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di Maria Luisa Jorilo specchio di Alice

29/05/2015

Il racconto dei racconti (Tales of tales)

Titolo originale: Tales of tales

Genere: Fantasy, Storico 
Regia: Matteo Garrone
Soggetto: Giambattista Basile , Lo cunto de li cunti (raccolta di fiabe)

Sceneggiatura: Matteo Garrone, Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Interpreti 
Salma Hayek: regina di Selvascura; Vincent Cassel: re di Roccaforte; Toby Jones: re di Altomonte; Shirley Henderson: Imma; Hayley Carmichael: Dora; Bebe Cave: Viola; Stacy Martin: Dora (giovane); Christian Lees: Elias; Jonah Lees: Jonah; Guillame Delaunay: l'orco, Alba Rohrwacher: circense; Massimo Ceccherini: circense; John C. Reilly: re di Selvascura
Fotografia: Peter Suschitzky
Musiche: Alexandre Desplat
Produzione: Italia, Regno Unito, Francia , 2015

 

Le trasformazioni del testo letterario nella interpretazione di Matteo Garrone

Il racconto dei racconti” rappresenta la naturale evoluzione della mia ricerca artistica. Ho sempre cercato di partire dalla realtà contemporanea e di trasfigurarla. In quest'ultimo progetto invece ho fatto esattamente l'inverso. Siamo partiti da una dimensione magica e l'abbiamo portata ad un contesto realistico (Matteo Garrone).

Dopo i recenti film su Leopardi e su alcune novelle di Boccaccio, il cinema italiano torna a ispirarsi alla nostra letteratura del passato. Questa volta il testo di riferimento è il barocco Lo cunto de li cunti, overo lo trattenemiento de peccerille , una raccolta di cinquanta fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile (pseudonimo anagrammatico di Gian Alesio Abbattutis, Giugliano in Campania, 15 febbraio 1566 – Giugliano in Campania, 23 febbraio 1632 ), edite postume, fra il 1634 e il 1636, a Napoli. L’opera fu intitolata Il pentamerone (qui sono infatti metà delle giornate del Decamerone di cui viene ricalcata la struttura) nel testo tradotto in lingua italiana da Benedetto Croce nel 1925. Come nell’opera del Boccaccio i quarantanove “intrattenimenti”(così vengono definite dall’autore le singole narrazioni) sono motivati dal cinquantesimo che funge da cornice come “racconto dei racconti” : in seguito ad una malia vendicatrice che la rende smaniosa di narrazioni, la moglie di un principe, che da schiava aveva usurpato con l’inganno (proprio il “falso eroe”, secondo le categorie di Vladimir Popp in Morfologia della fiaba) il ruolo di principessa profetizzato alla figlia di un re, per cinque giorni ascolta insieme al marito dieci fiabe al giorno narrate rispettivamente da dieci vecchine, finché dall’ultima di queste, che si rivela essere la sua vittima travestita, viene smascherata. Allora il principe caccia la schiava infingarda e sposa la donna di sangue reale predestinatagli profeticamente.

Matteo Garrone però, costruendo il suo film Il racconto dei racconti sulla base di una scelta limitata a solo tre delle fiabe, non ha usato la storia-cornice di Basile: ha invece intrecciato fra di loro i racconti, alternandone le scene più caratterizzate dal diverso e dal meraviglioso, ma comparabili, nonostante le rispettive storie differenti di riferimento, soprattutto sul piano espressivo (colori e musica), in modo da presentarle come un'unica, sebbene sfaccettata, rappresentazione di tutto un mondo. Ha seguito un filo conduttore che l’ha portato a focalizzarsi sull’immagine , quindi un aspetto assolutamente attuale della società contemporanea. Come il regista stesso ha dichiarato in una intervista, la sua scelta dei racconti da portare sullo schermo si è basata su due criteri: preferire le fiabe ambientate in prossimità geografica e quelle in cui si poteva facilmente individuare qualche consonanza con le abitudini di vita e con i problemi dominanti nella nostra società . Le tre storie scelte nel testo di Basile sono ambientate ad Altomonte, La Pergola e Roccaforte, tutte località della Calabria. In questi racconti è possibile percepire tematiche esistenziali e sociali che in qualche misura connotano anche il nostro presente. Il film tende, sebbene senza forzature, a evidenziare questi aspetti.

