Titolo originale: Mustang
Genere: Drammatico
Regia: Deniz Gamze Ergüven
Sceneggiatura: Deniz Gamze Ergüven, Alice Winocour
Interpreti : (per lo più esordienti): Günes Sensoy - Doga Zeynep Doguslu - Tugba Sunguroglu - Elit Iscan - Ilayda Akdogan - Ayberk Pekcan - Bahar Kerimoglu - Burak Yigit - Erol Afsin - Suzanne Marrot - Serife Kara - Aynur Komecoglu
Musiche: Warren Ellis
Produzione: Turchia, Francia, Germania, Qatar , 2015
Già in apertura il film mette in scena la vitalità prorompente di cinque sorelle turche tra i dieci e i sedici anni (Sonay , Selma, Ece, Nur e Lale), dai comportamenti naturalmente comuni a tutte le ragazzine e le ragazze coetanee del mondo. Grazie all’affiatamento tra di loro, queste adolescenti quindi non esitano a scatenarsi liberamente. Indomabili come i cavalli selvaggi del Nord America (da cui il titolo del film), nessuna costrizione e punizione severa, anche corporale, da parte dei parenti tutori (i genitori sono morti entrambi in un incidente) riesce a farle rientrare nei ruoli imposti alle donne da una ideologia maschilista altamente repressiva nei loro confronti, che lo spettatore non stenta a riconoscere come basata su un islamismo fondamentalista wahabita.
In una località sul mar Nero, a seicento chilometri a Nord di Ankara e a mille da Istanbul, le ragazze festeggiano la fine della scuola insieme ai compagni, come avviene in tutti i Paesi del Pianeta. La più piccola, Lale, ha appena asciugato le lacrime versate nel salutare per l’ultima volta la propria insegnante, consolata però dalla possibilità di mantenersi in contatto con lei tramite la corrispondenza (si è scritta il suo indirizzo di Istanbul). Poco dopo, comunque, l’allegria giovanile al massimo grado non può non coinvolgere anche lei.
Ma gli innocenti giochi delle cinque sorelle che si tuffano, sia pure vestite, tra le onde salendo a cavalcioni sulle spalle dei ragazzi scandalizzano la gente del luogo. Così al ritorno a casa devono subire le botte della nonna che è stata informata del loro comportamento con i maschi: le ragazze si sono mostrate con la testa dei compagni tra le gambe e pertanto con questo loro osceno comportamento rischiano di non trovare più un marito. Lo zio, che è ancora più intransigente a riguardo, le chiude in casa, le fa ricoprire totalmente con vestiti marroni e informi (al posto del succinto e aderente, modellante, abbigliamento in stile occidentale), e le obbliga a imparare ed esercitare esclusivamente i lavori domestici. Computer, cellulari e altri strumenti di comunicazione con l’esterno o fonti di informazione vengono sequestrati alle ragazze e chiusi a chiave in un armadio.
Ma il richiamo alla vita libera, che per la più grande comporta anche un rapporto amoroso, è più forte di ogni ostacolo e così le sorelle iniziano a praticare brevi fughe, passando attraverso una finestra e arrampicandosi all’esterno su di un tubo di scarico. Lo zio allora fa mettere delle grate ovunque, completando così l’assetto di una vera carcerazione delle ragazze, alle quali intanto la nonna combina in fretta un matrimonio, considerato mai troppo precoce e non su scelta da parte della sposa, secondo la tradizione islamica fondamentalista. In questa vige al massimo grado il culto della verginità che comporta perfino l’esposizione del lenzuolo insanguinato appena dopo il primo amplesso dei coniugi. In assenza del sangue come prova, -e questo purtroppo accade a una delle ragazze della vicenda- la donna viene immediatamente, nottetempo, sottoposta ad analisi ginecologica. L’innocenza della sposa, sebbene appena adolescente, non sarà creduta attraverso la sola sua ingenua dichiarazione.
