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di Bruno Lositovalutare per capire

05/10/2014

Le prioritĂ  strategiche per il Sistema Nazionale di Valutazione

La direttiva
A firma del Ministro dell’Istruzione, il 18 settembre è stata pubblicata la nuova direttiva (n.11) che fissa le priorità per il Sistema Nazionale di Valutazione per i prossimi tre anni scolastici. La direttiva integra e aggiorna la precedente (n. 85 del 12 ottobre 2012) in cui erano fissate le priorità strategiche per l’Invalsi per il periodo 2012-2015 e per l’avvio del Sistema Nazionale di Valutazione. Si tratta, quindi, di un testo che intende delineare le caratteristiche e gli obiettivi dell’insieme delle attività valutative che riguardano il nostro sistema di istruzione, compresi i compiti del “contingente ispettivo”. La direttiva riguarda le scuole statali e le scuole paritarie.
A una prima lettura, si ricava l’impressione di un tentativo ambizioso di ricomporre e ricondurre a unità l’insieme delle attività valutative realizzate negli ultimi anni, relative a diversi piani e livelli della valutazione: autovalutazione delle scuole, valutazione esterna delle stesse, rilevazioni degli apprendimenti, valutazione del personale (per ora i dirigenti scolastici), valutazione di sistema. Le indicazioni relative a ciascuno di questi ambiti e livelli della valutazione meriterebbero di essere analizzate e discusse in profondità. Vorrei, in questo primo contributo, limitarmi ad alcune considerazioni di fondo, basate soprattutto sull’esperienza degli ultimi anni.

Un disegno complesso e ambizioso
Il nucleo centrale della direttiva sembra essere quello dell’autovalutazione. Le scuole sono tenute, a partire da questo anno scolastico, a redigere un rapporto di autovalutazione, sulla base di un format comune – che l’Invalsi dovrà mettere a disposizione delle scuole entro questo mese di ottobre – e sulla base dei dati messi a disposizione dallo stesso Invalsi e dal Ministero. Tale rapporto sarà reso pubblico sul portale La scuola in chiaro e costituirà la base dei "piani di miglioramento" che le scuole dovranno realizzare nel prossimo anno scolastico. Alla fine del successivo anno scolastico 2016-2017, le scuole dovranno presentare un “primo rapporto di rendicontazione sociale”, in cui dovranno rendere conto dei risultati raggiunti in relazione ai piani di miglioramento individuati nell’anno precedente.
Contemporaneamente, verrà avviato il sistema di valutazione esterno delle scuole. Entro marzo 2015 verranno approvati “i protocolli di valutazione delle scuole e gli indicatori di efficienza e di efficacia per individuare le scuole da sottoporre a verifica esterna”. Ogni anno verranno sottoposte a valutazione esterna il 10% delle scuole, scelte per il 7% attraverso gli indicatori individuati e per il 3% attraverso procedure di campionamento casuale. Le attività di valutazione esterna avranno inizio dal prossimo anno scolastico 2015-2016. Entro il 18 novembre di quest’anno (60 giorni dalla data approvazione della Direttiva) l’Invalsi dovrà indicare “le modalità di selezione, costituzione e formazione degli elenchi di esperti che parteciperanno ai nuclei di valutazione”. Esperti che, secondo quanto stabilito dalla Direttiva stessa, “dovranno essere dotati di adeguata esperienza e competenza in materia di valutazione dei sistemi scolastici e/o delle organizzazioni complesse”. I nuclei di valutazione saranno coordinati dal personale ispettivo.
Alla autovalutazione e alla valutazione esterna si accompagna la valutazione dei dirigenti scolastici, che, presumibilmente, verrà effettuata sulla effettiva capacità di raggiungere gli obiettivi indicati nei piani di miglioramento.
Sia la valutazione esterna, sia l’autovalutazione potranno avvalersi dei risultati delle rilevazioni sugli apprendimenti realizzate dall’Invalsi. Non è chiaro se sarà sulla base di questi risultati che verranno individuate le scuole in cui effettuare la valutazione esterna, né con quale criterio: Le scuole con risultati considerati meno buoni? Quelle con risultati ‘migliori’?.
Il tutto dovrebbe confluire in “un rapporto sul sistema scolastico italiano volto a consentire un’analisi su base nazionale e una comparazione su base internazionale”. Tale rapporto dovrà avere periodicità annuale a partire dall’ottobre 2015.

