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di Maria Luisa Jorilo specchio di Alice

31/05/2016

Le confessioni

 

Genere: Drammatico - Thriller
RegiaRoberto Andò
SceneggiaturaRoberto Andò e Angelo Pasquini
Interpreti  Toni Servillo, Connie Nielsen, Pierfrancesco Favino, Daniel Auteuil, Lambert Wilson, Richard Sammel, Marie-Josée Croze, Moritz Bleibtreu, Togo Igawa, Johan Heldenbergh, Andy de la Tour, John Keogh, Aleksey Guskov
Montaggio: Clelio Benevento
Musiche: Nicola Piovani
Fotografia: Maurizio Calvesi

Produzione: Italia, Francia , 2016

 

   “Quanno ncielo n’angiulillo nun fa chello c’ha da fà, o Signore int’a na cella scura o’ fà nzerrà.” (L’angelo – punito dal Signore se non agisce quando deve – finisce prigioniero come un uccellino in cattività). È una massima che vediamo il monaco Roberto Salus pronunciare al registratore in apertura del film,  accingendosi a impegnarsi in una missione di salvezza morale presso il G8, durante la quale, emblematicamente, egli  spesso  registrerà il libero canto degli uccelli.

 Il realismo  critico del film

 La crisi  economica, che ha investito i Paesi europei ormai da quasi due lustri, ha evidenziato agli occhi di tutti  la spregiudicatezza di chi detiene il potere di determinare l’andamento dei movimenti finanziari e  tende a pianificare manovre che arricchiscono chi ha di più  a danno  di  chi ha di meno.  La smania di dominio economico, con l’unico scopo di produrre, assicurare e moltiplicare denaro, priva le persone non solo di ogni traccia di coscienza, ma, insieme, anche della capacità di empatia, di  affettività, di   percezione della bellezza, specialmente di quella della   natura.  Andò nel suo ultimo film, valorizzato  di nuovo  dall’ interpretazione di Toni Servillo (come  nel precedente Viva la libertà), ha voluto raccontare proprio questo:  quanto, proprio nelle e per le loro funzioni, coloro che,   posti oggi ai vertici dei  meccanismi finanziari, determinano  le sorti del mondo,   siano portati ad allontanarsi personalmente da ogni  umana dimensione, senso di responsabilità e facoltà sentimentale. Per evidenziare tali aspetti inquietanti dei leader della contemporanea  economia mondiale, il regista  li ha messi   di fronte a (e in interazione, con)  un personaggio che, incarnando i valori opposti,  assume una funzione concretamente dialettica. Egli li spiazza nella comunicazione e, ostacolandone   con il  silenzio le intenzioni spregiudicate, li mette in crisi.       

 La storia (esemplare)  narrata 

 Come location  per Le confessioni  il regista ha scelto un albergo di extra lusso di Heilingendamm, in Pomerania (Germania),  dove si svolse davvero un vertice G8 nel 2007. Il film  infatti   si apre con le scene che mostrano come lì  sta per riunirsi un (immaginario) G8 dei ministri dell'economia, pronto ad adottare una manovra segreta che  potrà avere  conseguenze molto pesanti per alcuni paesi   poveri.   Il film mette in scena “il Potere”, che,  soprattutto oggi, com’è noto, viene esercitato in ambito finanziario anche al di sopra di quello politico. Leader   dei   ministri   dei rispettivi  governi,   che stanno per determinare   le sorti del mondo, è il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché (Daniel Auteuil).   Sono presenti, di contorno, ma all’oscuro delle vere intenzioni del G8,  tre  ospiti. Due risultano essere stati  scelti per la loro  celebrità: una   famosa  scrittrice di libri per bambini,  e una popolare rock star politicamente impegnata per la riduzione del debito dei paesi poveri.  Quest’ultima,  indagando  sulle motivazioni dell’invito esteso a persone estranee come lei, riceve  una  risposta rivelatrice  dall’unica donna  ministro, quella canadese:  “Stiamo defraudando il mondo della speranza. Potremmo almeno restituirgli qualche illusione” - le avrebbe confidato sinteticamente Daniel.  