Lale è la più ribelle, la più coraggiosa: è lei che insegna alle sorelle maggiori a non rassegnarsi e cercare una via di fuga. Ma se le cinque ragazze riescono a uscire di soppiatto, a recarsi insieme ad assistere a una partita di calcio dedicata a un pubblico femminile, e a non essere scoperte dal severissimo zio nonostante appaiano in televisione (grazie per una volta alla complicità delle donne di casa che interrompono l’elettricità e quindi la trasmissione) non sfuggono facilmente però al matrimonio al quale vengono destinate contro alla loro volontà. Tuttavia non solo le loro età, ma anche i loro caratteri sono diversi: la maggiore è furba e sarà l’unica che riuscirà a sposare il ragazzo che ama, un’altra, passiva, si rassegna alle nozze con chi le è stato assegnato come marito dalla nonna e dallo zio, una terza cade vittima della propria fragilità. La quarta viene indotta dalla più piccola, Lale, a ribellarsi al momento della presentazione dello sposo destinatole, barricandosi in casa per poi fuggire con lei, fino a Istanbul, all’inizio con una specie di autostop del camioncino di un giovane commerciante conosciuto appunto da Lale. Lale, finalmente in questa città, meta sempre da lei ambita come emblema della libertà, si presenta alla porta della sua insegnante che l’accoglie in un grande abbraccio evidentemente pieno di comprensione. Poiché quindi significativamente viene replicata in chiusura del film la stessa scena con la quale lo stesso si era aperto, possiamo leggervi un riferimento alla funzione emancipatrice della scuola sia per mezzo dell’istruzione sia grazie alla possibilità che questa offre a tutti e a tutte – soprattutto alle ragazze- di incontrare modelli culturali alternativi a quelli familiari, specialmente nelle insegnanti carismatiche.
La regista è nata trentacinque anni fa ad Ankara, ma, essendo figlia di un diplomatico turco, già dalla fine degli anni Ottanta la sua famiglia si è trasferita a Parigi, dove ha studiato e dove vive. Qui è cresciuta dunque conoscendo e riconoscendo tutta quell’importanza della scuola per la liberazione delle donne, alla quale accenna nel film. Tuttavia in una intervista ha dichiarato di aver tratto ispirazione narrativa anche da tristi esperienze personali: per esempio, da adolescente lei stessa fu picchiata per essere stata vista farsi portare sulle spalle da ragazzi, perché giudicata spudorata e indecente girando “con una testa maschile tra le gambe”. Inoltre ha sostenuto di aver subito perfino il rito della prova della verginità della sposa spinto, in assenza di sangue sul lenzuolo, fino al controllo notturno della vagina da parte di un ginecologo.
Per raccontare la condizione di totale sudditanza in cui viene sottoposta la donna fin dall’adolescenza, Deniz Gamze Ergüven ha accentuato il contrasto tra l’innocenza che è nella natura esuberante delle ragazze e il comportamento sospettoso, ferocemente punitivo e costrittivo dello zio. Nel film infatti sono assai frequenti scene giocose in cui le sorelle esprimono fisicamente tutta la vitalità della loro complice giovinezza. Risalta così, anche al di là del tema proprio del racconto, una efficacissima rappresentazione dei comportamenti e della psicologia delle adolescenti, sia negli aspetti comuni sia nelle differenze individuali e proprie delle diverse fasce di età (tra gli undici e i sedici anni). Non solo un'abile regista, ma soltanto una regia femminile poteva essere in grado di offrire un ritratto così ricco e profondo della femminilità al suo sbocciare.
