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di Maria Luisa Jorilo specchio di Alice

21/12/2017

La donna alla ribalta al 35° Torino film festival

La donna alla ribalta nel realismo dei film in concorso

Quest’anno due terzi dei quindici film in competizione ufficiale raccontano storie di donne.  Di queste vengono evidenziati sentimenti, caratteri, emozioni, delineati soprattutto nelle differenze rispetto agli uomini con i quali esse si relazionano: tratti psicologici scolpiti in scene realistiche e intrecci narrativi tipicamente riscontrabili nel mondo d’oggi, in qualsiasi Paese. I film sono ambientati nei luoghi di produzione (Francia, Germania, Lussemburgo, Argentina, Giappone, gran Bretagna, Usa, Portogallo Cina, Hong Kong e perfino Italia, dopo anni di sua assenza in questo concorso) dei tre continenti più produttivi nella cinematografia (l’Europa, le Americhe, l’Asia).  

Probabilmente proprio la presenza predominante delle donne nella direzione e nella giuria di questo festival, a cominciare dalla direttrice Emanuela Martini, ha influito nel determinare, anche se forse inconsciamente, una scelta delle opere in prevalenza su tematiche femminili. Di queste ultime, quattro (su dieci) hanno come protagonista una adolescente (Don't forget meArpònTheyKiss and kry), cioè un soggetto femminile nell’età della formazione, connotata da contraddizioni fra incertezza e determinazione. Infatti le ragazze, specialmente nell’adolescenza, ma non solo, soffrono di confusione più dei ragazzi, spesso aiutati da un contesto sociale ancora in prevalenza maschilista, dovendo cercare di costruirsi da sole la propria identità, scegliendo il tipo di donna che vogliono e si sentono di poter diventare.

Il realismo dei film in concorso (ovviamente tutti del 2017) presenta la donna attuale nelle seguenti, verosimili situazioni e sfaccettature delle protagoniste, analoghe anche se in Paesi diversi e lontani:

- la quattordicenne Cata (Arpon di Tomás Espinoza, - Argentina, Venezuela, Spagna), indipendente e ribelle contro gli insistenti controlli antidroga del preside della sua scuola, sospettoso e autoritario fino a provocarne la fuga e poi, spaventato, a doversi accorgere colpevolmente della sua innocenza; 

 

 

- la giovane donna Fumiko (Bamy di Jun Tanaka - Giappone), che riesce a curare le visioni di fantasmi del suo compagno quando arriva a comprenderlo condividendole;  

- Catherine (Barrage di Laura Schroeder-Lussemburgo, Belgio/Francia), una giovane mamma, raccontata nei suoi sforzi per riconquistare la figlia, dopo averla lasciata crescere, durante un decennio di  totale assenza, dalla propria madre, con la quale si trova a dover superare il rapporto conflittuale avuto in passato;

- la ventisettenne Moll (Beast di Michael Pearce –Gran Bretagna), che si innamora di un uomo con il quale spera di poter scappare dalla sua famiglia, ma in quella selvaggia e claustrofobica isola di Jersey, nel canale della Manica, avviene un omicidio che sconvolge tutte le prospettive; 

- la trentunenne Dafne (Dafne,di Peter Mackie Burns -Gran Bretagna ), che scopre la vera se stessa solo rielaborando la drammatica esperienza alla quale ha assistito durante una aggressione in un negozio;  

- la pattinatrice Sarah (Kiss and kry di Chloé Mahieu- Francia), che, mostrata in modo documentaristico insieme a un gruppo di adolescenti come lei in cerca di sé nella competizione sportiva, scopre la sua identità autentica, superando la dipendenza dalle scelte della madre nei suoi confronti;

 

- J. (They di Anahita Ghazvinizadeh-USA), il ragazzo/ragazza adolescente fragile, sensibile nei confronti dei fiori e della natura in genere, poetico e poeta, che sta affrontando l’incertezza di una ambiguità di genere, propendendo per la femminilità, talmente cosciente di incarnare una dualità da farsi chiamare con il pronome plurale Loro;  

- The withe girl (The withe girl -Hong Kong ), la ragazza allergica al sole, che deve vivere protetta dalla luce solare, isolata, tristissima in un villaggio di pescatori di Hong Kong, finché romanticamente rinasce incontrando l’amore con un uomo sensibile;

- la sorella nel male (Blu Kinds, di Andrea Tagliaferri- Italia), giovane donna spregiudicata, immorale e tuttavia trionfalmente impunita, che istiga e aiuta il fratello, dopo aver condiviso con lui un furto dei calici d’argento in chiesa, a uccidere il padre (per averne l’eredità) e ad assassinare ogni probabile testimone, riuscendo infine nel suo intento perverso di vivere libera la sua morbosa unione con lui. 

Infine l’anoressica Tom nel film premiato come il migliore.

Il film vincitore: il tema dell’ anoressia  

L’anoressia, come è noto, è una pericolosa malattia mentale, a forte rischio di morte, assai diffusa nel nostro tempo. Si verifica soprattutto nei soggetti femminili in età adolescenziale.
La protagonista Tom del film israeliano Don't forget me dell’esordiente Ram Nehari (Israele, Francia, Germania, 2017), opera pluripremiata dalla giuria (come miglior film, migliore attrice e migliore attore), è una ragazza ricoverata in una clinica di Tel Aviv per gravi disturbi alimentari. Le prime scene rappresentano con angoscioso realismo quell’ambiente, regolato da una opprimente disciplina inflitta, per salvarle dalla morte, a delle pazienti che coltivano in tutti i modi, anche nascostamente, la propria anoressia o bulimia. Tom è una ragazza anoressica in una età verso la fine dell’adolescenza, ma mentalmente ancora immatura. Credendosi guarita perché le sono tornate le mestruazioni, fugge dalla clinica in cerca di una vita sua, libera. Quando incontra Neil, un ragazzo quasi coetaneo, psicotico e sensibile, che va e viene da un ospedale psichiatrico, riesce a comunicare con lui grazie al parallelo bisogno di entrambi di cominciare una nuova vita, andando lontano dalla città in cui sono stati prigionieri di una malattia. Diplomato al conservatorio di Amsterdam, dove è cresciuto, Neil, che ama la musica (gira con il suo trombone sulle spalle) e sogna di andare a Berlino dove crede di poter entrare in un gruppo musicale affermato, offre infatti a Tom di accompagnarlo e lei lo invita a cena a casa dei suoi.