Ma il terzo ospite è  un singolare,  enigmatico personaggio:  un  monaco italiano, il certosino Roberto Salus (Toni Servillo), che, in veste candida come la sua coscienza, percorre, quasi  immagine di un fantasma  buono (in quanto portatore di  “salus” dell’anima),  i corridoi dell’albergo: ovviamente non ha proprio niente a che fare con il potere finanziario. Anzi,   sta a significare l’opposto: una   spiritualità  francescana che si esprime nell’ ascoltare e registrare il canto degli uccelli, nella sobrietà  (limita la  propria cena a due noci), nell’uso delle parole mai oltre l’essenziale  (la regola del proprio ordine  è  il  silenzio).

Ben presto in un incontro con Daniel Roché che lo ha invitato, gli viene rivelato il motivo della sua presenza, fortemente voluta in quella circostanza: il direttore del FMI desidera confessarsi proprio con Roberto Salus, in quanto autore di un libro in cui si  assolve  il suicidio quando è compiuto per il bene comune. Il monaco naturalmente rifiuta di accompagnare alla morte Roché e, dopo poco, lo vediamo uscire serenamente da quella camera.   
 

Quando, la mattina seguente, viene scoperto il cadavere del direttore, i sospetti  di omicidio  ricadono su  Salus, che risultava l’ultimo che lo aveva incontrato. Ma viene provata, e quindi riconosciuta definitivamente, la causa del decesso:  suicidio per autosoffocamento con un sacchetto di plastica raccolto in giardino. I ministri temono che il monaco da  Daniel Roché  sia stato informato in confessione della  manovra economica  progettata. Questa  infatti avrebbe dovuto rimanere assolutamente segreta, per poter essere attuata all’insaputa dei Paesi vittime delle relative conseguenze. Il certosino viene perciò ansiosamente interrogato, spiato e assediato dai potenti del G8, ma invano: da lui non esce alcuna parola in proposito.

Salus si mostra ambiguo, o meglio paradossale e spiazzante. Giustificato dal  segreto della confessione (anche se in realtà nulla gli era stato rivelato), non fornisce le risposte che gli vengono sollecitate, finendo per inchiodare gli uomini di potere a se stessi. Essendo stato, prima di entrare in convento, un appassionato matematico, egli si diverte a scrivere sulle lavagne a disposizione del convegno misteriose formule numeriche, sospettate essere una codificazione della manovra segreta, che  a lui sarebbe stata confessata da Roché. Alcuni ministri si mostrano disposti perfino all’omicidio per difendere la segretezza dell’intervento che il G8 si sarebbe apprestato a realizzare, ma il monaco  persiste  tranquillamente nel mostrarsi  impassibile. 

Di fronte a questo comportamento, tra i ministri incomincia a serpeggiare il dubbio e c’è chi, assalito da rimorsi e incertezze, inizia a vacillare, come il ministro dell’economia italiano (interpretato da Pierfrancesco Favino) e  il ministro canadese (non a caso, una donna).  Quest’ultima, sorpresa poco prima uscire dalla camera del ministro tedesco, confida l’infelicità della sua vita alla scrittrice, che  la riceve e la ascolta. La bella scrittrice stessa, che all’inizio vediamo solitaria nuotare nella piscina dell’albergo fuori orario, alla  fine cerca la protezione spirituale di Salus  e vi si abbandona, trovandovi la pace interiore (finalmente riesce ad addormentarsi senza farmaci, stringendo la mano del monaco). Chiusa in se stessa e inquieta, sebbene come gli altri due ospiti ignara del tipo di manovra prospettato dal G8, fredda, pronta a schivare i corteggiamenti maschili, ma gentile con tutti, a poco a poco si rivela a se stessa, nell’intimo della propria nevrosi e, grazie alla conoscenza del monaco speciale, arriva anche lei alla confessione.   

Il significato etico del film

 Salus ha il potere di resuscitare le coscienze perché è un monaco particolare. Alla domanda “Ma che tipo di monaco è lei?” risponde “Non lo so nemmeno io.” In tutto il film questo ecclesiastico non  prega  né predica Dio e la fede: il suo esempio si basa piuttosto su un’etica di tipo laico, quasi vicina alle teorie della “decrescita felice” di Serge Latouche.  “Io non posseggo nulla se non questa tunica e il silenzio che nessuno può comprare, dice.  Per questa concezione, che identifica la possibilità del comportamento etico solo al di fuori di qualunque interesse economico e commerciale, si possono confrontare con  questo film di Andò le opere,  di impronta, al contrario decisamente religiosa, del cattolico Ermanno Olmi (soprattutto ne Il villaggio di cartone, 2011) e di Pier Paolo Pasolini.