Alcune domande e alcuni punti critici
A fronte di questo quadro così complesso, mi sembra sia opportuno segnalare da subito alcuni aspetti che necessitano di essere chiariti o quanto meno esplicitati. Li indico non in ordine di priorità (o di criticità),  ma facendo riferimento all’ordine adottato dalla Direttiva nella presentazione delle diverse attività.

Quale rapporto tra autovalutazione e valutazione esterna?
1. Il primo aspetto che dovrebbe essere chiarito è quello relativo al rapporto tra autovalutazione e valutazione esterna. Non si capisce fino a che punto i due processi siano interdipendenti o indipendenti l’uno dall’altro. Né è chiarito se e in quale misura i nuclei di valutazione terranno conto dei processi di autovalutazione delle scuole. L’impressione che si trae dalla lettura della Direttiva è quella di due attività che marciano in parallelo, senza che sia chiaro quale possa essere il momento di sintesi tra i due processi. In mancanza di una chiarificazione relativa a questo punto, il rischio è che la valutazione esterna si sovrapponga (anche nella valutazione dei dirigenti scolastici) all’autovalutazione e che alcuni parametri di carattere generale si sovrappongano e prevalgano rispetto alla analisi delle singole situazioni di partenza sulla base delle quali ogni singola scuola cercherà di individuare i propri piani di miglioramento. Soprattutto, non è chiarito in che modo verranno utilizzati i risultati della valutazione esterna (se solo in funzione del rafforzamento dell’autovalutazione o altro). La stessa intenzione più volte indicata nella Direttiva di voler dare trasparenza all’insieme dei processi attuati dalle scuole attraverso la pubblicazione della documentazione prodotta, in mancanza di criteri chiari sui punti sopra indicati, apre il fianco a una logica da league table, assolutamente non presente nella Direttiva, ma spesso ricorrente in questi anni negli interventi sulla valutazione esterna delle scuole (spesso anche di ‘esperti’ coinvolti nelle attività di sperimentazione realizzate in questi anni, come per esempio il progetto Vales). Il rischio che si torni alle suggestioni morattiane e gelminiane sulla indicazione ‘alle famiglie’ di quali siano le ‘scuole migliori in cui iscrivere i propri figli’ resta sullo sfondo. Tutta la partita della pubblicizzazione va, quindi, curata con molta attenzione.

