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di Maria Luisa Jorilo specchio di Alice

09/11/2014

Il giovane favoloso

Titolo originale: Il giovane favoloso

Genere: Biografico, Drammatico, Storico
Regia: Mario Martone
Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita Di Majo
Interpreti : Elio Giordano, Isabella Ragonese, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Edoardo Natoli, Anna Mouglalis, Valerio Binasco, Paolo Graziosi

Fotografia: Renato Berta
Musiche: Sascha Ring, Gioacchino Rossini


Produzione:  Italia
Anno: 2014

 

“Così ho pensato di andare verso la Grotta,
in fondo alla quale, in un paese di luce,
dorme, da cento anni, il giovane favoloso.”

(Anna Maria Ortese, Pellegrinaggio alla tomba di Leopardi)

Martone e Leopardi,  genio ribelle

Mario Martone ha tratto dalla definizione di Leopardi  fatta da Ortese, una scrittrice  a lui ben nota,   il titolo  del suo  film  biografico sul Poeta. Dopo il successo della sua rappresentazione teatrale de Le operette morali  (2011) aveva continuato ad alimentare   il suo antico  desiderio  di portare sullo schermo la vita  del Poeta. Già nel 2004 ne aveva  rappresentato in teatro  il personaggio, accanto ad altri due,  ugualmente   napoletani non   nativi: Caravaggio e  la stessa Anna Maria Ortese,   ispirandosi per questa  ultima a L’opera segreta, una raccolta dei testi  della scrittrice a cura di Enzo Moscato.  

Nel film  si coniugano questo  amore del regista per   Napoli, sua città natale,   e  quello per la personalità stessa del “giovane favoloso”. La sua simpatia  per il  Poeta  recanatese   evidentemente ha contagiato anche l’attore che nel film lo impersona, cioè un sensibile, concentratissimo Elio Germano, che ha studiato anche lui, come gli sceneggiatori, gran parte della produzione leopardiana per immedesimarsi nella parte.   La pubblicazione della sceneggiatura (Mario Martone e Ippolita di Majo, Il giovane favoloso.  La vita di Giacomo Leopardi, Milano, Mondadori  2014) ne dà atto,  offrendo, in  una appendice  a cura di  Ippolita di Majo,  una scelta di  lettere, di aforismi dai  Pensieri e di brani dello Zibaldone, raccolti “cercando Giacomo”, come  indica il titolo  dell’introduzione.  Infatti in  tutti i dialoghi del film    gli interventi  attribuiti  a  Leopardi  sono tratti  da suoi testi. Inoltre, come ha dichiarato il regista stesso, raccontare la vita interiore,  intellettuale e sentimentale, di questo Poeta è stato  reso possibile  dall’autobiografismo   presente in  tutta la sua produzione letteraria.       

Il primo ‘800 e il cinema civile di Martone   

Dopo aver   raccontato  l’età del  Risorgimento dal 1828 al 1862 nel film Noi credevamo (2010),  liberamente tratto dal  romanzo di Anna Banti, Martone   torna a trattare al cinema il tema  della necessità di illustrare l’intento di  un rinnovamento culturale e morale degli italiani, avvertito nel XIX secolo dagli intellettuali più illuminati. Giustamente  ha commentato in proposito Roberto Saviano:  “Martone è attratto dall’Italia che poteva essere e non è stata”.  Proprio nel delineare una biografia di Giacomo Leopardi il regista sembra voler raccontare  come  nel pensiero e nella sensibilità di un genio precoce  come lui,  era   stato concepito per la prima volta in modo laico  il fondamento filosofico che avrebbe dovuto ispirare  un miglioramento dei  “costumi degli italiani”,  anche se il   saggio relativo di Leopardi  (il Discorso   sopra lo stato presente dei costumi degl'Italiani, scritto nel 1824 e pubblicato per la prima volta solo nel 1906) nel  film non   è citato. 

