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di Maria Luisa Jorilo specchio di Alice

17/03/2015

Maraviglioso Boccaccio

Titolo originale: Maraviglioso Boccaccio 

Genere: Commedia, Drammatico, Storico 
RegiaPaolo e Vittorio Taviani 
SceneggiaturaPaolo e Vittorio Taviani  Interpreti Lello Arena, Melissa Bartolini,  Paola Cortellesi, Eugenia Costantini, Carolina Crescentini, Moisè Curia, Miriam Dalmazio, Camilla Diana, Fabrizio Falco, Ilaria Giachi, Barbara Giordano, Lino Guanciale, Rosabell Laurenti Sellers, Flavio Parenti, Vittoria Puccini, Michele Riondino, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio,  Jasmine Trinca, Josafat Vagni
Fotografia: Simone Zampagni 
Musiche: Giuliano Taviani e Carmelo Travia  
Produzione: Italia, 2015

Quando bravi registi  portano sullo schermo opere letterarie, giocano tra la fedeltà al testo, l’interpretazione e, specialmente se si tratta di un’opera classica di un tempo molto lontano dal nostro, su un adeguamento narrativo e figurativo al gusto del pubblico  contemporaneo. Paolo e Vittorio Taviani con Maraviglioso Boccaccio  per la seconda volta (nel 1984 avevano rappresentato in Kaos testi del siciliano Luigi Pirandello) portano sullo schermo delle novelle letterarie di autori classici.  Oggi i  registi Taviani, toscani, tornano dunque a fare un cinema di ispirazione letteraria   attingendo i soggetti  dal grande narratore classico della loro  Toscana: Giovanni Boccaccio.
Per esplicita dichiarazione nelle loro interviste, la scelta  di rappresentare il  Decameron era apparsa  subito alle loro menti come la più  adeguata per trattare gli argomenti esistenziali  utili a rafforzare la resistenza delle ragazze e dei ragazzi d’oggi di fronte alle difficoltà della vita  contemporanea: la vitalità con cui i giovani, ma  soprattutto le  donne, reagiscono o possono reagire  di fronte ai pericoli incombenti di morte e la possibilità di contrastare la paura con la bellezza.  Nella peste descritta da Boccaccio i Taviani hanno visto  il pretesto di illustrare simbolicamente  le varie minacce che oggi ci circondano: dal terrorismo Jihadista  agli sconvolgimenti della vita civile a causa della crisi. Le prime sequenze del film sono magistrali per il modo sinteticamente visivo in cui viene tradotta in narrazione cinematografica la descrizione del Decameron sugli effetti della peste nera del 1348  a Firenze. La scelta delle immagini e delle scene operata dai Taviani è qui  doppiamente significativa, perché da una parte è quasi letteralmente aderente al testo medievale e dall’altra si fa in certi casi allusiva ai mali del nostro tempo.

Il film si apre con un uomo di spalle, in  cima a  una finestra del campanile di Giotto, dalla quale pochi secondi dopo si butta nel vuoto. Qui è inevitabile cogliere  l’analogia tra questo suicidio  e le immagini, che abbiamo tutti ancora negli occhi, di coloro che si gettavano dalle torri gemelle l’undici settembre del 2001.  Seguono  altre scene più  attinenti al testo di Boccaccio, come per esempio le persone che per le strade  camminano odorando mazzi di fiori campestri, che, secondo la superstizione  medievale, avrebbero  potuto difendere dal contagio. Poi c’è la citazione testuale dell’orrore, sotto gli occhi di tutti, perché non c’è  personale sufficiente  per  sgomberare le vie dai corpi  in putrefazione: come nel quadro picassiano Guernica, ai cadaveri umani si aggiungono quelli  degli  animali stramazzati, un cavallo e un porco, colpiti anche loro  dalla peste.  In particolare la visione dei cadaveri rinsecchiti  ammassati in una fossa comune ci dà i brividi  per l’analogia con   l’orrore nei campi di sterminio nazisti.