Un altro aspetto che il film illustra in modo efficacissimo riguarda la forza della natura istintuale che nella giovinezza è irrefrenabile, e quindi rende i soggetti, se repressi nei bisogni della vitalità propria dell’età, predisposti naturalmente e coraggiosamente alla disobbedienza e alla ribellione (proprio come i cavalli indomabili Mustang). Già Giovanni Boccaccio, nella novella di Filippo Balducci, detta “delle papere” (nell’introduzione alla IV giornata del Decameron) aveva illustrato ai suoi detrattori, lettori medievali maliziosi delle sue narrazioni realistiche ritenute scandalose, come non si possano negare e impedire in nessun modo quegli istinti assolutamente naturali che emergono e resistono in ogni essere umano, con lo sviluppo all’uscita dall’infanzia.
Il film non è perfetto, soprattutto per la mancanza di informazioni narrative sul contesto sociale, e per la soluzione finale troppo facile per essere verosimile. Tuttavia si tratta di un’opera di una esordiente di tutto rispetto. Giustamente la Francia, dopo la relativa presentazione a Cannes, l’ha scelta come candidata agli Oscar per il miglior film straniero. Inoltre si deve apprezzare l’importanza del messaggio civile del film che, anche se racconta una condizione estrema della donna in una zona culturalmente arretrata (nelle grandi città turche come a Istanbul, le donne sono certamente meno oppresse), ne fa emergere la rilevanza e i pericoli, che sono tutti da non sottovalutare proprio nella Turchia di questi giorni. Ecco infatti le parole di Deniz Gamze Ergüven a tale proposito.
«Il corpo delle donne è diventato un campo di battaglia. I politici in Turchia parlano continuamente di cosa le donne possono e non possono fare. Tutto si è accentuato dopo la vittoria di Erdogan. I conservatori si esprimono in continuazione su ciò che è morale e ciò che non lo è. Non fanno altro che parlare della sessualità, ne sono ossessionati. Anche in tv, alla radio si dice che le donne non dovrebbero ridere in pubblico, che devono arrossire quando sono al cospetto di un uomo su quanti figli dovrebbero avere. Ė una corrente sotterranea e continua per fare accettare proibizioni. Siamo state una delle prime nazioni al mondo a ottenere il diritto di voto negli anni ’30, ora un rullo compressore cerca di schiacciare tutto».
Un'altra storia di repressione
Titolo originale: Mustang
Genere: Drammatico
Regia: Haifaa Al Mansour
Sceneggiatura: Haifaa Al Mansour
Interpreti : Reem Abdullah, Waad Mohammed
Produzione: Germania, Arabia Saudita 2012
La bicicletta verde (titolo originale Wadjda, il nome della giovanissima protagonista). Già presentato a Venezia nella sezione Orizzonti, è di per sé un evento straordinario, anche se prodotto con soldi in parte tedeschi, perché è il primo film scritto e diretto per la prima volta da una donna saudita (l’esordiente Haifaa Al Mansour di 39 anni) ed è ambientato e girato tutto a Riyadh, con attrici soltanto saudite. La regista ci racconta la condizione femminile in un Paese che sembra ancora nel medioevo: le donne devono e possono vivere i rapporti fra loro solo nell’ambito domestico, sono soggette alle volontà maschili, anche quando, non riuscendo ad avere figli, il marito cerca un’altra sposa. Pertanto in pubblico sono costrette a indossare sempre il burka e a evitare qualsiasi contatto. Inoltre non solo -come sappiamo- non hanno il permesso di guidare l’auto, ma sono soggette perfino a giudizi diffamatori nel caso del semplice uso della bicicletta, perché -secondo l’ opinione comune dominata da quella della mentalità maschile - questo metterebbe a rischio la loro integra verginità. In questo clima emerge la personalità decisa di una adolescente, Wadjda, che non vuole darsi per vinta e, pur di trovare i soldi necessari a comprarsi la bicicletta, arriva a iscriversi a una gara scolastica di Corano. Anche se i risultati della vittoria, a causa dei pregiudizi e delle ideologie dell’ambiente scolastico, conforme all’integralismo dello Stato confessionale saudita, non saranno esattamente quelli sperati, la solidarietà femminile materna interverrà a correggerne l’esito infame.