A questo scopo il regista non si è attenuto sempre completamente al testo dei racconti di Basile , modificandone talvolta parzialmente gli svolgimenti o cambiandone il finale. Nel Pentamerone le tre fiabe scelte dal regista per il film nell’ambito della prima giornata sono introdotte da queste brevi sintesi (come le novelle del Decamerone):

La pulce 5, I
Un re, che non aveva niente altro a cui pensare, alleva una pulce finché diventa grande come un castrato, la fa scuoiare, offre la figlia in premio a chi riconosce di che animale è la pelle. Un orco la riconosce dall’odore e si prende la principessa, che è liberata dai sette figli di una vecchia con altrettante prove.

La cerva fatata 9, IX
Fonzo e Canneloro nascono per fatagione: Canneloro è invidiato dalla regina, madre di Fonzo, che gli rompe la testa. Canneloro fugge e, diventato re, cade in un grande pericolo. Fonzo, per virtù di una fontana e di una mortella, viene a sapere delle sue disavventure e va a liberarlo.

La vecchia scorticata 10, X
Il re di Roccaforte si innamora della voce di una vecchia e, ingannato da un dito succhiato, la fa dormire con lui. Ma, accortosi delle pellacce, la fa gettare dalla finestra e, quella, rimasta appesa ad un albero, ha una fatagione da sette fate e, diventata una bellissima ragazza, il re se la prende in moglie. Ma l’altra sorella, invidiosa della sua fortuna, per farsi bella si fa scorticare e muore.

Il racconto più modificato nel film, soprattutto nel finale, è La pulce, dove Viola, la figlia del re padre padrone, taglia la testa all’orco e la mostra al genitore, proprio come Davide fece a Saul con la testa di Golia. Riconosciute dunque la sua maturità e le sue qualità, la ragazza viene incoronata regina al posto del padre (così come Davide divenne re al posto di Saul). Con queste modifiche il regista ha voluto alludere a due tipicità della società del nostro tempo: la forza femminile capace di liberarsi da ogni sottomissione e il problema del rapporto tra le generazioni. Della fiaba La cerva fatata vengono modernizzati nella trasposizione cinematografica i nomi dei due amici/ gemelli, che da Fozio e Candeloro diventano rispettivamente Elia e Jonas, rappresentati albini, secondo una felice idea del regista che così ne connota, nell’eccezionalità del fisico di un bianco abbagliante, la magica ambiguità. All’inizio in questa storia viene introdotta da Garrone l’apparizione nella penombra alla regina, desiderosa a tutti i costi di diventare madre, della figura di un negromante, che l’avverte: alla soddisfazione di ogni desiderio dovrà corrispondere una perdita sacrificale. E’ un patto col diavolo assente nel testo di Basile. Infatti soddisfare ciecamente questo desiderio - ci racconta l’autore del film - costerà subito la morte del re. Poi la genitrice, possessiva al massimo, perderà il figlio stesso quando questi, ormai sedicenne, scapperà da lei per vivere liberamente come il suo amico/gemello. Come non vedere qui un riferimento alla maternità oggi ricercata a tutti i costi come se un figlio fosse un acquisto da possedere per sempre? Così anche La Vecchia scorticata , racconto sullo schermo quasi del tutto conforme al testo di Basile, rammenta allo spettatore il desiderio oggi ossessivo di apparire giovani, cancellare gli inevitabili segni della vecchiaia, sottoponendosi a dolorosi e spesso pericolosi interventi della chirurgia estetica ("Chi bello vuole apparire guai e pene deve patire").

 

Un “fantasy” tutto italiano e le sue fonti pittoriche

A tutte queste ossessioni diffuse nel nostro mondo Matteo Garrone allude senza moralismi, comportandosi da osservatore esterno, oggettivo. Ogni racconto, come è tipico della fiaba, ha per protagonista un re o una regina, in piccoli regni fuori da ogni tempo, ma che possono far pensare a quelli alto medievali. I re sono rappresentati come degli esseri immaturi, oziosi, individualisti dai desideri capricciosi (uno alleva una pulce, un’altra desidera egoisticamente ad avere un figlio per riempire il vuoto sella sua vita, un terzo passa il tempo in cerca di belle donne per soddisfare la sua irrefrenabile lussuria). La vita di corte all’inizio e alla fine del film è mostrata attraverso festosi e fastosi divertimenti tra musica, balli e varie acrobazie circensi. Queste immagini, insieme a quelle mostruosamente fantastiche, per le coloriture carnevalesche ricordano per alcuni aspetti le trasfigurazioni oniriche del mondo di Fellini e per altri le descrizioni iperboliche di Rabelais. Ma lo sguardo di Garrone sulla vita è diverso, perché il suo uso del fantastico non si limita alla rappresentazione di un intrinseco, giocoso vitalismo, ma ha lo scopo di svelare il reale, non nascondendo tinte di melanconia. Infatti l’immagine finale di questo film ci dice che la vita è un rischio continuo di cadute: è un cammino su un filo infuocato, percorribile fino in fondo soltanto dagli audaci con competenze acrobatiche. Il regista costruisce così un genere fantasy tutto italiano, finora assente nel cinema prodotto nel nostro Paese, in totale alternativa a quello hollywoodiano, come si evince anche da una sua stessa dichiarazione di intenti: «Ho scelto di avvicinarmi al mondo di Basile perché nelle sue fiabe ho ritrovato quella commistione fra reale e fantastico che ha sempre caratterizzato la mia ricerca artistica. Le storie raccontate nel Cunto de li cunti passano in rassegna tutti gli opposti della vita: l’ordinario e lo straordinario, il magico e il quotidiano, il regale e lo scurrile, il semplice e l’artefatto, il sublime e il sozzo, il terribile e il soave, brandelli di mitologia e torrenti di saggezza popolare. Le fiabe raccontano i sentimenti umani spinti all’estremo».