La scena poi passa all’interno di Santa Maria Novella, dove sette giovani donne, tra i diciotto e i ventotto anni, si  riuniscono  per  cercare di resistere alle tante  sofferenze   arrivando a prendere in considerazione l’idea, suggerita da  Pampinea, la più anziana, di fuggire dalla città in preda alla peste e soffocata dal caldo dell’estate (è il mese di luglio). Decidono così di rifugiarsi in una villa nella campagna circostante per potersi  difendere non solo dal contagio, ma anche dalla tristezza   degli orrendi eventi e spettacoli provocati dalla peste a Firenze.  Queste ragazze vogliono vivere e  convincono anche tre giovani amici,  che entrano in chiesa in quello stesso momento,  a unirsi  al loro programma. Segue l’ambiente della casa nella campagna fiorentina, dove il paesaggio ha i colori e la luce dei quadri rinascimentali e   la riunione delle sette donne e dei tre giovani sull’erba del giardino  sembra  rispecchiare quadri  in cui  si imparentano classicità e impressionismo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vengono stabilite  nel consenso generale  le regole  da rispettare per dare una disciplina al soggiorno della brigata in villa: le tre coppie (i maschi sono solo tre) dovranno attenersi a un comportamento casto (nel film si dice per non far nascere invidie in quelle che non hanno con loro il proprio compagno) e, per passare il tempo e dimenticare l’orrore e i dolori   lasciati in città, si racconteranno a turno delle  storie, su argomenti a piacere (a differenza del Decameron, dove ogni giornata ha una regina e un tema).   Il resto del tempo lo impiegheranno  nel provvedere alle loro necessità, come facevano i contadini. In una bella scena le donne impastano e i tre giovani infornano il pane. Si tratta qui di una  invenzione dei  registi, preoccupati evidentemente di rendere il contesto più verosimile, quindi realistico,  ai nostri occhi  moderni, perché  la narrazione di Boccaccio,  invece, attribuisce, secondo le usanze medievali, tutte le incombenze domestiche a una specifica servitù, di cui fa perfino i nomi.

Le  cinque novelle rappresentate sono state scelte  dai   registi (tra le  cento dell’opera letteraria) secondo   un criterio abbastanza preciso: “ne avevamo in mente molte – spiega Vittorio Taviani – ma per il nostro film dovevano avere tre pulsioni, una riflessa nell’altra: quella dell’orrore della vicenda umana di ieri e di oggi, quella di questi giovani che stanno per dire di non aver più voglia di vivere e invece poi vogliono farlo, e la fantasia che ci aiuta a revocare immagini raccontando quello che gli uomini possono fare di grande, di bello e di osceno e dove l’amore è quello che ‘move il sole e l’altre stelle’”.

Le novelle narrate  in Meraviglioso Boccaccio, come dichiara una didascalia in testa al film,  sono “liberamente tratte dal Decameron”. Il titolo richiama l’autore  piuttosto che la specificità dell’opera: i registi hanno voluto creare un film che facesse conoscere  le qualità essenziali   del grande narratore toscano,  il suo sguardo profondamente umanistico sulla vita, sfaccettato   nella varietà e relatività  del caso,  tra drammaticità  dei sentimenti e comicità delle situazioni e dei comportamenti. Con l’aggettivo “meraviglioso” hanno voluto poi sottolineare  la curiosità e lo stupore con cui  l’autore umanista osserva e racconta realisticamente la varietà degli esseri e degli eventi, per lo più casuali e inevitabili, in cui  si dipana la nostra vita.  Le novelle sono state  qua e là trasformate  per accentuare, e soprattutto, rendere ancora attuale lo scopo comunicativo, anche se  i cambiamenti operati dai Taviani non sono tali da renderle irriconoscibili rispetto al testo originario. Eccole nella sequenza in cui sono rappresentate nel film e, tra parentesi, nella rispettiva collocazione nel Decameron:

  • “Catalina” (quarta novella della decima giornata)
  • “Calandrino e l’elitropia” (terza dell’ottava giornata) 
  •  “Ghismunda” (prima della quarta giornata) 
  • “La badessa” (seconda della nona giornata) 
  • “Federico degli Alberghi” (nona della quinta giornata)   