Come si intrecceranno le attività di formazione con quelle di autovalutazione?
2. Nella Direttiva si parla in più punti di attività di formazione e di sostegno che l’Invalsi e l’Indire forniranno alle scuole. I tempi individuati per tutta l’operazione rischiano di essere molto stretti, soprattutto in considerazione delle differenze che plausibilmente esistono nelle scuole rispetto alla capacità di procedere alla costruzione di processi di autovalutazione e alla presenza o meno, al loro interno, delle competenze necessarie per avviarli e sostenerli. Faccio un esempio. Ad oggi non abbiamo informazioni accurate e sistematiche su come le scuole abbiano effettivamente utilizzato i rapporti Invalsi sui risultati da esse conseguiti nelle rilevazioni sugli apprendimenti. Dalle informazioni disponibili e dai pochi studi effettuati su scala locale, emerge un quadro quanto mai diversificato, all’interno del quale non sono poche le scuole che non hanno utilizzato affatto tali rapporti. È evidente come si ponga un problema serio di formazione. Come si intrecceranno le attività di formazione con quelle di autovalutazione? L’esperienza dei progetti di autovalutazione realizzate sia a livello nazionale dall’Invalsi (si ricordi il progetto VIVES), sia a livello europeo (per esempio il Progetto pilota europeo sulla valutazione della qualità dell’istruzione, coordinato per l’Italia sempre dall’Invalsi) hanno messo in evidenza come le competenze necessarie per l’autovalutazione non possano che costruirsi all’interno degli stessi processi di autovalutazione, attraverso processi complessi di riflessione e di negoziazione all’interno delle scuole. Che ci siano parametri di riferimento e dati con i quali confrontarsi è sicuramente indispensabile, ma non è assolutamente sufficiente. Come si interverrà per costruire le competenze necessarie qualora non siano presenti? In che modo verranno valutati (dai valutatori esterni) i rapporti di autovalutazione delle scuole?
Oltre che sulle modalità di costruzione delle condizioni che rendano possibile il successo di quanto previsto dalla Direttiva, occorrerebbe una riflessione seria sui tempi richiesti dalla messa in atto di un piano così complesso.
E bisognerebbe anche chiarire chi dovrà sostenere le scuole in questa attività di formazione e autoformazione. Nella Direttiva si fa riferimento a soggetti diversi (dall’Invalsi all’Indire, dalle università a enti di ricerca e associazioni professionali). Forse non c’è altra strada, ma non è chiaro chi monitorerà queste attività e la loro qualità, mentre molto chiari sono i limiti fino ad oggi dimostrati sia dall’Indire, sia dalle università.

Quali indicazioni è possibile trarre dalle esperienze fatte finora?
3. Il 10% delle scuole da coinvolgere annualmente nella valutazione esterna rappresenta un numero di scuole molto elevato. Per il progetto Vales, l’Invalsi ha selezionato qualcosa meno di 200 scuole che hanno ricevuto la visita dei nuclei di valutazione. In una prima presentazione degli esiti del progetto che l’Istituto ha fatto nel luglio scorso, non era presente alcuna riflessione sul processo di formazione dei componenti dei nuclei, né sulla loro composizione. Quali indicazioni è possibile trarre da Vales? Quanto previsto dalla Direttiva è congruente e compatibile con queste indicazioni? Mi riferisco ai criteri di selezione dei componenti i nuclei, alla loro formazione (bastano dei seminari di pochi giorni per costruire i profili di competenza di cui parla la Direttiva?), a partire dalla considerazione che nel nostro Paese tali figure non esistono in quantità adeguata agli obiettivi posti dalla Direttiva. Soprattutto, quali sono state le reazioni delle scuole all’operato dei nuclei di valutazione? Quali le relazioni instaurate con dirigenti e insegnanti? Può darsi che i risultati di Vales ci dicano che tutto è andato veramente bene e che quanto previsto dalla Direttiva (e nei tempi indicati) è assolutamente fattibile. Ma ad oggi non abbiamo evidenze per rispondere a queste domande.