Garrone, avvalendosi del suo talento pittorico, affida quasi esclusivamente alle immagini il suo racconto di un universo magico, usando molto poco i dialoghi, solo dove la narrazione li rende indispensabili. Ogni inquadratura appare come un quadro, dai colori forti: un cromatismo impressionistico, per esaltare il reale estremizzandolo nelle tinte forti dell’ irreale oppure un gioco di luci caravaggesco, che sfuma l’attuale nell’inattuale. I riferimenti pittorici vanno anche da I capricci di Goya a suggestioni rembrandtiane, con colori di tonalità diverse a seconda del carattere e dei desideri dei personaggi di ciascun episodio. Lo sceneggiatore Dimitri Capuani ha rivelato di condividere con Garrone la competenza pittorica e quindi ha dichiarato : «Tanti sono i riferimenti artistici che abbiamo trovato insieme e quasi tutti pittorici. Abbiamo ammirato molto le opere di Velasquez e Rembrandt per la luce e i colori, Goya per le situazioni grottesche, Carracci per il realismo di alcune scene, Pietro Longhi per i mestieri, Vermeer per i dettagli di architettura e arredamento. Per alcune scene invece, come quella del personaggio di Dora giovane nel bosco [una delle due sorelle vecchie magicamente ringiovanita in uno splendido nudo, dopo essere stata buttata dalla finestra dal re inorridito alla vista del suo corpo decrepito] o il baccanale con i pavoni, abbiamo tratto ispirazione dalla pittura dell' 800 inglese, in particolare quella dei preraffaelliti».
In questo modo il regista è riuscito a tradurre in linguaggio visivo, cinematografico, l’espressività dialettale napoletana del testo caratterizzata dall’uso metaforico più stupefacente, di stampo popolaresco nella sua concretezza materialistica, ma nello stesso tempo conforme all’estetica barocca secentesca della meraviglia. Nell’incontro con Lo cunto de li cunti Matteo Garrone fa emergere così vistosamente la sua visione del mondo, già mostrata nei suoi principali precedenti film: il grottesco in L’imbalsamatore, l’ossessione dell’esercizio del potere sul corpo della propria donna in Primo amore, la violenza estrema e illimitata in Gomorra e il fiabesco come travestimento mitico della realtà in Reality.

L’Italia mostrata da Matteo Garrone fra pregi e difetti

Il racconto dei racconti, pur essendo girato in lingua inglese, contiene anche un compiaciuto omaggio all’Italia: non tanto perché riporta in primo piano un classico della nostra letteratura che appartiene alla tradizione nazional popolare napoletana, ma in quanto mostra, con una splendida, luminosa fotografia, panorami di località italiane affascinanti e turisticamente attraenti. Le locatios del film sono state scelte tra Puglia, Toscana, Sicilia e Lazio, in luoghi molto suggestivi e a volte poco noti. Ecco alcuni esempi: la storia della regina e dei due gemelli albini è stata girata in Sicilia, sia nel labirinto del castello di Donnafugata (dove, come in Shining di Kubrik, si mostra la madre che insegue il figlio che a sua volta insegue l’amico/gemello) sia nelle Gole dell’Alcantara. Alcune scene della Vecchia scorticata sono state girate nel Lazio, nel Bosco del Sasseto, mentre lo spettacolare castello del re interpretato da Vincent Cassel è quello di Roccascalegna, in Abruzzo. Il castello dove vive il re della Pulce è il Castel del Monte, quello di Federico secondo, mentre l’orco della stessa fiaba è mostrato negli insediamenti rupestri di Gravina di Petruscio, a Mottola, in Puglia. La scena dell’inseguimento tra l’orco e la principessa Viola è stata girata nelle Vie Cave in provincia di Grosseto, in Toscana.