La  breve vita del “giovane favoloso” (1798-1837), nato e formatosi  a Recanati, in una famiglia  nobile  dello Stato pontificio, si svolge   durante l’età della Restaurazione, cioè in un ambiente  e un  tempo di imperante conformismo reazionario e bigotto. Pertanto, per le  sue idee nuove, liberal democratiche, Leopardi dai contemporanei era considerato un rivoluzionario. Per raffigurare, dunque, come questo singolare  personaggio, dal pensiero   moderno,  fosse fuori del  suo tempo,  nel manifesto del film il  primo piano  del suo interprete,  Elio Germano,   è presentato  capovolto.  La focalizzazione sulla  figura e la vita interiore del protagonista, senza le  interferenze di avvenimenti esterni, è resa possibile dal fatto che il contesto storico nel periodo in cui si svolge la vita del  Poeta recanatese, era privo  di rivolgimenti incisivi come quelli   che si sarebbero messi in moto solo più tardi, dopo la sua morte.     

 Leopardi e il piacere dell’immaginazione: dall’erudizione al bello

Il padre Monaldo, uno studioso di un certo prestigio, ma  allineato con le menti più  reazionarie del suo tempo e del suo rango,  attorniato da quelle ancora più retrive dei parenti prossimi, possiede una  biblioteca ricca di opere antiche liberamente accessibili   e di  altre, tra quelle moderne, giudicate pericolose, e pertanto chiuse con una chiave solo da lui rigorosamente custodita. Quindi i libri costituiscono presto per  Giacomo l’unica fonte di soddisfazione delle sue immense curiosità, l’unica apertura al mondo possibile per lui nell’ambiente chiuso in cui era  nato  e costretto a vivere. Lo studio diventa per lui anche  un  rifugio in se stesso, privo com’era fin da piccolo dell’affetto della madre,  Adelaide Antici, donna   algida e anaffettiva.  

Primogenito, istruito da un precettore insieme al fratello Carlo  e alla sorella Paolina (il film non nomina un terzo fratello, il minore),   Giacomo rivela sempre più doti  intellettuali eccezionali, una genialità precocissima, con orgogliosa soddisfazione del  genitore, che lo  approva e incita a dedicarsi tutto agli  studi classici e filologici.  Ma il   bambino  prodigio presenta presto disturbi fisici accompagnati, data la sua grande sensibilità, da alcuni disagi  di tipo psicologico,  che si esprimono in  bizzarre fobie.  Tuttavia, come qualunque altro  ragazzino,  egli gioca spensierato e ride gioiosamente:  Martone ce lo  mostra proprio  così, nella prima scena  del film,  volendo subito evidenziare come il  pessimismo   del Leopardi   adulto  avesse le sue radici in  un  troppo grande desiderio del piacere, anche  sensuale (lo si  mostra infatti  ghiotto di dolci e gelati). Quanto più  assoluto è  il suo bisogno di  felicità, nell’illusione infantile,  tanto più,   con la crescita della conoscenza,  in età adulta, questo  si traduce in una    amara  delusione   esistenziale.  È proprio   il bisogno  del piacere    che porta  Leopardi,  sul finire dell’età adolescenziale, dopo sette  anni di assiduo studio (“matto e disperatissimo”),  ad avvicinarsi   al  gusto estetico con la creazione poetica: una trasformazione che lui stesso  definisce “conversione  dall’erudizione al bello”.   

Martone e   Ippolita di Majo, che hanno coelaborato la sceneggiatura,  hanno   presentato  Giacomo  davanti a un libro aperto  sul tavolo di studio in biblioteca, sempre seduto  accanto a una finestra   che offre una  veduta  limitata. Evidentemente  avevano letto   questo    passo   nello  Zibaldone:

“… il desiderio dell'infinito, perché allora in luogo della vista, lavora l'immaginazione e il fantastico sottentra al reale. L'anima s’ immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario. Quindi il piacere ch'io provava sempre da fanciullo, e anche ora nel vedere il cielo ecc. attraverso una finestra, una porta, una casa passatoia, come chiamano.” ( luglio  1820)

Ed ecco  dunque  nel film la scena  in cui  Leopardi  con espressione sognante è seduto in mezzo alla vegetazione  del monte Tabor di Recanati,  dove  la visione panoramica  è impedita parzialmente dalla sterpaglia. Proprio qui l’attore Germano   interpreta   la incredibile sensibilità del Poeta, ventenne,  recitando,  con  pensosa intensità, L’infinito, poetico elogio del piacere  dell’immaginazione, come in un’estasi: “…E il naufragar m’è dolce in questo mare.”.       

