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di Maria Luisa Jorilo specchio di Alice

03/03/2014

La grande bellezza

In occasione del conferimento dell' Oscar per il migliore film straniero, riproponiamo la recensione in ottica didattica già pubblicata nel mese di gennaio!

 

Titolo originaleLa grande bellezza

Genere: Drammatico
Regia: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino e Umberto Contarello
Interpreti : Toni Servillo, Carlo Verdone,  Sabrina Ferilli, Iaia Forte,  Pamela Villoresi, Galatea Ranzi, Roberto Herlitzka, Isabella Ferrari e molti altri.
Fotografia: Luca Bigazzi 
Musiche: Lele Marchitelli 
Produzione:  Italia
Anno: 2013

 

 

Premiato con il Golden globe e inserito nella cinquina di candidati all'Oscar com migliore film straniero - In fondo alla pagina il trailer ufficiale del film

Jep Gambardella ha  65 anni: con il suo sguardo  di giornalista-scrittore racconta l’ambiente  romano in cui vive, quello vuoto e falso di certa borghesia medio-alta,  ma anche la  bellezza dei paesaggi, delle opere d’arte della Capitale, diffuse negli interni e negli esterni che frequenta, immagini mescolate a quelle  intermittenti del  ricordo dei propri ideali giovanili  del bello e della purezza assoluta dei valori. Vive a Roma dall’età di 26 anni e qui aveva avuto successo con un romanzo “L’apparato umano”, cui era seguito un blocco creativo insuperato fino al presente della storia. Conduce una vita per la maggior parte del tempo oziosa, a parte le interviste  che deve svolgere per la cronaca scandalistica del periodico per il quale lavora (diretto da una donna nana). 


Conosce tutto e tutti, e ogni sera va a dormire quando la gente comune si sveglia, dopo aver frequentato e spesso organizzato sulla sua magnifica terrazza  di fronte al Colosseo, tutte le feste possibili, con l’intenzione, dice,  non  di assumervi  il ruolo  dell’animatore, ma di raggiungere il potere di  “farle fallire”. L’amarezza di Gambardella emerge fin dalla sua prima apparizione cui fa da contrasto la scenografica  bellezza  naturale e artistica dei luoghi più suggestivi di Roma.  Il film inizia proprio con una visione immensa ed eterna dal Gianicolo, talmente stupefacente che il cuore di un turista giapponese, folgorato dalla sindrome di Stendhal, non regge all’infarto, mentre si leva un canto sublime di musica sacra.

La  raffinata colonna sonora che accompagna monumenti e paesaggi del film serve a sottolineare la bellezza sfolgorante di Roma, in contrasto stridente  con la musica  un po’ volgare   delle   feste mondane  cui Gambardella partecipa, alternate a un  ballo collettivo da discoteca con l’immancabile  “trenino” degli ospiti scomposti.   In queste feste ci sono   persone   che bevono, fumano, sniffano cocaina o, quando si siedono sudate sui divani, si scambiano soltanto  pettegolezzi, sempre al  ritmo di una musica  assordante. Jep, che non si lascia sfuggire le occasioni  per   commentare  e definire nella sua ignorante, egoistica  miseria, quella fiera delle vanità,  dice simbolicamente che  quei “trenini” recitati ballando tutti insieme  “non portano da nessuna parte”.
A un certo punto smaschera persino, in faccia alla stessa vittima del suo  crudele, impietoso realismo, la falsità  di una delle ricche signore  radical chic, che in società si  vantano  di essere esemplari, predicando agli altri la morale e l’impegno politico.   Tutto  infatti è   finto  in quella società  decadente, dove anche   il dolore viene  teatralizzato. I funerali stessi sono vissuti come eventi mondani,  in cui i conoscenti si  scambiano  formule di condoglianza   di circostanza, senza versare lacrime “per non rubare la scena ai parenti del defunto” dice ironicamente Jep.

