Il Tff 2015 è stato dedicato, per il centenario della sua nascita, a George Orson Welles (Kenosha, 6 maggio 1915 – Los Angeles, 10 ottobre 1985) grandissimo attore, regista, sceneggiatore, scrittore, drammaturgo e produttore cinematografico statunitense.
L’immagine del mondo dei giovani nei quindici film in concorso
In totale, distribuiti in nove diverse sezioni, i film presentati nel Tff del 2015(a Torino dal 29 novembre al 1 dicembre), fra vecchi e nuovi, di vari Paesi del mondo, sono stati duecento. I quindici del concorso principale formano, per il fatto stesso di essere stati attentamente selezionati fra tanti aspiranti alla candidatura, di varie nazionalità, un piccolo campionario del contemporaneo cinema mondiale, una “vetrina”, che ci offre una lettura del mondo attuale: “Sguardi, condizioni e scelte dei giovani nel mondo d’oggi” si può definirne il tema dominante. Si tratta di opere prime o seconde non necessariamente inedite e anche talvolta già insignite di vari altri premi. Quasi la metà del totale sono di produzione extraeuropea (Usa, Canada,Canada/Croazia, Messico, Siria, Cina) mentre la metà delle otto europee (Italia, Francia, Francia/Belgio/Svizzera, Portogallo, Danimarca) sono italiane. Prevalentemente le storie raccontate sono riferite a contesti del nostro tempo ed hanno come protagonisti le nuove generazioni: bambini o, soprattutto, adolescenti (sia maschili che femminili) o giovani donne.
Gli adolescenti nel film vincitore
Il premio principale è stato assegnato al film che racconta una vicenda problematica riguardante una coppia di quindicenni innamorati: Keeper, opera prima del belga francofono Guillaume Senez, già presentata a Locarno.
I due ragazzi compagni di scuola vivono un amore sincero e appassionato. Ma i problemi sorgono con la scoperta della gravidanza di Melanie e si complicano quando i due precoci genitori decidono di non abortire. Maxim è disposto e pronto ad assumersi la responsabilità di padre, perché sogna di poter un giorno mantenere la famiglia nel lusso affermandosi come calciatore, nel ruolo di portiere. Senez con sensibilità e in linea col cinema belga, rivela così il significato del titolo: “Keeper” in Belgio, così come in vari stati anglofoni, significa “portiere”. Ho pensato che potesse essere interessante il confronto tra Maxime e questa posizione ingrata, che, in termini di impotenza, fa da eco all’impossibilità di Maxime di agire di fronte alla gravidanza di Mélanie. Un portiere non può vincere una partita. Può solo salvarla. Per concludere, visto che parte da una posizione di assoluta impotenza, Keeper è un film su ciò che ognuno desidera.
La madre di Melanie, che conosce, per aver dovuto affrontare a suo tempo una analoga esperienza, le pesanti conseguenze di una maternità troppo precoce, caricate tutte e soltanto sulle spalle della donna, vuole che la figlia si liberi del bambino, se non abortendo almeno dandolo in affido. Maxim invece riceve comprensione e appoggio dai propri genitori, dopo aver superato un primo e inevitabile sconvolgimento. Ma Melanie sente già alla vigilia del parto le limitazioni alle quali in quanto donna verrà costretta dalle cure richieste dalla maternità (mentre l’uomo comunque conserva sempre la sua libertà) e si affida perciò alle decisioni della madre, allontanandosi da Maxim. Toccante l’ultima scena in cui questo si reca a incontrare teneramente il figlioletto per la prima e per l’ultima volta.
La narrazione scorre con linearità ed equilibrio, presentando tutti i diversi punti di vista, senza privilegiarne alcuno, senza indulgere al sentimentalismo o comunque senza cadere negli stereotipi della retorica drammatica. Grazie a questo stile narrativo lo spettatore adulto viene stimolato a riflettere sul ruolo da assumere e le decisioni da prendere quando ci si trova di fronte a figli adolescenti immersi in situazioni troppo più grandi di loro.