Tre di queste novelle sono drammatiche, ma a lieto fine, e due comiche. La prima è ancora ambientata nel contesto della peste: una giovane donna, Catalina, allontanata egoisticamente  dal marito e dalla suocera perché ammalata, viene creduta morta durante il viaggio verso il podere della famiglia e lasciata nel sepolcro di una cappella isolata. Qui un uomo che l’ama da sempre da lontano la trova, la scopre ancora viva, la rianima e la salva portandola a curarsi nella sua casa. Solo nella conclusione i Taviani hanno operato un cambiamento  per  correggere in senso moderno quanto poteva apparire troppo strettamente attinente al costume medievale sui rapporti uomo-donna. 

Anche le altre novelle sono state un po’ spogliate delle loro connotazioni antiche, soprattutto riguardo alle immagini  più spiccatamente lontane dalla cultura attuale. Ma si è trattato di una manipolazione leggera, soprattutto esteriore, che, però, proprio  per il continuo tentativo di  cambiare senza  stravolgere il  testo,  ha reso spesso  algide, in un certo senso piatte,  le narrazioni, nonostante la buona recitazione degli attori. Le novelle  che si sono prestate forse di più alla traduzione  cinematografica sono quella di “Calandrino” e quella de “La badessa”:  vicine al genere della commedia, hanno reso più facile allo sceneggiatore il passaggio dal linguaggio del testo narrativo  di Boccaccio alla teatralità dei  dialoghi e delle immagini costruita dai registi.

Stranamente alla fine del film, quando viene deciso il ritorno a Firenze, viene detto, per pura fedeltà  letterale al testo di Boccaccio, che sono trascorse   così quindici notti. Questa indicazione temporale  appare sproporzionata rispetto al ristretto numero delle azioni e delle novelle raccontate nel film (solo cinque).  Soprattutto chi non ha letto integralmente il  Decameron si stupisce che le dieci giornate indicate dal titolo dell’opera (composto dal greco antico δέκα, déka, "dieci", ed ἡμερών, hēmeròn "giorni", con il significato di "[opera] di dieci giorni"), diventino per i registi Taviani quattordici, più una notte. Ma  Boccaccio  si riferiva  nel titolo  alle dieci giornate  in cui si raccontavano le novelle, alle quali però, per conteggiare il totale del tempo del soggiorno in campagna, vanno aggiunti i quattro giorni (due venerdì e due sabati) stabiliti di riposo. Non si capisce questa scelta dei registi di  enunciare   letteralmente   lo stesso tempo  conteggiato nel libro,   senza aggiungere  le testuali motivazioni,  e a titolo del tutto gratuito rispetto alla   impostazione narrativa nel film.   

  

 

 Il film, se non può essere esente da critiche nel suo complesso,   si presta comunque  a una visione piacevole e, almeno in alcune scene, esteticamente soddisfacente. Inoltre  offre agli studenti, e non solo, l’occasione di  un confronto con il testo del Decameron, attraverso una sua approfondita lettura, e le soluzioni cinematografiche.  È significativo il fatto che con questo esempio, dopo Il giovane favoloso di Mario Martone, nell’arco di pochi mesi  ben  due film (che presto saranno tre con il film di Matteo Garrone su Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile)  ci  inducono a tornare a leggere i classici della letteratura italiana. Inoltre entrambi i film sono  intitolati con  attributi di significato   superlativo per i rispettivi autori  classici.   Nella crisi che  l’Italia sta attraversando forse un’arte popolare come il cinema  è implicitamente sollecitata, a ripercorrere  le  radici culturali della nostra nazione. 

Un  precedente film di Paolo e Vittorio Taviani, Kaos (nel 1984, decimo della loro produzione), tratto da un’altra  raccolta di novelle letterarie permette un confronto soprattutto stilistico, tra continuità e discontinuità.