Ma i genitori della ragazza si oppongono sia perché pretendono che la figlia rientri in clinica a completare la cura sia per l’orrore che provano all’idea di un suo viaggio proprio in Germania, un paese che per loro ebrei rappresenta la persecuzione antisemita di cui sono stati vittime anche i propri familiari. Tutto questo viene mostrato nelle scene che si svolgono in casa della famiglia di Tom, che ha invitato qui a cena l’ amico col quale vorrebbe partire. Si evidenzia così la rigidità ideologica e psicologica parallela sia del padre che della madre, anche se su piani diversi, che spiega concretamente da quale tipo di educazione abbia avuto origine l’anoressia della ragazza, dato il suo carattere tenace fino alla caparbietà narcisistica.
Tom e Neil non potranno realizzare il sogno della loro partenza per Berlino, ma trasformeranno le loro pulsioni di morte in progetto d’amore: l’ultima inquadratura ce li mostra frontalmente, seduti entrambi vicini, concordi nella prospettiva di un pranzo di nozze bianco, in cui mangiare il niente. Il messaggio del film mette quindi sullo stesso piano i disturbi alimentari e la malattia psichiatrica, ipotizzando nello stesso tempo la possibilità che un incontro umano tra i due ragazzi così malati possa divenire, nel corso della loro formazione, un aiuto compensatore, o parzialmente riparatore.     

Il film tratta quindi un argomento drammatico, qual è la, seppur diversa, malattia mentale di due giovani, osservando gli eventi e i personaggi in modo estraniato, quasi spregiudicato. Ma, proprio per questo sguardo oggettivo, il racconto sa colorare il suo realismo di una ironia che lo alleggerisce, tanto da riuscire ad avvicinarsi, nonostante il tema triste trattato, al genere della commedia. A questo contribuiscono non solo i dialoghi della sceneggiatura, ma anche i bravissimi attori Moon Shavit e Nitai Gvirtz (entrambi premiati), che recitano l’una una adolescenziale insolenza isterica e l’altro la fissità dell’assenza mentale dalla realtà.
In una sua intervista infatti il regista (di cui finora si sapeva quasi nulla) ha spiegato : «Ho una propensione per le commedie romantiche eccentriche, sebbene detesti le storie d’amore e sia terribilmente cinico. Per anni ho seguito e diretto cortometraggi realizzati da persone con problemi mentali. Don’t Forget me si basa su queste esperienze e contiene tutte le mie ossessioni, ciò che mi dà fastidio e ciò che mi fa ridere. Penso sia importante che il film risulti divertente: far ridere le persone è la mia battaglia per il rispetto di sé, perché cercare di far commuovere il pubblico è un po’ come invocare la sua pietà».

Ma tutti i film in concorso del 35 Tff, anche i cinque che trattano tematiche diverse da quelli sulla psicologia femminile, sono caratterizzati da un realismo di soggetto e di forma, espresso sia nei dialoghi sia nelle immagini sia nella recitazione. Dato che i registi relativi sono giovani o nuovi, per lo più esordienti, possiamo pensare che l’attuale creatività cinematografica del complesso mondo d’oggi si avvii a tentare una specie di rispecchiamento della realtà contemporanea, così difficile da decifrare?   

Di che cosa parliamo?

Il cinema narrativo è uno strumento di comunicazione educativa e didattica  quasi indispensabile  nella scuola di oggi, sia come arte visiva sia come mezzo per far passare e fissare  l’apprendimento attraverso emozioni. Gli insegnanti   hanno bisogno di  mantenersi    informati sui film più adeguati a questi scopi della loro attività professionale. “Lo specchio di Alice” (in quanto il cinema può essere un  vero specchio del mondo per  i ragazzi e le ragazze in formazione) si propone  di informare i docenti sui film contemporanei e su quelli del passato più interessanti e comprensibili   da parte di allievi e allieve adolescenti. Come a scuola per le letture, a  volte verranno  recensite, e didatticamente corredate,  anche opere cinematografiche meno valide esteticamente, ma capaci di suscitare interrogativi, introdurre problemi, illustrare argomenti di studio presso  gli studenti.

L'autrice

Ha insegnato in un triennio linguistico.  Supervisore di tirocinio dal 1999 al 2003  e docente di didattica della letteratura fino  al 2008 presso la SSis dell’università di Torino.  Esperta di cinema e didattica, dal 2003  ha recensito assiduamente sulla rivista insegnare  il “Torino film festival” e i film in uscita più adeguati  a prestarsi come sussidi  nell’insegnamento agli adolescenti.

 


All’indirizzo   marialuisa.jori@gmail.com  su richiesta si forniscono  gratuitamente sia  informazioni  su film  utilmente  collegabili ad  argomenti  dei  programmi scolastici (per es. di storia) sia indicazioni metodologiche   sull’uso didattico del cinema nella scuola di ogni ordine e grado.