L’idealismo giovanile nel secondo premiato
Anche il film che ha ricevuto il premio speciale della giuria, il più importante subito dopo il primo, La patota (Paulina), opera seconda dell’argentino Santiago Mitre, già vincitrice alla Semaine de la Critique di Cannes 2015 (oltre ed altri riconoscimenti) fa riflettere e discutere. Ma qui il problema trattato è di tipo etico-politico, pur riguardando una scelta ancora giovanile. Protagonista è una brillante avvocatessa di ventotto anni, Paulina, figlia di un giudice progressista, che, contro i parere del padre e il desiderio del fidanzato, lascia una vita agiata e una carriera certa per seguire un progetto umanitario in una regione povera del Paese, ai confini con il Paraguay. Il suo compito è quello di insegnare per un semestre ai giovani del luogo i principi della democrazia, la costituzione e i diritti universali. Ma, nonostante il suo entusiasmo e la sua convinzione intellettuale, non riesce a farsi capire ed accettare da quei ragazzi che, cresciuti in un ambiente materialmente e culturalmente assai deprivato, avvertono soltanto con fastidio la differenza sociale di lei. Una notte viene aggredita da un gruppo dei suoi studenti guidati da un operaio della locale segheria (un giovane uomo introverso, in una fase particolare, di frustrazione per l’abbandono da parte della sua ragazza) che la violenta.
Paulina, che si ritrova incinta dopo lo stupro subito, non solo non vuole denunciare il suo violentatore e i suoi allievi complici, ma non intende neanche liberarsi delle relative conseguenze abortendo. Tutti intorno a lei quando scoprono queste sue scelte si stupiscono, si inquietano, si arrabbiano. Nella scena finale con il padre argomenta la sua decisione. Sostiene che non si farebbe giustizia mettendo in prigione i ragazzi che l’hanno aggredita, vissuti in condizioni di povertà e di ignoranza tali da non essere in grado di capire la gravità di quel loro comportamento.
La giovane avvocatessa è divenuta pienamente cosciente, anche attraverso il tentativo di insegnare loro principi basilari di educazione civica, della distanza abissale tra la classe sociale agiata della propria famiglia e quella dei diseredati che hanno scatenato su si lei tanta violenza. Pertanto si è resa conto che non si può fare giustizia in una società così ingiusta. Paulina non denunciando e non abortendo sceglie di vivere e conservare in se stessa, perfino nel proprio corpo, i segni di tutto questo. “Non sei razzista, ma sei classista” dice al padre che vorrebbe vederla vendicarsi e cancellare con un aborto i segni della violenza subita. Riconosce di essere vittima, sì, ma non, come intende il padre, di ragazzacci delinquenti, bensì di quel sistema di potere che ha lasciato allo sbando una fetta di mondo.
Questo film, che si ispira a un classico argentino del 1960 (La patota , L’aggressione, di Daniel Tinayre, in bianco e nero ), sebbene forse con un diverso messaggio, ha ricevuto anche il premio del Tff per la migliore attrice (Dolores Fonzi). La patota ha il pregio di presentare un problema interessante che ha fatto discutere, suscitando prevedibili reazioni politicamente contrapposte a proposito delle scelte della protagonista. Peccato però che la narrazione sia a volte un po’ confusa a causa di un eccessivo, e a volte improprio, uso dei flash back.
Un adolescente protagonista anche in un altro film premiato
Il premio del pubblico è andato al francese, drammatico, Coup de chaud di Raphael Jacoulot ( premiato anche come miglior attore Karim Leklou nel ruolo del ragazzo disturbato). Il film racconta come, durante una estate caldissima che provoca una crisi di siccità nelle campagne, un ragazzo di famiglia gitana, Josef Bousou, con disturbi di comportamento causati dall’aver subito asfissia alla nascita, finisce per diventare il capro espiatorio di tutte le problematiche degli abitanti di un paesino francese che vivono del loro lavoro nei campi. Il racconto si svolge in modo un po’ diseguale: inizialmente quasi documentaristico, apparentemente neutro e privo di ogni forma di giudizio, poi indaga sulla psicologia delle singole persone e nel finale va assumendo le caratteristiche poliziesche di un film di Chabrol.