 Giacomo  cerca  la liberazione  dalla “gabbia”  

Ma  il desiderio di conoscenza  sempre più  nuova e vitale   rende il giovane Leopardi insofferente della vita solitaria che è costretto a condurre in Recanati,  dove si sente in “gabbia”, più deriso che compreso dai conterranei:  avrebbe  bisogno di incontrare persone con visioni del mondo più  moderne, aperte, progressiste, dalle quali essere capito. Giacomo legge periodici  contemporanei  che gli forniscono anche i nomi di personalità  della cultura di questo tipo. Scopre  Pietro Giordani  e inizia con lui una corrispondenza. Martone  racconta,  non discostandosi   minimamente dalla relativa documentazione    epistolare,  l’amicizia   tra quest’ultimo, intellettuale maturo, e il giovane Leopardi. Il film mostra     il   conte Monaldo   combattuto, in occasione della visita del Giordani, tra il compiacimento  per la stima  che il grande studioso già affermato ha per  il suo precoce  figliolo e la paura che  questo possa essere   influenzato  da quell’intellettuale liberale.   Anche se Giacomo ha maturato da solo idee diverse da quelle del padre, dall’amicizia con Giordani riceve quelle conferme che gli danno il coraggio per   ribellarsi  e  uscire  da Recanati.   

  La riflessione filosofica: dal bello al vero 

 Il regista,  a questo punto della biografia, avrebbe dovuto   soffermarsi di più su  quella fase di ulteriore cambiamento   nel suo  pensiero, da   Leopardi  stesso definita come   la sua “conversione  dal bello al vero”.  Tale scoperta della dimensione filosofica della conoscenza  fu sconvolgente per il Poeta:  improvvisamente nella sua  produzione  si aprì una lunga fase di silenzio poetico.  Sappiamo che comunque proprio  durante quei sei anni (1822 – 1828) egli scrisse testi in prosa,  soprattutto alcune Operette Morali e buona parte delle riflessioni filosofiche e filologiche dello Zibaldone.   Il film mostra   Giacomo che prima di andarsene definitivamente da Recanati, quando affida  il manoscritto dello Zibaldone  alla sorella Paolina,  risponde  da par suo   alla sua domanda su che cosa è il vero:  “Il vero è il dubbio. Chi dubita sa, e sa più che si possa”.  

L’aspetto di  Leopardi  che viene  più nettamente   evidenziato nel film  rispetto a quello della svolta con la scoperta  del vero dopo i vent’anni,    è  però l’insofferenza e la  ribellione contro la chiusura mentale dei genitori e dell’ambiente:  il conservatorismo del padre, il dogmatismo  religioso  dei recanatesi e  l’ottusità, il bigottismo della  madre.  Martone la  mostra atroce nel fare - secondo lei “cristianamente”- le condoglianze al padre  di   Teresa Fattorini (la figlia del cocchiere di casa Leopardi a Recanati, morta di tisi a 21 anni) con queste parole:  “È giorno lieto quello in cui Iddio chiama a sé una delle sue anime”. Giacomo  appare  inorridito da  una tale considerazione mentre  sente  profondamente ingiusta la morte di una giovanissima, che aggiunge un altro tassello alla sua concezione della “natura matrigna”  (evidentemente si allude qui   alla sua successiva composizione  di  A Silvia nel 1828).

La natura, come personaggio  simbolico del  Dialogo della Natura e di un islandese, in parte  declamato, nella seconda parte del film, viene raffigurata come una gigantessa di sabbia che svetta in un deserto: con  le fattezze della madre Adelaide è sul punto di sfaldarsi. L’immagine è bella, ma forse poco comprensibile nel suo vero significato da coloro che non  conoscono i testi delle  Operette

Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia (1829-30) nel film viene appena   nominato da Giordani, mentre a Firenze passeggia sulle rive dell’Arno con Leopardi: “Quanto ho ammirato le tue prime poesie…e le nuove. Quanto è stupendo quel tuo Pastore errante dell’Asia!” Se non  questo,  almeno uno degli altri   canti pisano-recanatesi del 1829, composti  dopo   A silvia,  durante la malattia agli occhi (i “sedici mesi di notte orribile”), avrebbe  meritato la citazione  di qualche verso,  scegliendo forse tra  La quiete dopo la tempesta, Il passero solitario  o, ancor meglio,  Le Ricordanze. La necessità di  contenere la narrazione biografica in tempi filmici moderati forse non basta a giustificare  la mancanza di  attenzione alla  produzione certamente più significativa del suo forzato ritorno a Recanati per motivi di salute per raccontare   l’evoluzione non solo  della poesia, ma soprattutto del   pensiero  di Leopardi.