Quando gli viene chiesto come il buon Dio  si pone nei confronti delle  guerre, dei disastri naturali e di quelli umani, del dolore e della disperazione  degli innocenti, il monaco, che si esprime quasi sempre per aforismi, si limita ad affermare che  il male non ha alcuna utilità.  Con queste poche parole, rivolte a chi lavora e vive unicamente per l’utile economico,  lascia intendere   che   la responsabilità del male va attribuita non a Dio, ma agli esseri umani: lo provocano coloro che non agiscono per il bene comune, ma soltanto in nome del bene comune, per realizzare l’egoistico profitto di pochi, a danno di tutti gli altri uomini. 

Quando  Daniel Roché  afferma con orgoglio  di “non aver mai perso tempo” Salus risponde: Perdere tempo non ha mai fatto male a nessuno”. È evidente il contrasto  tra questa considerazione e quella  dei potenti ministri delle finanze, per i quali il tempo deve essere freneticamente investito nel produrre denaro da capitalizzare. Il colto regista forse qui ricorda  Agostino (citato, infatti, insieme a Pascal  e a J. M. Keynes, sostenitore dell’economia come scienza morale, nella scena, a tavola, della prima cena dei convenuti). Nel suo libro autobiografico (Confessiones), cui sembra essersi ispirato anche il titolo del film,  Agostino scrive (cap. XXVI):  "È il tempo che io misuro, lo so. Ma non è il tempo futuro, perché ancora non è, non quello presente, perché non ha estensione, non quello passato, perché non è più. E, allora, che è quello che io misuro?".

  Il film, che racconta una vicenda, oltre che in unità di luogo (claustrofobico ambiente, unico per la singolarità del suo extralusso), in un tempo breve (un fine settimana), ma intenso, si chiude  in modo speculare rispetto all’inizio. Diciamo soltanto che, come si apre con l’arrivo di Salus e poi man mano di ciascuno dei membri del G8, così  finisce con la partenza di tutti, uno per uno, e, ultima immagine, con la camminata in uscita di scena del monaco (come quella del povero Charlot alla fine dei film di Chaplin). Al di fuori dell’elegantissimo, suggestivo scenario dell’albergo sul Baltico svanisce la storia stessa, come se il vero protagonista fosse simbolicamente il lusso di quella eccezionale location.  Viene in mente una analogia con il  film  L’uomo nell’ombra, il cui regista, Roman Polanski, infatti, in un primo tempo era stato richiesto da Roberto Andò come attore  per Le confessioni.  Inoltre, per altri aspetti  quest’ultimo ricorda anche lo stile  dei film di  Sorrentino interpretati dallo stesso Toni Servillo. 

 Commento critico

 Andò, insieme ad Angelo Pasquini, ha scritto dialoghi ben calibrati tra tensione e sottile ironia. Notevoli la musica (Nicola Piovani), la fotografia (Maurizio Calvesi) e soprattutto la direzione eccellente di un cast di livello internazionale. Tuttavia il film manca di naturalezza, appare un po’ meccanico nella rappresentazione di troppi personaggi schematicamente visti ciascuno nell’unico aspetto funzionale      alla tesi che si vuole dimostrare. Estrinseci appaiono  alcuni usi dei simboli, come il cane nero aggressivo di un ministro, ammansito solo dal monaco che lo ribattezza Bernardo, per significare che la verità non si rivolge mai contro a chi non la manipola per i propri scopi egoistici. 

Sono inoltre estemporanee, nell’ambito dello svolgimento narrativo del film, alcune scene forzatamente dimostrative, come quella che vuole mostrare che la verità non è posseduta da chi gestisce egoisticamente le ricchezze, ma si trova nella mente pura di chi non può più essere traviato da interessi economici: il registratore con il canto degli uccelli, perduto dal monaco e invano cercato dai ministri in cerca del segreto della confessione, viene trovato e a lui riconsegnato, per semplicità empatica, soltanto dal vecchio direttore dell’hotel, a torto creduto dagli altri smemorato dall’alzheimer. Formalmente questi difetti  dipendono dalla    saltuaria incoerenza dei punti di vista nella narrazione (relativi mutamenti ingiustificati): il film a volte assume l’ottica del pensiero del monaco  e a volte quella argomentativa del narratore onnisciente, in discontinuità, senza offrire allo spettatore  transizioni evidenti e comprensibili da un personaggio all’altro.

