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di Bruno Lositovalutare per capire

25/10/2015

La "buona" scuola e la valutazione

Ho provato a cercare nel testo della Legge 107 del 13 luglio 2015  (Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti) riferimenti alla valutazione. Ovviamente, ho utilizzato il testo pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” (n. 162 del 15 luglio), per essere sicuro di non fare riferimento a un testo non ufficiale o provvisorio: sembrerà strano, ma ne sono circolati vari.

Il mio interesse era riferito in particolare alla valutazione degli studenti, quindi un solo aspetto, anche se importante,  tra la molteplicità di quelli riconducibili al modo della valutazione.
Confesso: mi sono servito del meccanismo di ricerca automatica che fortunatamente, almeno in questo caso, è fornito dai vari programmi di scrittura e di lettura che utilizziamo quotidianamente, anche perché la lettura del testo della legge è tutt’altro che agevole. Evidentemente, i nostri legislatori non hanno ancora assimilato le regole della comunicazione diretta ed efficace che invece pretendeva di seguire il documento introduttivo alla discussione preliminare sulla riforma: niente più coding, comfort zone, hackaton e nudging. La legge consiste di un unico lungo articolo, articolato in 212 commi, che non so quanti abbiano avuto la costanza di leggere fino in fondo. E forse questo spiega anche il perché di tante interpretazioni, obiettivamente fantasiose, che del contenuto della legge  sono state date.

L’esito della ricerca è stato comunque interessante. Il termine "valutazione" compare in vari commi della legge. Ne riporto alcuni di seguito, scusandomi in anticipo per eventuali omissioni, ma con una certa sicurezza di non aver tralasciato niente di importante:

  • Comma 17: pubblicità dei piani triennali dell’offerta formativa per consentirne una “valutazione comparativa” da parte degli studenti e delle famiglie.
  • Comma 28: pubblicità dei dati sui curricoli degli studenti anche al fine di “una trasparente lettura della progettazione e della valutazione per competenze”.
  • Comma 37: carta dei diritti e dei doveri degli studenti, per dare loro la “possibilità … di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza dei percorsi stessi con il proprio indirizzo di studio”.
  • Comma 40: valutazione delle strutture con cui sono state stipulate convenzioni (da parte delle scuole).
  • Comma 47: Istituti Tecnici Superiori, “modifiche alla composizione delle commissioni d’esame e alla predisposizione e valutazione delle prove di verifica finali”.
  • Commi 90, 93, 94: valutazione dei dirigenti scolastici.
  • Comma 93: riferimento ai “sistemi di valutazione, autovalutazione e rendicontazione sociale” (in relazione alla valutazione dei dirigenti).
  • Comma 94: riferimento al Sistema Nazionale di Valutazione.
  • Comma 109: valutazione dei titoli in funzione del reclutamento degli insegnanti.
  • Comma 117, 119, 127, 129, 130: valutazione del personale docente da parte del dirigente scolastico.
  • Comma 137: pubblicità dei dati del Sistema Nazionale di Valutazione.
  • Comma 144: Invalsi (finanziamento) e autovalutazione delle scuole.
  • Comma 181: un comma di sole cinque pagine, in cui vengono elencati i provvedimenti legislativi che la legge delega al governo, provvedimenti tra i quali vengono indicati quelli relativi ad aspetti vari della valutazione dei docenti e alla  revisione del Sistema di certificazione delle competenze e degli Esami di Stato.

Come si può vedere da questo rapido elenco la legge fa riferimento alla valutazione fondamentalmente su tre ambiti: i progetti educativi e didattici delle scuole (variamente intesi); la valutazione del personale, sia dei dirigenti, sia degli insegnanti; le attività di valutazione e di autovalutazione previste nell’ambito del Sistema Nazionale di Valutazione (ivi compreso l’Invalsi).

La lettura di questi commi è stata senza dubbio interessante anche perché mi ha confermato nell’idea che – purtroppo e ancora una volta – molte delle posizioni emerse  in questi mesi sul testo della legge siano in larga misura inficiate da pregiudizi di carattere ideologico (non saprei definirli diversamente), che forse non hanno aiutato lo sviluppo di una discussione approfondita sul merito di alcuni problemi aperti, a mio parere di grande rilevanza. Penso alla polemica che ha accompagnato il ruolo assegnato ai dirigenti scolastici nella valutazione degli insegnanti (i “presidi sceriffo”) o alle procedure di reclutamento (“la deportazione degli insegnanti”).
Provo a indicare alcuni di questi problemi, sempre in relazione alla valutazione degli studenti, che è la prospettiva che ho adottato nell’affrontare questa prima analisi della legge.

Parto da quanto previsto per la revisione del “sistema della certificazione delle competenze e degli Esami di Stato”. Si tratta di due questioni di grande rilevanza.
I materiali prodotti dal Miur (la circolare del febbraio 2015, le Linee guida, i modelli di certificazione) e dall’Invalsi (la “mappa degli indicatori”, ma anche la guida per la stesura del rapporto di autovalutazione) per la valutazione e la certificazione delle competenze – per molti aspetti innovativi e anche stimolanti –  presentano quanto meno alcuni elementi evidenti di ambiguità. Provo a indicarne alcuni, spero di ritornare in modo più analitico su questi temi.
In primo luogo, la non chiarezza relativa al passaggio da una fase ancora una volta definita come ‘sperimentale’ alla fase successiva, in cui tutte le scuole dovranno adottare – dal prossimo anno scolastico obbligatoriamente – i modelli di certificazione. In secondo luogo, la mancanza di indicazioni (parametri, indicatori) convincenti per alcune aree fondamentali.