 

Titolo originale: Kaos 

Genere: Commedia, Drammatico
RegiaPaolo e Vittorio Taviani 
Sceneggiatura:Paolo e Vittorio Taviani, Tonino Guerra
Interpreti : Omero Antonutii, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Regina Bianchi
 
Musiche: Nicola Piovani 
Produzione: Italia, 1984

 

 

Un corvo nero  si libra sopra la Sicilia di Luigi Pirandello con un campanello appeso al collo,  un’ immagine come un  filo che collega le  quattro  novelle che compongono il film.

“L'altro figlio” racconta l'odio di una madre nei confronti di uno dei suoi figli, il cui preoccupante aspetto sembra essere la reincarnazione vivente dell'uomo che l'ha violentata.

“Mal di luna” mostra l'amore, l'angoscia e il desiderio di una giovane sposa, Sidora, di fronte alla malattia sconosciuta di suo marito Bata. Quest'ultimo, infatti, nelle notti di luna piena è colto da raptus violenti e incontrollabili...

“La giara” presenta un proprietario terriero che fa riparare una costosa giara da un esperto artigiano, ma questi ne rimarrà bloccato all'interno (il racconto è interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia).

“Requiem” descrive la lotta dei contadini contro gli amministratori di Ragusa che non permettono di seppellire il patriarca sui loro altipiani invece che nel lontano cimitero della città.

Nell'epilogo  Pirandello parla  al fantasma di sua madre  a proposito di un episodio   autobiografico che avrebbe voluto, ma non ha potuto, scrivere perché gli mancavano le parole.

Più volte i fratelli Taviani si concedono alcune  libertà nell'adattamento cinematografico del testo pirandelliano originale, sempre nel rispetto però  di quanto l’Autore aveva voluto significare  (si veda per esempio  la fine di “Requiem”), cioè la sicilianità,   tra amore della terra e   lotta contro la fatalità. Ma non vengono trascurati neanche i sentimenti  che sono alla base della creatività di Pirandello, con significative capacità di comprensione empatica delle varie individualità. L'esempio più notevole è l'ultimo episodio del film, “Colloquio con la madre”, ambientato proprio in quella villa realmente denominata dai Pirandello “Kaos” e che dà il titolo al film, dove  la malinconia dei ricordi viene stemperata dalla ragione di vivere.   Viene rappresentato dai due registi un affetto filiale che non dipende dalla presenza fisica della persona amata, interpretando così intimamente la sensibilità umana dello scrittore siciliano.

Di che cosa parliamo?

Il cinema narrativo è uno strumento di comunicazione educativa e didattica  quasi indispensabile  nella scuola di oggi, sia come arte visiva sia come mezzo per far passare e fissare  l’apprendimento attraverso emozioni. Gli insegnanti   hanno bisogno di  mantenersi    informati sui film più adeguati a questi scopi della loro attività professionale. “Lo specchio di Alice” (in quanto il cinema può essere un  vero specchio del mondo per  i ragazzi e le ragazze in formazione) si propone  di informare i docenti sui film contemporanei e su quelli del passato più interessanti e comprensibili   da parte di allievi e allieve adolescenti. Come a scuola per le letture, a  volte verranno  recensite, e didatticamente corredate,  anche opere cinematografiche meno valide esteticamente, ma capaci di suscitare interrogativi, introdurre problemi, illustrare argomenti di studio presso  gli studenti.

L'autrice

Ha insegnato in un triennio linguistico.  Supervisore di tirocinio dal 1999 al 2003  e docente di didattica della letteratura fino  al 2008 presso la SSis dell’università di Torino.  Esperta di cinema e didattica, dal 2003  ha recensito assiduamente sulla rivista insegnare  il “Torino film festival” e i film in uscita più adeguati  a prestarsi come sussidi  nell’insegnamento agli adolescenti.

 


All’indirizzo   marialuisa.jori@gmail.com  su richiesta si forniscono  gratuitamente sia  informazioni  su film  utilmente  collegabili ad  argomenti  dei  programmi scolastici (per es. di storia) sia indicazioni metodologiche   sull’uso didattico del cinema nella scuola di ogni ordine e grado.