A Firenze tra sentimenti e delusioni

Giustamente, invece, Martone  evita  i dettagli  relativi ai  brevi viaggi di Leopardi (a Milano, Bologna,   Ravenna, Perugia,  Spoleto, Pisa), spesso compiuti  per motivi editoriali e,  con  un salto cronologico  di una decina di anni (1820-1830), lo mostra  a Firenze, nel Gabinetto dell’editore e scrittore di origine svizzera Giovan Pietro Vieussieux.  In questo luogo, affollato di intellettuali, viene comunicato a Leopardi che le   Operette morali   non hanno vinto il premio dell’Accademia della crusca,   assegnato invece a Carlo Botta.   Giordani capisce che il rifiuto della premiazione  è  dovuto al contenuto antireligioso, dato che   facevano parte  della giuria  anche dei preti: Alessandro  Manzoni sarebbe stato il preferito se avesse partecipato al concorso.  Il cattolico Niccolò Tommaseo,  che non sopporta il pessimismo  miscredente delle Operette morali, sbotta sempre nella stessa scena in  una battuta sarcastica alle spalle dell’autore: “Di Leopardi nel Novecento non rimarrà neppure la gobba!”.

A  Firenze  Leopardi incontra però anche degli ammiratori. Il regista mostra,    presentando  la scena di   un gioco a mosca cieca  a  tre su un prato di Fiesole, l’amicizia divertita e innamorata di  Giacomo per due  persone che lo stimano particolarmente:  lo studente esule napoletano Antonio Giuseppe Ranieri, di nobile famiglia, e  l’avvenente     Fanny Ronchivecchi Targioni Tozzetti, una  nobildonna italiana, animatrice di un salotto letterario e  madre di due  bambine. A questa, quando   Giordani   mostra loro con ammirazione la  scultura di Psiche di Pietro Tenerani,  Leopardi sussurra:  “Amava ad occhi chiusi senza vedere chi fosse l'amato. Non c'è favola più bella di Amore e psiche”.  Una sola frase che vale per delineare due sentimenti di Giacomo: il suo amore per le “favole antiche” e il desiderio di essere amato  a prescindere  dalle deformità del suo corpo.   

Del resto il periodo fiorentino di Giacomo viene raccontato   nel film  evidenziando   sia le sue difficoltà del rapporto   con gli intellettuali liberali del circolo  dell’ Antologia, di cui fa parte Giordani, ma anche Tommaseo,  sia  il suo amore non corrisposto per Fanny, mentre  assiste alla vitalità  prorompente dell’amico Ranieri, che diviene l’amante della donna. Sconfortato  dalla deludente  certezza di essere rifiutato da lei, Giacomo volentieri vuole scappare dalla Toscana per stabilirsi a Napoli con  Ranieri. Ma passa da Roma, dove va a trovare lo zio Carlo Antici, attraverso il quale potrà ricevere il denaro che gli manda il padre, anche di nascosto dalla madre. Nel rappresentare la conversazione a tavola con questi parenti Martone coglie l’occasione per  introdurre qui   un discorso  di  Leopardi   testuale nello  Zibaldone:  “Farsi pagare per ascoltare, questo sarebbe un buon affare, visto che ora scrivono tutti! … Addormentandosi l’ascoltante, si dovrebbe rimettere al lettore la terza parte del prezzo debito”.

