce sono, per citarne alcune: Penelope che scrive a Ulisse, Didone a Enea, Arianna a Teseo, Medea a Giasone, Fedra a Ippolito, Briseide ad Achille. Le lettere immaginarie sono monologhi appassionati e tormentati che svelano storie segrete di amori, di tradimenti subiti e sofferti, di solitudine, di dolore e di attesa.

La grande capacità creativa e di scrittura di Ovidio sta nel rendere in forma poetica i sentimenti e le emozioni di queste figure femminili a cui viene data una voce propria: “umanizzando le eroine del mito esplorando la loro psiche di donne, egli dà voce ad un ego femminile troppo spesso collocato di sfondo, quale patetico contrappunto alle imprese gloriose degli uomini, e ne interpreta passioni e speranze con una varietà di vibrazioni che ancora raggiungono l'anima moderna” [4].
Accanto alla novità del contenuto – le vicende del mito nei risvolti interiori e privati e in un momento particolare dell’esistenza di ciascuna eroina, quando, abbandonata o lontana dal suo uomo, rivela attraverso la lettera la sua condizione disperata – assume rilievo anche la forma epistolare. Si tratta di un genere nuovo nel panorama letterario latino in cui, in “assenza di un narratore esterno, che descriva la situazione in cui l’eroina si trova, quest’ultima assume ella stessa tale funzione e parla di sé guardandosi dal di fuori, come sdoppiandosi nel ruolo di spettatore” [5]. Narratore ed eroina di sovrappongono: unica voce è quella femminile e unico lettore sembra essere il lettore/destinatario.

Qualche esempio per scendere nel dettaglio della psicologia e delle vicende delle eroine ovidiane.

Penelope a Ulisse

La galleria di celebri figure femminili che scrivono ai loro coniugi o amanti lontani si apre con Penelope, logorata dalla lunga attesa: Ulisse, nonostante la guerra sia finita da tempo, indugia nel tornare. Nella lettera il tema centrale, subito affrontato, è il mancato ritorno e i tanti dubbi sulle possibili motivazioni del ritardo: Ulisse è trattenuto da pericoli in terre lontane o forse da un nuovo amore.

“Questa lettera te l’ha inviata la tua Penelope, o Ulisse lento a tornare; non importa che mi risponda: vieni tu stesso!” ( vv.1-2); “Tu hai osato – oh troppo, dimenticando troppo i tuoi cari – penetrare con astuzia, di notte, negli accampamenti dei Traci e tanti uomini uccidere insieme, aiutato da uno soltanto! ( vv.41-43);

Tu, che sei un vincitore, resti però lontano, e io non posso sapere che cosa ti faccia tardare o in quale parte del mondo, crudele, ti nascondi” (vv. 58-9).

Dalle parole di Penelope emerge un insieme di sentimenti ed emozioni: gelosia, rimpianto, delusione, tristezza, speranza, attesa.

Quando non ho temuto pericoli maggiori di quelli reali? L’amore è una cosa piena di ansiosa paura.”, (vv.11-12); “E mentre io, stolta, temo cose come queste, tu puoi essere prigioniero di un amore straniero- tale è il capriccio di voi uomini! Forse le racconti anche com’è grossolana tua moglie, capace solo di raffinare la lana. Ma possa io sbagliarmi, e questo sospetto si perda nell’aria leggera, e non accada che tu, potendo tornare, voglia restare lontano! (vv.75-80)

La lettera che ha una struttura molto lineare – la rievocazione delle sofferenze e delle paure durante la guerra; il resoconto dei vani tentativi di conoscerne la sorte durante la lunga assenza; la descrizione della situazione divenuta insostenibile - si conclude con un richiamo disperato ai doveri e alle responsabilità di Ulisse quale marito, figlio e padre e con una nota di amara consapevolezza del tempo che corre via, portando con sé gioventù e bellezza. Al suo ritorno Ulisse non troverà più una giovane fanciulla!

Noi siamo tre soltanto, e inabili a combattere: una moglie priva di forza, Laerte, che è vecchio, e Telemaco, un ragazzo” (vv. 97-98); “E io certo, che quando partisti ero una fanciulla, dovessi tu venire anche subito, ti sembrerò diventata una vecchia” (vv,115-116)
 

Briseide ad Achille

Briseide, secondo l'Iliade di Omero, è il nome dell'ancella preferita di Achille, al quale fu tolta da Agamennone, quando questi la prende come compenso della perdita di Criseide: Achille, indignato dall'affronto, si ritira  dalla guerra. Ovidio immagina che la lettera venga scritta proprio quando Achille rifiuta ogni ambasceria, e di conseguenza, anche la possibilità di un ritorno di Briseide presso di lui.