I personaggi del Racconto dei racconti, abitanti di questo nostro Paese davvero magico dal punto di vista delle sue bellezze paesaggistiche, poveri o ricchi, sovrani o servi, donne o uomini, giovani o vecchi, sono tutti esclusivamente concentrati sui propri desideri, egoisticamente non curanti del rispetto nei confronti delle altre persone. Nessun sentimento autentico infatti viene qui raccontato: né l’amore materno né quello paterno né quello tra sorelle. Si salva soltanto l’amicizia tra coetanei, narrata come una formidabile esperienza formativa nel racconto dei due amici/gemelli albini, grazie alla quale il figlio della regina madre possessiva riesce a scegliere e conquistare la sua libertà. Ogni personaggio pretende di esercitare il suo potere sugli altri, compresi i familiari. Le forze che contrastano i desideri si incarnano in orrendi mostri che aggrediscono e graffiano, immagini costruite in modo così perfetto da essere impressionanti. Il film usa con perizia tecnica, ma senza eccessi, gli effetti speciali per offrire lo spettacolo delle magie che, come è proprio delle fiabe, nel racconto di Garrone estremizzano in modo perturbante l’andamento dei motivi, dei temi e degli eventi, in cui agiscono gli stessi estremi realistici, nel doppio e negli opposti, nelle simmetrie e nelle asimmetrie. Prima fra tutte le contrapposizioni qui è quella tra bellezza e bruttezza, sia dei corpi sia delle situazioni e delle cose.

Nel complesso a Il racconto dei racconti, una impresa cinematografica non facile, si possono perdonare alcuni difetti, come per esempio la poca chiarezza narrativa nella parte conclusiva dell’episodio dei due amici/gemelli albini o qualche aspetto calligrafico ripetitivo. Ma non si può non apprezzare l’abilità e l’ originalità del regista in questo film. Inoltre la fotografia di Peter Suschitzky in campi lunghi rende l’idea delle antiche illustrazioni dei libri di fiabe per bambini e le musiche, un po’ dissonanti, di Desplat riportano lo spettatore al nostro presente. Ottimo il lavoro dello scenografo Dimitri Capuani, che ha perfino messo a punto al computer l’adattamento di certe locations alle situazioni narrate.

Altri film su fantastiche ambizioni sbagliate

Per comprendere meglio Il racconto dei racconti può essere utile un confronto con due film molto diversi, anche fra loro, che narrano entrambi, però, come desideri ossessivi fanno travisare la realtà in immagini mitiche che possono estremizzarsi, se non riconosciute in tempo come ambizioni sbagliate, in allucinazioni fino alla follia. Entrambi hanno per tema il mito del divismo: quello cinematografico tipico degli anni Cinquanta in Bellissima Luchino Visconti 1951) e, dopo una sessantina d’anni quello televisivo, indotto dalla trasmissione del grande fratello, in Reality di Matteo Garrone 2012.

Tra Kitsch consumistico e narcismo mediatico

Genere: Drammatico
Regia: Matteo Garrone

Interpreti : Aniello Arena, Loredana Simioli, Nando Paone, Graziella Marina, Aniello Iorio, Nunzia Schiano, Rosaria D'Urso, Giuseppina Cervizzi, Claudia Gerini
Fotografia: Peter Suschitzky
Musiche: Alexandre Desplat
Produzione: Italia,  2012

La storia è incentrata sul mondo della televisione e sull'illusione che questo media crea presso i ceti popolari dell'Italia del Terzo millennio. Il napoletano Luciano fa il pescivendolo insieme al cugino, arrotondando i proventi con piccole truffe nella vendita privata di elettrodomestici, per mantenere la moglie e due figli nel consumismo Kitsch indotto dalla pubblicità. Il suo grande sogno è quello di partecipare al reality Grande Fratello, per emergere, con la famiglia, nel prestigio sociale ed economico, ma anche per soddisfare il proprio narcisismo esibendosi in TV. Sempre più ossessionato dall'idea, Luciano finisce col perdere il senso della realtà, fino a diventare prigioniero di allucinazioni che lo conducono alla follia. Il racconto dei falsi miti dei personaggi in una Napoli popolare è però privo di giudizi morali sui comportamenti degli individui, che se mai sono visti come vittime dell’influenza di una televisione cattiva maestra.
Garrone si limita a mettere grottescamente in contrasto immagini fiabesche di vita principesca, che rappresentano le illusioni del protagonista, con la reale condizione socioeconomica popolare del pescivendolo. In apertura, per esempio, una carrozza, in arrivo in un giardino in cui ha luogo una festa per il vincitore dell’ultima edizione del grande fratello è rappresentata, significativamente, come quella magica, sontuosa, di Cenerentola. In seguito viene mostrata l’abitazione della famiglia di Luciano in un antico palazzo molto degradato, fatiscente, in contrasto con l’interno arredato con uno sfarzo luccicante kitsch.