Poi a Napoli nel 1833 Leopardi   esprime la sua  infelicità   sentimentale  in  cinque poesie  sul tema dell’amore e morte, chiamate, con riferimento alla delusione  per Fanny, ciclo di Aspasia (nell'Antica Grecia, Aspasia di Mileto  era nota come la concubina di Pericle):   Il pensiero dominante, Amore e Morte, Consalvo, A se stesso, Aspasia.  Di  quattro  di queste Martone cita qualche verso, indipendentemente dai  riferimenti ai rispettivi testi (l’attribuzione relativa è reperibile con una breve ricerca, ma non necessaria alla comprensione  delle scene), mostrando Giacomo che li detta a Ranieri.   Invece, come il regista stesso  ha spiegato in una intervista televisiva,   era già apparso  un riferimento  a un verso di  A se stesso (…e fango è il mondo)  nelle sequenze, precedenti,  su  Giacomo a Firenze, quando era apparso rotolarsi   nel fango in riva all’Arno, subito dopo aver scoperto la relazione  tra Fanny e Ranieri.

Le intense, e feconde, esperienze napoletane

L’ ultimo tratto  della vita di Leopardi, a Napoli, viene raccontato da Martone con una maggiore libertà interpretativa, con una teatralità quasi folcloristica  che ad  alcuni, sia  tra il pubblico sia tra i critici,  non è piaciuta.  Le scene napoletane che avviano  il  film verso la conclusione  sono state giudicate stucchevolmente romanzesche, come negli sceneggiati televisivi,  ingiustificate   rispetto alla rigorosa biografia intellettuale che si era voluta   ricostruire  sullo schermo,  soprattutto  nella prima parte. Il fatto è che il regista   qui doveva cercare di offrire allo spettatore una spiegazione visiva  su come e perché sia avvenuta una ulteriore evoluzione  del pensiero leopardiano, dopo la disperazione nichilista espressa in A se stesso,   arrivando al     messaggio  costruttivo che  egli   regala all’umanità   in quella specie di   testamento   spirituale - un testo morale e civile -  espresso poeticamente che è   La ginestra.   Il film infatti si chiuderà non con la morte del Poeta, ma con  la  recitazione, sulle labbra  del bravissimo attore interprete, di alcuni versi di questo suo penultimo canto (è significativo il fatto che l’ultima composizione poetica di Leopardi, Il tramonto della luna,  dove la negatività arriva al culmine, non  sia citata  da Martone).

 Martone dunque riesce a  spiegare   come  Leopardi,    tormentato  sempre più  dai dolori fisici e   dalle incertezze economiche (dipendeva  dal sostentamento del padre, come lo stesso Ranieri dal suo),  grazie alle esperienze napoletane, arrivi, a un anno dalla morte (1836), a formulare  una autentica  morale laica: l’uomo deve  opporre resistenza  contro  le sopraffazioni della natura, riconoscerle e  fronteggiarle, come il fiore della ginestra, che cresce impavido sulle sponde aride del Vesuvio, al rischio continuo d’essere inghiottito dalla lava  delle eruzioni. Per  poter  resistere  però gli esseri umani non hanno nessuna altra possibilità se non  unirsi in società istituzionalizzate e democratiche.

Martone, da napoletano amante della sua città natale, già altre cinque volte da lui portata sullo schermo in  precedenti film, immagina, e   drammatizza come l’esperienza della socialità  della  Napoli plebea   trasmetta anche a Leopardi un vitalistico  amore per il prossimo. In una intervista infatti  afferma che: “Napoli ha una forza indistruttibile. Pur in condizioni drammatiche è un eterno limbo, un purgatorio sempre capace di rivelazioni umane”.   Ecco perché egli  sceglie di rappresentare  il suo personaggio  innamorato della gente dei quartieri popolari: degli scugnizzi, delle prostitute, delle taverne, dei bicchieri di vino e dei taralli.  Lo fa  assistere perfino  al  gioco del pallone a bracciale (Martone  dimostra di sapere che   nel 1821 il Poeta aveva  dedicato una canzone  A un vincitore nel  pallone) e intrattenersi con uno dei giocatori,  Gennaro.  Ecco poi  la scena in cui a questo ragazzone robusto e scherzoso Giacomo narra come una favola esilarante la guerra tra i topi e le rane (stava scrivendo I paralipomeni, la continuazione del poemetto greco Batracomiomachia da lui tradotto).

 Il regista mostra un   Leopardi  meno compreso dai signori che dai ragazzi del popolo:   quando in un caffè   egli  sente un signore sostenere che il suo pessimismo è dovuto   alle sue sofferenze fisiche esclama: “Le mie opinioni non hanno niente a che fare con le mie sofferenze personali, fatemi la grazia di non attribuire al mio stato quel che si deve solo al mio intelletto!”     Sono parole scritte davvero dal Poeta, che gli sceneggiatori hanno   introdotto opportunamente qui,  nell’ultima parte  del film, per sottolineare ancora una volta il carattere impersonale,  filosofico, delle tesi esistenziali di Leopardi.  