Quanto è sostenibile la pluralità di ruoli affidati all'Invalsi?
4. Il ruolo affidato all’Invalsi è quanto mai rilevante e si articola su più piani,  dalla realizzazione delle rilevazioni nazionali sugli apprendimenti e delle indagini internazionali, alla definizione di parametri, protocolli, strumenti, fino alla attività di consulenza e di formazione diretta. Si tratta di una conseguenza del ruolo attribuito all’Invalsi all’interno del regolamento sul Sistema Nazionale di Valutazione.
Indipendentemente dalle competenze che si vogliono riconoscere all’Istituto e ai suoi ricercatori (competenze che personalmente ho più volte riconosciuto), restano aperte alcune questioni.
La prima è di carattere generale. In nessun Paese europeo vengono affidati a un solo soggetto istituzionale tutti i compiti che in Italia vengono assegnati all’Invalsi. A parte i problemi di organico e di bilancio che andrebbero preventivamente risolti, è opportuno che uno stesso soggetto sia responsabile delle rilevazioni di sistema, della valutazione delle scuole, della formazione dei nuclei di valutazione e di tutte le attività che all’Istituto vengono assegnate? Ho più volte ricordato quanto veniva affermato in proposito nel Quaderno bianco sulla scuola del 2007. Mi sembra che il problema non sia stato ancora non dico discusso, ma neanche considerato in tutte le sue implicazioni. Per altro, non sarà certo un caso che fin dalla direttiva del 2008 (non ricordo se anche prima) veniva assegnato all’Istituto il compito di redigere un rapporto annuale sulla scuola in Italia e che tale rapporto non è stato mai prodotto.
Inoltre, la Direttiva non risolve alcuni problemi relativi alla qualità delle rilevazioni Invalsi. Mi limito a richiamare qui due aspetti. Se le scuole devono utilizzare i risultati delle rilevazioni nazionali sugli apprendimenti per i processi di autovalutazione e per i piani di miglioramento dovrebbero, quanto meno, disporre di dati confrontabili nel tempo. I risultati delle rilevazioni Invalsi non lo sono. Il problema dell'analisi dei risultati delle scuole in una prospettiva diacronica non è stato risolto. En passant, come si possa continuare a parlare – come fa la Direttiva – di valore aggiunto delle scuole in mancanza di queste misure è di difficile comprensione.
Ancora. Negli ultimi anni, soprattutto nella scuola del primo ciclo e in relazione alla stesura delle Indicazioni nazionali per il curricolo, ci si è spostati progressivamente verso una logica di costruzione e sviluppo di competenze. Le prove Invalsi consentono di rilevare competenze? La netta prevalenza delle domande a risposta chiusa (derivante dal disegno censuario, dalla enorme quantità di dati raccolti e dai tempi di restituzione alle scuole – ancora di più se le scuole devono utilizzare questi dati per i loro rapporti di autovalutazione e per i propri piani di miglioramento) è funzionale all’obiettivo di rilevare almeno in parte ‘competenze’? I dubbi sono legittimi e rinviano al disegno e agli obiettivi delle rilevazioni nazionali, che nella Direttiva (così come nella precedente relativa al solo Invalsi) restano immutati.

Valutare le politiche scolastiche
Ripeto, per concludere. La Direttiva cerca di dare organicità e di ricondurre a unità molteplici attività valutative. Come ho detto, si tratta a mio parere di una prospettiva molto complessa e  come ho cercato di chiarire  – anche se solo relativamente ad alcuni aspetti – non priva di punti problematici. Ci si augurerebbe che tutta questa operazione, nel suo primo triennio di realizzazione, venisse tenuta sotto controllo, monitorata e valutata. Di questa necessità non c’è traccia nella Direttiva. Sarebbe ora di ragionare di valutazione non soltanto delle scuole, degli studenti e del personale, ma anche delle politiche educative e dei loro risultati.

Di che cosa parliamo

All’espandersi delle attività valutative della scuola e delle università si affianca un senso sempre più diffuso di incertezza, di insoddisfazione, di insofferenza, in larga misura generato dall’alone di tipo ideologico che intorno alla valutazione è stato costruito.
Non  sempre le critiche e le resistenze nei confronti delle attività valutative risultano giustificate, al contrario, a volte nascondono criteri e procedure di valutazione degli studenti certamente non migliori delle prove utilizzate nelle rilevazioni nazionali.
È per questo che è necessario riaprire un dibattito pubblico sulla valutazione in grado di coinvolgere decisori politici, scuole, università e comunità scientifica.

L'autore

Insegno Pedagogia sperimentale e Docimologia all’Università Roma Tre – Dipartimento di Scienze della formazione.
Sono stato ricercatore presso l’Invalsi e insegnante di Scuola secondaria di II grado. Mi occupo di valutazione dei sistemi di istruzione e delle scuole, con un interesse particolare per la valutazione delle competenze chiave e di cittadinanza.