Il caso più eclatante è quello delle competenze “chiave e di cittadinanza”, per le quali  si dichiara esplicitamente  – nella “mappa” elaborata dall’Invalsi, a pagina 8 – di non avere alcun indicatore. Ma è innanzitutto dalla loro stessa denominazione che discende un aspetto di grande confusione. Parlare di competenze chiave “e” di cittadinanza sembra contrapporre due tipi di competenze, come se tutte le competenze chiave non fossero anche di cittadinanza e viceversa, come se le competenze linguistiche o matematiche e scientifiche non fossero anch’esse competenze chiave. Il sospetto, avvalorato da quanto proposto nelle Linee guida per la stesura del rapporto di autovalutazione delle scuole  è che quando si parla di competenze di cittadinanza si faccia ancora quasi esclusivamente riferimento ad aspetti comportamentali e relazionali che dovrebbero trovare una valutazione nella espressione del voto di condotta. Si tenga presente, che nei documenti relativi alla certificazione delle competenze, si fa riferimento esplicito alla normativa esistente sulla valutazione, che non viene rimessa in discussione (i voti, per intenderci). In questo caso l’ambiguità rischia di tradursi in una palese contraddizione, se ancora si pensa di poter certificare le competenze attraverso l’espressione dei voti numerici, reintrodotti nel periodo Tremonti-Gelmini.

Forse nei futuri provvedimenti legislativi previsti dalla Legge 107 si metterà fine a questa contraddizione. Ad oggi, non sembrano emergere indicazioni in questa direzione.
Ancora. Se guardiamo i modelli proposte alle scuole per la certificazione delle competenze al termine della  scuola primaria, le competenze chiave effettivamente prese in considerazione sono quelle linguistiche (in lingua italiana), quelle matematiche e scientifiche, quelle relative all’uso delle tecnologie. Il resto delle voci proposte per la certificazione sono piuttosto abilità di tipo comportamentale e relazionale, oppure di tipo cognitivo, ma trasversali alle diverse aree di competenze chiave. In larga misura, questa impostazione viene riproposta anche nella scheda relativa alla certificazione delle competenze al termine del primo ciclo.
Ancora più deboli sembrano le modalità suggerite per l’indicazione del livello raggiunto per ciascuna di queste competenze (iniziale, base, intermedio, avanzato), che sembrano riproporre le caratteristiche di vaghezza che spesso hanno contraddistinto i ‘giudizi’. Insomma il rischio è che delle due modalità di espressione del giudizio valutativo adottate negli ultimi anni nelle scuole – voti e giudizi descrittivi – rimangano gli aspetti meno positivi di entrambe.

È chiaro che siamo ancora all’interno di un processo che si deve concludere, ma sarebbe opportuno che la discussione su questi aspetti si sviluppasse da subito, coinvolgendo in primo luogo le scuole che hanno aderito alla fase sperimentale, ma non solo. Inoltre sarebbe opportuno che questa discussione si sviluppasse sulla base di una attività di monitoraggio condotta su queste esperienze, sulla base di ‘evidenze’ e dell’analisi dei materiali prodotti dalle scuole. È auspicabile che questa lavoro di documentazione sia stato condotto in parallelo con la realizzazione delle attività di certificazione da parte delle scuole. Ad oggi non ce n’è traccia.
Per quanto riguarda gli Esami di Stato al termine della scuola secondaria superiore, si sa soltanto che l’Invalsi sta lavorando per l’approntamento di procedure e di  prove utilizzabili a livello nazionale. È chiaro che gli aspetti metodologici e tecnici di una iniziativa del genere abbiano una loro rilevanza fondamentale. Ma quali indirizzi di politica scolastica stanno guidando queste scelte metodologiche e tecniche? Non mi sembra che il dibattito su questa questione, di fondamentale importanza, sia in qualche modo stato avviato.


La legge prevede un termine di diciotto mesi per la presentazione dei vari provvedimenti legislativi indicati al comma 181. Ne sono passati solo tre, l’auspicio è che nei prossimi quindici che ci separano da questa scadenza si avvii un lavoro serio di monitoraggio e di valutazione non solo di questi aspetti, ma anche di quelli controversi della legge che, a seconda di come verranno effettivamente realizzati nei vari decreti delegati, potranno cambiarne il segno in direzioni anche opposte tra loro.

Di che cosa parliamo

All’espandersi delle attività valutative della scuola e delle università si affianca un senso sempre più diffuso di incertezza, di insoddisfazione, di insofferenza, in larga misura generato dall’alone di tipo ideologico che intorno alla valutazione è stato costruito.
Non  sempre le critiche e le resistenze nei confronti delle attività valutative risultano giustificate, al contrario, a volte nascondono criteri e procedure di valutazione degli studenti certamente non migliori delle prove utilizzate nelle rilevazioni nazionali.
È per questo che è necessario riaprire un dibattito pubblico sulla valutazione in grado di coinvolgere decisori politici, scuole, università e comunità scientifica.

L'autore

Insegno Pedagogia sperimentale e Docimologia all’Università Roma Tre – Dipartimento di Scienze della formazione.
Sono stato ricercatore presso l’Invalsi e insegnante di Scuola secondaria di II grado. Mi occupo di valutazione dei sistemi di istruzione e delle scuole, con un interesse particolare per la valutazione delle competenze chiave e di cittadinanza.