I comportamenti e  i desideri  di questa   mondanità, individualista e materialista hanno come scopo il  piacere e il compiacimento del proprio corpo (alimentato, soddisfatto, curato, vestito, esibito, autofotografato nudo). Dal cibo al sesso senza amore, dalla  bizzarria spettacolare alla ricerca dell’eterna giovinezza nella chirurgia estetica, tutto deve soddisfare i sensi e  perfezionare l’apparenza fisica. Perfino gli ecclesiastici non hanno interesse verso i discorsi di carattere spirituale, ma piuttosto per  le ricette di cucina  (irresistibile in questo senso è la figura del Cardinale Bellucci, impersonato  in modo assai espressivo da Roberto Herlitzka). Fa eccezione Ramona (una bravissima Sabrina Ferilli), una spogliarellista non più giovane, segretamente malata terminale, con la quale Jep riesce ad avere un’amicizia sentimentale autentica (nudi sul letto lei gli dice: “È stato bello non fare sesso” “E’ stato bello volersi bene”) fino alla sua morte, che sopraggiunge molto presto.   Questo episodio  ci fa capire che la  morte  precoce, concreta e soprattutto fatale, forse è l’unica esperienza vera, rivelatrice, promotrice di un po’ di autenticità.

Sorrentino purtroppo in questa sua opera non  sviluppa una trama, che avrebbe reso il film più accessibile all’interpretazione di un  pubblico più largo,  ma attraverso un susseguirsi di scene imperniate sullo sguardo del protagonista  (per l’appunto Jep), ogni cosa mostrata  non ha una realtà oggettiva essendo derivata da un unico punto di vista (l’esergo tratto da “Viaggio al termine della notte” di Céline recita: «Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario»), tranne per i paesaggi e le opere d’arte della città di Roma. Pertanto l’insieme degli episodi  e delle microstorie  sono i frammenti   di  un racconto a pezzi come le tessere  in un puzzle.  La trama è lasciata   alla   interpretazione dello spettatore: per capire che cosa vuol raccontare il film ci si deve basare  sull’impressione che si riceve dall’insieme delle varie  scene offerte alla  propria  esperienza visiva, come  a quella del  personaggio-perno, allo stesso modo in cui siamo abituati a farci un’idea unitaria di   quanto ci capita di   osservare in  occasioni  disparate nel mondo reale. Gambardella lungo tutto il film ci fa capire esplicitamente il suo giudizio  sprezzante, amaro,  sul mondo che  pur frequenta e quindi anche su di sé.  Così egli può a buon ragione concludere che, avendo sempre desiderato  creare un romanzo sul  niente  (citazione da Flaubert) senza riuscirci,  ora finalmente,  dopo l’osservazione di  una umanità così vana, vuota, il nulla appunto, si sente pronto per scriverlo. 

Il film  non è drammatico perché ironico e a volte spettacolare nel presentare alcune bizzarrie, ma è anche etico nel punto di vista  del protagonista, nell’amarezza  con cui  osserva, e si osserva, trovandovisi inevitabilmente coinvolto,  i  comportamenti fatui,  falsi, privi di  valori. Jep Gambardella,  nel suo  specchiarsi   nella miseria morale  del mondo cui appartiene  con la  consapevolezza  di essere tuttavia troppo debole per uscirne,  può essere visto come  l’ Amleto del nostro tempo.

Due proposte... d'epoca

Due film del ... secolo scorso in analogia con La grande bellezza

La dolce vita (1960)

Federico Fellini è stato il primo a rappresentare in un film  la crisi morale di una società  attraverso l’uso dell’immaginazione, superando definitivamente  gli stili e i soggetti  del  cinema neorealista. 

Trama
Mar­cel­lo Ru­bi­ni, un gior­na­li­sta ro­ma­no che si oc­cu­pa di ser­vi­zi scan­da­li­sti­ci,  vorrebbe di­ven­ta­re scrit­to­re, ma non è capace di  impegnarsi davvero liberandosi dalla prigionia dei piaceri  effimeri  della "dolce vita" ro­ma­na. In sette episodi si racconta il disorientamento di questo personaggio sullo sfondo di una società borghese che vive  di   feste, av­ve­nimen­ti  mondani in compagnia di at­tri­ci, aman­ti, pro­sti­tu­te e nei lo­ca­li not­tur­ni in una  Roma a ca­val­lo fra gli anni ‘50 e ‘60. Momenti introspettivi silenziosi si alternano a  eccitati  incontri  collettivi  nelle  feste in cui le persone cercano una effimera felicità. Marcello tenta inutilmente di conoscersi attraverso i rapporti con le donne che gli sono accanto, in cui  incontra solo il ri­fles­so del suo ma­les­se­re.  La sua inquietudine precipita  in seguito al suicidio di un collega giornalista, un caro amico che  rac­co­glie­va in sé tutte le sue più pro­fon­de aspi­ra­zio­ni. Questo avvenimento sarà per il protagonista una triste svolta, rappresentando per lui l'
al­le­go­ria della morte di tutti gli idea­li.