Le confessioni comunque si può definire -d’accordo con le intenzioni del regista- “un thriller etico che fa riflettere”. Se Viva la libertà  risultava una narrazione più viva, più fluida specialmente per tutte le sue parti in commedia e, soprattutto, formalmente più coerente, ciò forse dipende dal fatto che quel film del 2013 -a differenza di quest’ultimo- aveva un testo come guida, cioè il romanzo, scritto in precedenza dal regista (Il trono vuoto). Roberto Andò è un uomo colto, scrittore, sceneggiatore, più noto come regista di teatro che di cinema. Un suo profilo completo si può leggere in  M. Olivieri, La memoria degli altri. Il cinema di Roberto Andò, Editore Kaplan, Torino, 2013. 

Il confronto con un film d'epoca

Per il  significato etico e la critica alla società contemporanea, a Le confessioni si può confrontare un film corto, in bianco e nero, di Pier Paolo Pasolini del 1963, La ricotta*. È il terzo episodio del film RoGoPaG, acronimo dei registi suoi autori, Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti.

Ecco la storia.
Il regista Orson Welles nella campagna romana dirige una troupe per un film sulla passione di Cristo. Stracci è un poveraccio che lavora come comparsa per interpretare il ladrone buono. Regala ai propri familiari il cestino del pranzo appena ricevuto dalla produzione. Essendo affamato, tenta in tutti i modi di procurarsi da mangiare. Dopo vari tentativi falliti, riesce finalmente a procurarsi dei soldi vendendo a un giornalista un cane che stava accarezzando. Con questo denaro Stracci corre a comprarsi una ricotta per sfamarsi, ma viene richiamato sul set e legato alla croce per girare la scena principale. In un intervallo dei lavori corre a mangiare la ricotta, ma dagli altri attori, divertiti dalla sua avidità, viene anche invitato ad abbuffarsi con i resti del banchetto preparato per la scena dell'ultima cena.  Subito dopo riprendono i lavori e così  Stracci muore di indigestione sulla croce durante la lenta preparazione della ripresa della crocifissione. Il regista freddamente  commenta: "Povero Stracci. Crepare... non aveva altro modo di ricordarci che anche lui era vivo...".

 Perché confrontare La ricotta con  Le confessioni
 Anche il film di Pasolini, come quello di Andò, è una denuncia della decadenza morale dell'uomo contemporaneo, sebbene in modo diverso, soprattutto perché diverso è il contesto economico e sociale. Stracci ha una duplice funzione: rappresenta il sottoproletario sacrificato al vuoto borghese, ma anche l'incarnazione reale e contemporanea del Cristo. Il cinema di Pasolini ha insegnato a denunciare poeticamente le disuguaglianze.


* Il film è interamente reperibile in rete sul sito dailymotion: Parte I e Parte II

Di che cosa parliamo?

Il cinema narrativo è uno strumento di comunicazione educativa e didattica  quasi indispensabile  nella scuola di oggi, sia come arte visiva sia come mezzo per far passare e fissare  l’apprendimento attraverso emozioni. Gli insegnanti   hanno bisogno di  mantenersi    informati sui film più adeguati a questi scopi della loro attività professionale. “Lo specchio di Alice” (in quanto il cinema può essere un  vero specchio del mondo per  i ragazzi e le ragazze in formazione) si propone  di informare i docenti sui film contemporanei e su quelli del passato più interessanti e comprensibili   da parte di allievi e allieve adolescenti. Come a scuola per le letture, a  volte verranno  recensite, e didatticamente corredate,  anche opere cinematografiche meno valide esteticamente, ma capaci di suscitare interrogativi, introdurre problemi, illustrare argomenti di studio presso  gli studenti.

L'autrice

Ha insegnato in un triennio linguistico.  Supervisore di tirocinio dal 1999 al 2003  e docente di didattica della letteratura fino  al 2008 presso la SSis dell’università di Torino.  Esperta di cinema e didattica, dal 2003  ha recensito assiduamente sulla rivista insegnare  il “Torino film festival” e i film in uscita più adeguati  a prestarsi come sussidi  nell’insegnamento agli adolescenti.

 


All’indirizzo   marialuisa.jori@gmail.com  su richiesta si forniscono  gratuitamente sia  informazioni  su film  utilmente  collegabili ad  argomenti  dei  programmi scolastici (per es. di storia) sia indicazioni metodologiche   sull’uso didattico del cinema nella scuola di ogni ordine e grado.