La lettera che leggi ti giunge da Briseide rapita: la mia mano di barbara l’ha scritta in greco a stento. Le macchie che vedrai, le hanno tutte fatte le mie lacrime; anche le lacrime, peraltro, pesano come parole” (vv.1-4)

Ovidio fa di questa figura femminile, senza voce in Omero in quanto la sua esistenza è funzionale esclusivamente allo sviluppo delle vicende, una eroina dotata di una personalità appassionata e complessa. La psicologia di questa ancella, innamorata dell’uomo a cui è toccata in sorte, è in Ovidio densa di sfumature: in lei si agitano amore, sofferenza, paura dell’abbandono, ira, rimprovero per l’amore incostante.

“Ma sia pure: sono stata consegnata perché lo si doveva. Da tante notti manco ma tu non mi reclami: indugi, e la tua ira è lenta” (vv.21-22); “Dov’è fuggito, lontano da noi, l’amore incostante? (v.42).

Questa epistola, più complessa di altre nelle argomentazioni, è tutta giocata nel tentativo di sollecitare in Achille l’onore guerresco (solo richiamandolo ai suoi doveri bellici, può sperare di tornare presso di lui).

Ma che aspetti?Agamennone si pente della sua ira e la Grecia afflitta giace ai tuoi piedi. Vinci l’orgoglio e la tua ira, tiu che vinci tutto il resto! […]. E non ritenere sconveniente per te piegarti alle mie preghiere: il figlio di Eneo si convinse alle armi dietro le preghiere della sposa. La cosa io l’ho sentita, tu la conosci bene” (vv. 85-86, 91-92).

Nella lettera si mescolano il codice eroico-epico, nel richiamo insistito al ritorno di lui alla guerra e a vincere ira e orgoglio, con quello erotico-elegiaco che però viene qui usato da Briseide non come richiamo d’amore ma come rimprovero. Nel tono sarcastico della donna l’argomento è rovesciato: si chiede se per caso non siano i piaceri dell’amore e l’abbandono alla piacevolezza del suono della cetra a far dimenticare ad Achille i propri doveri bellici.

Giura anche tu, o valoroso, che mai senza me hai gustato il piacere” (v.111); “E qualcuno chiede perché ti rifiuti di combattere? Perché la guerra è rischiosa , mentre la cetra, la notte, l’amore danno piacere (vv. 115-116).
 

Didone a Enea

La vicenda di Didone, regina di Cartagine, ha come fonte e modello letterario per Ovidio il IV libro dell’Eneide virgiliana, in cui viene narrata la più nota storia d’amore della letteratura latina. L’epistola si immagina scritta dopo che Enea ha esposto le ragioni che lo inducono a continuare il suo viaggio e lasciare Cartagine, ragioni che vengono controbattute da Didone nel disperato tentativo di convincerlo almeno a rinviare la partenza.

Ricevi, o Dardanide, il carme di Elissa decisa a morire: le parole che leggi, sono le ultime che ti giungono da me” (vv.1-2)

L’intonazione persuasiva è pertanto dominante nella lettera che contiene una disamina delle ragioni della protagonista. Secondo uno schema narrativo proprio delle Heroides il conflitto è tra una donna abbandonata e un uomo ingrato e noncurante..

Sei deciso a partire lo stesso, ad abbandonare Didone infelice, e i medesimi venti porteranno via le tue vele e le tue promesse? (vv.7; 8); “Brucio come le torce di cera impregnate di zolfo, come il pio incenso gettato sui roghi fumanti; Enea mi è sempre fisso negli occhi quando sono sveglia, Enea la notte e il giorno mi riportano alla mente. Ma lui è ingrato e insensibile ai miei benefici, e tale che, se non fossi priva di senno, vorrei liberarmi di lui. Eppure, nonostante i suoi empi disegni, io Enea non lo odio; soltanto lamento la sua infedeltà, e il mio lamento me lo fa amare di più”(vv. 23-30)

A differenza della narrazione virgiliana che vede i due protagonisti divisi da inconciliabili ragioni storiche, ideologiche e religiose, Ovidio fissa lo sguardo sulla storia intima, sulla donna offesa che scrive fornendo l’immagine di sé con le lacrime che le scorrono lungo le guance e cadono sopra la spada già impugnata per il suicidio ormai irrevocabile.

