Genere: Biografico. Drammatico
Regia: Theodore Melfi
Sceneggiatura: Theodore Melfi, Allison Schroeder dal libro di Margot Lee Shetterly
Interpreti : Taraji P. Henson, Octavia Spencer, Janelle Monáe, Kevin Costner, Kirsten Dunst, Jim Parsons, Mahershala Ali, Aldis Hodge, Glen Powell, Kimberly Quinn
Montaggio: Peter Teschner
Musiche: Pharrell Williams, Hans Zimmer, Benjamin Wallfisch
Fotografia: Mandy Walker
Durata: 127 min.
Produzione: Stati Uniti d'America, 2016
Cinema verità contro il razzismo
Oggi i film biografici contro il razzismo negli Usa sono frequenti, almeno a giudicare dal numero di quelli in concorso per il premio Oscar 2017. Il diritto di contare è uno di questi. Per di più presenta una doppia discriminazione: quella nei confronti delle donne, giudicate inadeguate a svolgere compiti tecnici e scientifici di alto livello, accanto a quella contro il colore della pelle. Di fronte a queste barbariche diseguaglianze raccontate dal film lo spettatore resta esterrefatto soprattutto perché risalgono a un tempo in cui la democrazia negli Usa si dava per consolidata. Tuttavia ancora oggi, anche se forse in forme nuove, il razzismo in alcuni Stati di quel grande Paese è tornato a farsi sentire e agire. La minaccia di una crescita d’onda reazionaria poi allarma ancor di più gli americani democratici da quando è stato eletto un presidente come Trump. Si deve anche a questo clima politico dunque il diffondersi di un cinema-verità commovente sul tema delle lotte pregresse (vinte) contro le ingiustizie sociali.
Trama
Il contesto storico è il seguente: in seguito al lancio da parte della Russia del satellite Sputnik (1957), il governo Usa decise di impegnarsi a fondo, assumendo molti ingegni e nuovi matematici nelle sue squadre per battere i concorrenti nel cammino verso la Luna (1961). Il film racconta appunto la storia vera della matematica, scienziata e fisica, Katherine Johnson (morta ultranovantenne) e di due colleghe amiche, tutte e tre afroamericane geniali, che per le loro eccezionali capacità furono chiamate a collaborare negli studi della Nasa, dove riuscirono a tracciare le traiettorie per il Programma Mercury e la missione Apollo 11. Così tre donne, sotto l’etichetta «coloured computer», diventarono una sola nelle loro battaglie che non furono solo scientifiche, ma necessariamente anche culturali: aiutarono l’America non solo nelle prime conquiste spaziali, ma anche nel suo progresso sociale democratico verso l’uguaglianza come donne e come afroamericane.
La divisione dei bagni per le donne di colore costringe la protagonista a portare il lavoro con sé (le hanno dato tempi strettissimi per eseguirlo) attraversando ogni volta l’intero campus (più di un chilometro e mezzo) per usufruire dei servizi. Sguardi ostili e silenzi circondano le ragazze che entrano negli spazi riservati ai ‘bianchi’, le caffettiere dell’ufficio sono diversificate distinguendo con la scritta ‘colore’ quelle delle utenti nere, nei confronti delle quali i bianchi assumono un tono comunicativo di sprezzante superiorità: queste sono tutte piccole spie che rimandano a una situazione all’esterno della Nasa ben più tragica e oppressiva, sebbene restino a essa vincolata, senza strabordare. A quelle che esemplificano questa situazione si alternano scene in cui le tre protagoniste si dimostrano sempre più indispensabili nella programmazione dei primi viaggi astronautici americani ( per permettere agli USA di competere finalmente anche in questo settore con l’URSS), fino a ricevere il riconoscimento di fatto da parte di tutti i colleghi bianchi sia come donne sia come afroamericane. Parallelamente viene evidenziata l’umanità delle protagoniste con il racconto della loro vita privata, familiare (ognuna ha più figli) e sentimentale (la protagonista, vedova, trova un altro amore e si sposa).
Commento
L’attrice Janelle Monae, che impersona una delle protagoniste del film, ha affermato: «I quesiti razziali e di genere che il film pone non sono certo solo quelli del 1958/60 perché i sogni e le ricerche che le donne si prefiggono in nome della nazione e contro ogni differenza di sesso o colore della pelle sono quanto mai contemporanei. Le donne assunte dalla Nasa erano pagate poco, se nere erano segregate in luoghi separati. Le tre nostre vere donne avevano alle spalle studi e curricula eccellenti e le interviste fatte dall’autrice del libro alla base della sceneggiatura sono tutte con persone realmente esistite. La produttrice del film è Donna Gigliotti, che per prima si è appassionata al ruolo delle matematiche all’ombra delle figure maschili degli astronauti. Noi siamo state perfettamente d’accordo nel rendere i toni da dramma a commedia, mentre lavoravamo in tanti ciak al Progetto Mercury e alla missione Apollo 11, anche con umorismo. Siamo felici che il film esca sugli schermi proprio durante i giorni di Natale e dobbiamo anche ricordare che molti uomini hanno voluto partecipare a questo progetto per concorrere al disegno delle afroamericane all’ombra delle missioni spaziali. In primis, a esempio, Pharrell Williams, che è entrato nella produzione e ha composto alcune canzoni originali per la colonna sonora».