Anche la scelta di Martone di mostrare come i cadaveri del  colera, epidemia che scoppiò a Napoli nel 1836, abbandonati nelle strade cittadine,  capitano sotto gli occhi inorriditi  di  Leopardi, ha la funzione di  spiegarne l’evoluzione conclusiva del suo pensiero.   Da quel momento la   riflessione del Poeta  considera i mali, che  la natura infligge, non più  dal punto di vista individuale,  ma in relazione a intere collettività. Inoltre,  poiché per sfuggire ai contagi l'amico Ranieri lo trascina a Torre Annunziata ai piedi del Vesuvio,   il Poeta di fronte ai resti di  Pompei ed Ercolano  riflette anche  su un altro sterminio  che incombe sulle associazioni e le costruzioni umane:  una improvvisa  eruzione vulcanica annienta intere città con tutti i loro abitanti.  Sono significative le insistite immagini dei fenomeni eruttivi    per   rappresentare   quanto  si raffigurava  nella mente  Leopardi  guardando  le pendici del  Vesuvio,   considerando che a quella violenza non resisteva nessuna altra vita al di fuori del fiore della ginestra.   

 

 Che cosa il film comunica ai giovani (e non solo)

È comprensibile come  Il giovane favoloso di Martone  si  rivolga particolarmente   ai ragazzi e alle ragazze.  L’opera  ritrae   un giovane eccezionale, come recita il titolo stesso, ma nello stesso tempo dai tratti tipici  della gioventù di tutti  i tempi,  come la propensione allo scherzo e  l’uso dell’ironia. Pertanto il film  ci dice, senza toni retorici né didascalici, che la giovinezza in generale, se vissuta coraggiosamente e con riflessione critica  su se stessi e sul proprio contesto, può far  scoprire  o costruire nuove, più moderne e utili visioni del mondo, anche quando queste comportano una tale discontinuità con le idee dei padri da   far esplodere  la ribellione.

Inoltre   Martone  attraverso Leopardi   mostra    come   ci possa essere  spiritualità in una  visione  laica  del mondo, in  una  concezione   materialista della vita umana,  non antropocentrica.  La virtù è, secondo il Poeta,   cercare e   riconoscere il  vero fino in fondo,  guardarlo in faccia coraggiosamente, anche se doloroso,   invece di  affidarsi a false credenze  per trovarvi illusorie consolazioni;  solo  così si riesce a scoprire il valore della solidarietà.

Chi critica il regista per aver  rappresentato senza reticenze gli aspetti  della malattia e delle deformità  del corpo  di Leopardi non tiene conto dunque della necessità di rappresentare, e sottolineare, le condizioni fisiche, materiali,  in cui nasce la spiritualità della poesia e della filosofia morale  nell’ autore recanatese, che non faceva sconti al riconoscimento del vero,  con  tutti gli aspetti del “ male di vivere” di cui avrebbero parlato molti scrittori  e poeti del secolo successivo.  Infatti quello di Leopardi - è stato giusto mostrarlo  come ha fatto Martone -  è  l’esempio  della disabilità che contiene la ricchezza del pensiero e della sensibilità.

Ma il film ci dice anche di più, valorizzando il desiderio, che   viene mostrato  sempre  vivo in Leopardi, anche se  insoddisfatto  e deluso.  Ci dice che la capacità di  aspirare alla felicità, quando si sta vivendo una condizione infelice, comporta  un’immaginazione  che crea l’utopia. Ne  La ginestra  questa viene descritta nella strofe che definisce saggi gli uomini che si associano in pace e stolti quelli che si fanno  la guerra. E  l’associazione pacifica, civile degli esseri umani, impegnati nell’essere solidali, in aiuto reciproco contro i mali della natura non è un bel desiderio utopistico anche oggi?   Nel nostro tempo, di crisi in tutti i campi, manca il desiderio, la capacità di costruire utopie, specialmente a molti  giovani (per esempio quelli che né studiano né lavorano), che ne avrebbero bisogno per  saper dare alla propria vita scopi attivi e costruttivi. Senza  utopie un ragazzo non trova neanche il coraggio di contrapporsi con il nuovo ai genitori, di ribellarsi contro le ingiustizie, di leggere il mondo  contemporaneo, aiutando così  la generazione dei padri  a  vedere quello  di cui,  attraverso soltanto la  propria vecchia esperienza, non   potrebbe  accorgersi.  