Il film si chiude con l’immagine di purezza di una bellissima, tenera, innocente  fanciulla che protende una mano a Marcello nel chia­ro­re del­l'au­ro­ra sulla spiag­gia di Ostia. Ma il personaggio in crisi saprà cogliere l’opportunità di riscatto che  qui  gli si presenta, o sarà per lui troppo tardi per riconoscere  e raggiungere la sua salvezza psicologica e morale?
 

La terrazza (1980)

La terrazza è il film del fallimento e della crisi di una generazione.  Il  ritratto autocritico della borghesia di sinistra presentato qui dal regista Scola è stato, sebbene trattato e narrato in modo diverso, sempre un tema caro anche a Nanni Moretti, fin dai suoi esordi negli anni Settanta.

 Trama
Su una terrazza romana   alcuni vecchi amici, conoscenti  e colleghi, tutti appartenenti alla borghesia, si ritrovano per passare le serate  estive. Il film racconta  uno di questi incontri in cinque episodi, ognuno dal  punto di vista di un diverso personaggio: uno scrittore cinematografico  che ha perso  la capacità di far ridere;   un giornalista inadeguato al suo tempo, che cerca di riconquistare la moglie,  un funzionario della  Rai  anoressico e  perdutamente depresso;  un produttore cinematografico alle prese con i capricci cinematografici (e non solo) della moglie e l'ultimo,   un deputato  comunista che  tradisce la moglie.

  Il film si chiude con un nuovo incontro su quella stessa terrazza  l’anno seguente. L’ultima scena  rappresenta gli uomini che interpretano  al pianoforte tra di loro una serie di canzoni popolari, mentre le donne conversano. La macchina da presa si allontana quindi discretamente attraverso la  finestra e lascia i personaggi alla loro vita, che  prosegue senza cambiamenti.



 Ciò che hanno in comune questi tre film  è il fatto che  riprendono, dopo la stagione del Neorealismo,  un tema che era stato caro alla letteratura, a partire da quella della fine dell’Ottocento fino alla narrativa del Novecento tra le due guerre (in Italia, per intenderci, Tozzi, Svevo, Moravia,  ecc.): quello dell’inadeguatezza, dell’uomo borghese incapace di agire, di perseguire le proprie aspirazioni e di vivere coerentemente secondo coscienza. L’inetto vive solo di immaginario, di sogni, di miti vagheggiati, irrealizzabili, e di desideri  irrealizzati, a causa della propria vigliacca passività. Ma sia La grande bellezza  sia La dolce vita e La terrazza, a differenza dei romanzi,  che analizzano isolatamente la psicologia individuale del protagonista,  contestualizzano l’inettitudine di un individuo  nella  decadenza morale della società borghese contemporanea che frequenta.

Su questo confronto una classe degli ultimi anni delle superiori potrebbe soffermarsi a riflettere, sotto la guida degli insegnanti di materie umanistiche e dello studio della storia contemporanea.

Di che cosa parliamo?

Il cinema narrativo è uno strumento di comunicazione educativa e didattica  quasi indispensabile  nella scuola di oggi, sia come arte visiva sia come mezzo per far passare e fissare  l’apprendimento attraverso emozioni. Gli insegnanti   hanno bisogno di  mantenersi    informati sui film più adeguati a questi scopi della loro attività professionale. “Lo specchio di Alice” (in quanto il cinema può essere un  vero specchio del mondo per  i ragazzi e le ragazze in formazione) si propone  di informare i docenti sui film contemporanei e su quelli del passato più interessanti e comprensibili   da parte di allievi e allieve adolescenti. Come a scuola per le letture, a  volte verranno  recensite, e didatticamente corredate,  anche opere cinematografiche meno valide esteticamente, ma capaci di suscitare interrogativi, introdurre problemi, illustrare argomenti di studio presso  gli studenti.

L'autrice

Ha insegnato in un triennio linguistico.  Supervisore di tirocinio dal 1999 al 2003  e docente di didattica della letteratura fino  al 2008 presso la SSis dell’università di Torino.  Esperta di cinema e didattica, dal 2003  ha recensito assiduamente sulla rivista insegnare  il “Torino film festival” e i film in uscita più adeguati  a prestarsi come sussidi  nell’insegnamento agli adolescenti.

 


All’indirizzo   marialuisa.jori@gmail.com  su richiesta si forniscono  gratuitamente sia  informazioni  su film  utilmente  collegabili ad  argomenti  dei  programmi scolastici (per es. di storia) sia indicazioni metodologiche   sull’uso didattico del cinema nella scuola di ogni ordine e grado.