Vorrei che vedessi l’immagine di me mentre ti scrivo: scrivo, e ho qui sul grembo la spada troiana, e lungo le guance le lacrime cadono giù sulla spada impugnata, che presto sarà il mio sangue, non il mio pianto, a bagnare” (vv.183-184)

Sul piano letterario Ovidio riprende il motivo proprio del flebile carmen [6],  ossia del canto lacrimoso che caratterizza l’elegia, della poesia del lamento della donna abbandonata e dell’attesa. Un'opera nuova nella cultura latina: in essa Ovidio esprime la sua straordinaria capacità di vedere il mondo con una particolare sensibilità artistica [7], di cui è consapevolmente orgoglioso. Intellettuale colto, raffinato, consapevole della grandezza imperitura della propria scrittura, Ovidio scrive di sé: “Quando vorrà venga pure il giorno fatale – che può pero disporre solo di questo corpo – e ponga pure fine allo spazio (quale sia io non so) della mia vita. Ma con la parte migliore di me volerò in eterno più in alto delle stelle, e il nome mio rimarrà, indelebile”. [8]

Oltre alla grandezza di letterato, i suoi versi hanno la capacità di dire anche molto altro, sul piano della complessità delle dinamiche mentali, sensitive e affettive che si agitano nella psiche delle sue eroine.

L’intuizione di Ovidio sulla sofferenza amorosa e sulla conflittualità lacerante tra amore e odio “sic ego nec sine te nec tecum vivere possum” si ripropone ancora a distanza di due millenni nel caso degli amori che non trovano una dimensione di equilibrio né nello stare insieme né nel separarsi e dei quali si occupano oggi la psicologia e la psicoanalisi [9].

Quanto scriveva Ovidio negli Amores è di una modernità sconcertante:

Lottano e tendono in opposte direzioni il mio cuore insicuro,
amore e odio ma penso che vincerà l’amore.
Odierò se potrò; altrimenti amerò mio malgrado: neanche

il toro ama il giogo ma porta ciò che odia.
Fuggo dalla perfidia, dalla fuga mi richiama la bellezza;
detesto la perversità dei costumi, ma amo il tuo corpo:
così non posso vivere né senza di te né con te

e mi sembra di essere inconsapevole dei miei desideri.   [10]

Letto con le lenti di Calvino si può, a buon diritto, parlare delle Heroides come di un classico che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. 
 

Note

1. La mostra dal titolo, Ovidio. Amori, miti e altre storie a Roma dal 17 ottobre 2018 al 20 gennaio 2019, è stata curata da Francesca Ghedini.
2. Stefano Biolchini, Ovidio: una mostra per la sua eterna poesia, "ilSole24ore/cultura", 7 novembre 2018.
3. Cfr. op.cit.
4. Cfr. G. Rosati, Introduzione , in Ovidio, Lettere di eroine, BUR, 1989. Tutte le traduzioni qui inserite sono di G. Rosati.
5. Idem, p.12.
6. Cfr. Ovidio, Heroides, XV, 7.
7. Una sensibilità  in consonanza con le parole esemplari, in proposito, di M. Proust, Il Tempo ritrovato, Einaudi, Torino, 1978, trad. G. Caproni: “ Solo grazie all’arte ci è dato uscire da noi stessi, sapere quel che un altro vede di un universo non identico al nostro e i cui paesaggi ci rimarrebbero altrimenti ignoti come quelli che possono esserci nella Luna. Grazie all’arte, anziché vedere un solo mondo, il nostro, noi lo vediamo moltiplicarsi.”, p. 227.
8. Cfr. Ovidio, Metamorfosi, Libro xv, vv.873-876, trad. di P. Bernardini Marzolla.
9. Cfr. la teoria dell’attaccamento in John Bowlby, Attaccamento e perdita, Bollati Boringhieri, edizione riveduta 1999.
10. Cfr. Ovidio, Amori, Bur, 1985, trad. Luca Canali, III, XI, vv.33-40.
 

Credits

Immagini dall'alto:

Penelope afflitta e Ulisse mendicante, rilievo in terracotta,  450 a. C.; da Melos.
La consegna di Briseide da parte di Achille, pittura murale della fine del IV sec. a.C. da Pompei.
Enea e Didone (Marte e Venere); Museo Archeologico Nazionale di Napoli, affresco da Pompei, casa del Citarista

 

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.