Martone  insiste  anche nell’evidenziare i sentimenti di Leopardi per le persone:   l’amore e l’amicizia.   Nel film,  passeggiando con Giordani, Giacomo, deluso da Fanny,   confessa proprio di aver bisogno soprattutto d’amore.  Gli viene risposto con  una rassicurazione affettiva  da parte dell’amico. E poi anche Antonio Ranieri gli vuole bene, tanto da coinvolgere  perfino la propria sorella Paolina nelle cure di lui. È merito del regista aver sfiorato con molto garbo (uno sguardo fulmineo di Giacomo  al  bel  corpo nudo  di Antonio)  il discusso, pettegolo e  ipotetico rapporto omosessuale di Giacomo con Antonio durante la loro settennale convivenza. Martone ha mostrato lo sconfinamento  tra i sentimenti  di  un essere umano: amore e amicizia possono essere, o sono, perfettamente sovrapponibili. Tanto più che -evidentemente il regista non lo dimentica- Leopardi vive nell’età del “forte sentire”, l’età dei sentimenti, il Romanticismo, anche se egli non si è mai voluto ascrivere alla categoria dei poeti  romantici.  

 Il giovane favoloso racconta dunque in modo corretto la  biografia intellettuale  del grande Poeta   che è, almeno fino al Novecento inoltrato, l’unico autore della letteratura italiana che si possa definire moralista come quelli della letteratura francese. Tuttavia  il  film   non  vuole essere e non è, non va visto come una lezione su Leopardi, bensì come l’espressione  del pensiero di Martone, che comunica la sua visione del mondo  attraverso quel personaggio, pur  attenendosi con rispetto e rigore ai dati autentici della  relativa produzione scritta.  Lo spettatore è invitato a una tale interpretazione   anche dalla scelta  della musica elettronica di Sascha Ring,  voluta dal regista, che fa saltare  la memoria scolastica del Poeta  introducendo   le note del nostro presente.   Perfino la  splendida fotografia di Renato Berta, che utilizza il chiaro e lo scuro  come  in una pittura caravaggesca, ma in inquadrature modernissime, induce a un confronto fra ieri e oggi.

 

Di che cosa parliamo?

Il cinema narrativo è uno strumento di comunicazione educativa e didattica  quasi indispensabile  nella scuola di oggi, sia come arte visiva sia come mezzo per far passare e fissare  l’apprendimento attraverso emozioni. Gli insegnanti   hanno bisogno di  mantenersi    informati sui film più adeguati a questi scopi della loro attività professionale. “Lo specchio di Alice” (in quanto il cinema può essere un  vero specchio del mondo per  i ragazzi e le ragazze in formazione) si propone  di informare i docenti sui film contemporanei e su quelli del passato più interessanti e comprensibili   da parte di allievi e allieve adolescenti. Come a scuola per le letture, a  volte verranno  recensite, e didatticamente corredate,  anche opere cinematografiche meno valide esteticamente, ma capaci di suscitare interrogativi, introdurre problemi, illustrare argomenti di studio presso  gli studenti.

L'autrice

Ha insegnato in un triennio linguistico.  Supervisore di tirocinio dal 1999 al 2003  e docente di didattica della letteratura fino  al 2008 presso la SSis dell’università di Torino.  Esperta di cinema e didattica, dal 2003  ha recensito assiduamente sulla rivista insegnare  il “Torino film festival” e i film in uscita più adeguati  a prestarsi come sussidi  nell’insegnamento agli adolescenti.

 


All’indirizzo   marialuisa.jori@gmail.com  su richiesta si forniscono  gratuitamente sia  informazioni  su film  utilmente  collegabili ad  argomenti  dei  programmi scolastici (per es. di storia) sia indicazioni metodologiche   sull’uso didattico del cinema nella scuola di ogni ordine e grado.