Queste parole indicano il valore civile del film, raccontato in modo avvincente, grazie soprattutto alla sceneggiatura che ha creato dialoghi naturali, con battute sintetiche, veloci, rese molto espressive dalla recitazione delle attrici. Meno convincenti sono invece le interpretazioni dei personaggi bianchi razzisti. Solo Kevin Costner lo è, nel ruolo di un capo, un leader appassionato, che indirizza tutte le proprie energie e competenze direttive nel grande sogno spaziale americano comportandosi in modo saggio e giusto: è il primo ad agire contro le discriminazioni razziali più ridicole (viene mostrato mentre elimina a martellate l’insegna dei servizi per il personale di colore dicendo: “La pipì non ha colore”).
Ma, nonostante il suo contenuto storicamente interessante e cinematograficamente originale, la storia viene raccontata con troppa leggerezza, tralasciando di indagare a fondo quelle implicazioni sociali che costituiscono il background delle protagoniste. Il contesto sociale di quegli anni infatti viene accennato solo di sfuggita (attraverso qualche immagine televisiva dei discorsi di Martin Luther King o la citazione della guerra in Vietnam), senza collegamenti con quanto narrato. Tali difetti tuttavia non tolgono niente alla funzione educativa del film, grazie agli spunti di riflessione che fornisce ai giovani, a proposito del tema dei diritti, specialmente in una discussione collettiva in una classe di adolescenti.
Contemporaneamente al precedente è uscito nelle sale un altro film sul razzismo americano, legalizzato in certi Stati degli Usa, negli stessi anni (1958-66)
Genere: Biografico. Drammatico. Sentimentale
Regia: Jeff Nichols
Sceneggiatura: Jeff Nichols
Interpreti : Ruth Negga, Joel Edgerton, Marton Csokas, Michael Shannon, Nick Kroll, Bill Camp, Jon Bass, David Jensen
Montaggio: Julie Monroe
Musiche: David Wingo
Fotografia: Adam Stone
Durata: 123 min.
Produzione: Gran Bretagna, Stati Uniti d'America, 2016
Contro il razzismo commuove una storia vera
Loving racconta la persecuzione veramente subita da una coppia di diverso colore, lui bianco e lei nera, che decide di sposarsi nel 1958 e, celebrato il matrimonio in uno stato vicino alla Virginia che permetteva il matrimonio misto, di continuare a vivere a casa propria per l’appunto in Virginia, stato segregazionista. Il film si apre con la scena in cui la donna afroamericana sussurra al compagno bianco di essere incinta. Successivamente, dopo la presentazione degli ambienti quotidiani delle due rispettive famiglie, nera e bianca, entrambe prive di pregiudizi razziali, si dà risalto alla scena della domanda di matrimonio. Questo avviene in modo quasi clandestino negli uffici di una contea fuori dalla Virginia, con il padre della sposa come unico testimone.
Ma vivendo nella loro casa, costruita in un campo da loro acquistato, i coniugi Loving sono svegliati in piena notte dalla polizia per una ispezione sulla loro identità di coppia. Inutile l’esibizione del certificato di matrimonio inquadrato ed esposto su un muro della camera da letto: “La legge di dio ha fatto il passero passero, e il pettirosso pettirosso. C’è un motivo”, dice il capo della polizia della cittadina a un affranto e umiliato Richard, bianco di famiglia umile (lo vediamo fare l’agricoltore, il carpentiere), il cui padre “lavorava per un negro” e trasportava legname. L’uomo, cittadino bianco della Virginia, non dovrà più vedere la donna amata in quanto è nera, pena un nuovo arresto con lunga detenzione. Glielo intimerà lo stesso avvocato, che per l’ultima volta lo fa liberare, dopo il suo segreto ritorno per la nascita di un figlio, trasgressione che aveva provocato un nuovo arresto.
Seguono otto anni, durante i quali la famiglia Loving prolifica (tre figli) abitando con grandi sacrifici fuori dal proprio Stato d’origine, lontano dalla propria casa e dal lavoro. Ma poi, quando negli Usa maturano le forze democratiche all’inizio degli anni Sessanta, si offrono possibilità di difesa gratuita (da parte di avvocati impegnati nella lotta democratica per affermare i diritti civili) anche per questa famiglia. Qui gli stereotipi dei caratteri razziali sono in qualche modo rovesciati: il bianco Richard, chiuso in se stesso, individualista, perché reso diffidente nei confronti della società da quanto ha subito per anni senza avere un completo appoggio neanche da un privato avvocato, non crede alla giustizia del sistema. La moglie nera Mildred, invece , come una giovane bianca liberal in certi altri film sullo stesso tema, crede nella possibilità di essere difesa dalle organizzazioni democratiche e impara quindi ad avere la volontà di lottare per i diritti civili non solo per la personale difesa, ma per tutti. Infatti la vittoria della giustizia per i Loving, sancita dal Corte suprema, diventerà una legge costituzionale: da quel momento non sarà più ammessa alcuna forma segregazionista negli Stati Uniti.
Commento
Il film punta a convincere lo spettatore, commuovendolo con una storia tutta individuale. Tutto è incentrato sulla coppia Loving: la marcia al Lincoln Memorial di Martin Luther King, l’assassinio di John Kennedy a Dallas, l’escalation del guerra del Vietnam, sono lasciati fuori campo, accennati o ignorati. La narrazione procede attraverso la selezione di scene strettamente funzionali alla tesi del film. Talvolta lo stile è più vicino ai modelli dei telefilm che a quelli del cinema. Ma anche per questo si può fare la stessa considerazione scritta sopra per Il diritto di contare: tali difetti tuttavia non tolgono niente alla funzione educativa del film, grazie agli spunti di riflessione che forniscono ai giovani, a proposito del tema dei diritti, specialmente in una discussione collettiva in una classe di adolescenti.