 

Lamor materno dal sogno al risveglio sulla realtà

Genere: Drammatico
Regia: Luchino Visconti

Sceneggiatura: Cesare Zavattini
Interpreti : Anna Magnani, Walter Chiari, Tina A
Musiche: Franco Mannino, ispirate a temi de L'elisir d'amore di Donizetti
Produzione: Italia,  1951

La popolana Maddalena Cecconi, donna frustrata, delusa dalla propria vita, sogna per la figlioletta Maria una ascesa sociale attraverso un ruolo di attrice nel cinema, come avrebbe voluto per sé da giovane. L’occasione viene colta quando un annuncio della radio dà notizia che il regista Alessandro Blasetti cerca a Roma una bambina per una parte in un film. A Cinecittà molte madri accorrono con le figlie. Tra queste Maddalena non di rado si dà delle arie davanti a tutti facendosi deridere spesso dalle vicine di casa. Ma la sua piccola Maria, nonostante i sacrifici di Maddalena che ha speso i suoi pochi soldi nelle lezioni di recitazione alla figlia, all’audizione si rivela timida e goffa e scoppia a piangere disperatamente tra le crudeli risate della troupe. A questo punto la madre capisce di aver preteso dalla bambina cose che la piccola non voleva né poteva fare. Quando poi gli assistenti del regista le offrono un contratto per Maria in un ruolo del film in cui deve proprio rappresentare una bimba impacciata e paurosa, Maddalena lo rifiuta: si rende conto delle pericolose illusioni nascoste nel cinico mondo del cinema e abbandona i sogni di successo per la figlia, come realisticamente voleva da sempre il padre, convinto difensore della felicità della piccola contro ogni ambizione personale della madre.

Questo film, rigorosamente in bianco e nero, è considerato dai critici come il primo superamento dei canoni neorealistici. Visconti concentra qui la sua attenzione su una storia individuale in cui si riflette una moderna mitologia sociale, costituita dai sogni indotti dal divismo tipico di quell’epoca. Ma il giudizio morale che il film contiene richiama ancora il Neorealismo, nella misura in cui, attraverso il racconto di un esemplare ravvedimento della protagonista, contrappone eticamente il rispetto del vero ad ogni ambizione illusoriamente perseguita. Neorealistica è anche la descrizione del contesto cinico del mondo del cinema.

 

 

Di che cosa parliamo?

Il cinema narrativo è uno strumento di comunicazione educativa e didattica  quasi indispensabile  nella scuola di oggi, sia come arte visiva sia come mezzo per far passare e fissare  l’apprendimento attraverso emozioni. Gli insegnanti   hanno bisogno di  mantenersi    informati sui film più adeguati a questi scopi della loro attività professionale. “Lo specchio di Alice” (in quanto il cinema può essere un  vero specchio del mondo per  i ragazzi e le ragazze in formazione) si propone  di informare i docenti sui film contemporanei e su quelli del passato più interessanti e comprensibili   da parte di allievi e allieve adolescenti. Come a scuola per le letture, a  volte verranno  recensite, e didatticamente corredate,  anche opere cinematografiche meno valide esteticamente, ma capaci di suscitare interrogativi, introdurre problemi, illustrare argomenti di studio presso  gli studenti.

L'autrice

Ha insegnato in un triennio linguistico.  Supervisore di tirocinio dal 1999 al 2003  e docente di didattica della letteratura fino  al 2008 presso la SSis dell’università di Torino.  Esperta di cinema e didattica, dal 2003  ha recensito assiduamente sulla rivista insegnare  il “Torino film festival” e i film in uscita più adeguati  a prestarsi come sussidi  nell’insegnamento agli adolescenti.

 


All’indirizzo   marialuisa.jori@gmail.com  su richiesta si forniscono  gratuitamente sia  informazioni  su film  utilmente  collegabili ad  argomenti  dei  programmi scolastici (per es. di storia) sia indicazioni metodologiche   sull’uso didattico del cinema nella scuola di ogni ordine e grado.