Ancora il tema dell’adolescenza in altri film in concorso
Si può definire “a carattere sperimentale” God bless the child di Robert Machoian e Rodrigo Ojeda-Beck , in cui vengono filmati i cinque figli piccoli (tra i due e i quattordici anni) di uno dei registi, nella loro stessa casa, mentre, lasciati soli per tutto un giorno per un allontanamento della madre, si autogestiscono protetti proprio dall’essere un gruppo di diverse età.
L’unico film che non ha ricevuto nessun riconoscimento mentre avrebbe meritato un premio è Sopladora de hojas, opera prima del messicano Alejandro Inglesias, sul tema degli adolescenti visti nella loro interazione di gruppo. Qui viene raccontata una storia semplice e assurda (cercare invano le chiavi perdute in mucchi di foglie secche nel parco) che si svolge quasi completamente nel tempo di una unica giornata. Protagonisti sono i giovani amici Lucas, Emilio e Ruben, forse un po’ più che adolescenti, inseparabili e, sebbene diversamente, tutti e tre un po’ immaturi. Poiché le chiavi dell’auto perdute e invano cercate sono della ragazza di uno di loro e l’impegno che li attende entro poche ore è il funerale di un compagno morto in un incidente di moto, indirettamente i ragazzi sono obbligati a considerare sia l’amore sia la morte, ma lo fanno se mai senza sentimentalismi e senza drammi. I dialoghi sono perfetti: vivaci e scherzosi, tipicamente adolescenziali. Anche i personaggi secondari sono ritratti in modo verosimile, secondo i rispettivi ruoli e la cultura antropologica della città messicana. Il film si chiude con le piccole e grandi decisioni di cambiamento che ciascun ragazzo arriva a prendere, compiendo un passo avanti nel cammino della propria formazione. Il regista nel complesso ha voluto mostrare come semplici, banali esperienze anche in una sola giornata possano far crescere improvvisamente, soprattutto gli adolescenti.
Anche il portoghese John From di João Nicolau tratta il tema dell’adolescenza, ma qui al femminile. La quindicenne Rita decide d’invaghirsi del nuovo vicino di casa, un uomo maturo, già padre di una bambina, un fotografo che sta allestendo una mostra di suoi scatti in Melanesia. La ragazzina cerca di farsi notare da lui, che a lungo risponde con indifferenza ai suoi tentativi di approccio. Prima ci scherza con una amica coetanea, ma poi si innamora davvero. Insistendo riesce ad essere corrisposta e infine a giungere ad un vero fidanzamento con pieno consenso da parte dei genitori.
Il mondo d’oggi che i film in concorso del 33 Tff complessivamente mettono in scena è caratterizzato per lo più da problemi, piccoli o grandi che siano, circoscritti nella vita quotidiana individuale. Nel tipo di realismo di questo cinema è assente o debole (o con scarsa connessione con le vicende dei personaggi) ogni rappresentazione della comunità, del vissuto collettivo, della cultura (di gruppo o sociale) di contesto. Poiché almeno i film premiati usciranno nelle sale, sarà possibile eventualmente usarne la visione per far riflettere gli studenti della scuola superiore su temi e aspetti descritti in questa rassegna critica, dal momento che i relativi protagonisti sono tutti della loro generazione o di quelle a loro più vicine.
Le immagini sono tratte dal sito ufficiale del Tff oppure riproducono le locandine ufficiali dei film citati.
Realizzato da Rai Movie in occasione del 33° Fft