Pubblichiamo le risposte ai nostri quesiti rivolti a testimoni scelti fra docenti universitari, ricercatori, studiosi, formatori e docenti che in questi anni abbiano attivamente operato nel campo dell'educazione linguistica.
1. Quali tra gli auspici e le raccomandazioni contenuti nelle “Dieci Tesi per l’educazione linguistica democratica” le sembra che sia stato maggiormente perseguito e realizzato? Quale, al contrario, le sembra che stato fortemente o del tutto disatteso? |
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Innanzi tutto vorrei ringraziare la redazione di Insegnare e il suo Direttore per questa bella iniziativa, dalla quale sicuramente si svilupperà un dibattito ricco e propositivo. Rispondo facendo tesoro della precisazione contenuta nella lettera unita al questionar[1] e con le dovute cautele connesse a ogni tipo di ragionamento fondato sulla percezione soggettiva e sulla generalizzazione. In merito alla richiesta di segnalare un auspicio o raccomandazione maggiormente perseguito e realizzato, fra quelli contenuti nelle “Dieci Tesi”, direi che si è gradualmente diffusa nell’agire didattico una più forte consapevolezza della centralità del linguaggio verbale e dei suoi rapporti con le altre capacità e attività espressive e simboliche. Questa accresciuta consapevolezza ha consolidato pratiche educative virtuose nella scuola primaria e ha forse orientato una maggiore attenzione, anche nel curriculum successivo, per gli usi euristici e cognitivi del linguaggio verbale, favorendo quindi un maggior impegno per una didattica esplicita dei processi linguistico-cognitivi alla base degli apprendimenti nelle varie discipline. Particolarmente trascurata è invece, a mio avviso, la dimensione della variazione linguistica, pietra angolare nel discorso delle Dieci Tesi [‘In ogni caso e modo occorre sviluppare il senso della funzionalità di ogni possibile tipo di forme linguistiche note e ignote. (…...) la bussola è la funzionalità comunicativa di un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole destinare (….)’]. Credo che questa disattenzione abbia generato varie conseguenze, tra le quali, ad esempio: la tendenza a riprodurre ambienti di apprendimento piuttosto stereotipati, poco adeguati alla pluralità e complessità delle capacità linguistiche e degli usi comunicativi; vari equivoci connessi alla riflessione grammaticale; scarsa incisività nel cancellare lo svantaggio linguistico. A proposito della pedagogia linguistica tradizionale le Dieci Tesi rilevano: [1] “Pur nella consapevolezze della complessità del tema e delle questioni sollevate e quindi della difficoltà di fornire risposte adeguate su un panorama certamente vario e articolato, auspichiamo di ricevere pareri anche limitati in estensione, ma che ci consentano di avviare una riflessione, in parte retrospettiva e in parte ricca di stimoli per il futuro.” |
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2. Appare a molti innegabile che particolarmente negli ultimi anni la didattica nel campo dell’educazione linguistica e letteraria abbia registrato un sensibile arretramento su posizioni (neo)conservatrici. Condivide questo giudizio? Quale o quali ritiene sia o siano le principali cause di tale arretramento? |
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Queste domande me ne suggeriscono un’altra: con quali sollecitazioni può strutturarsi e modificarsi la didattica, al di là dell’imitazione dei modelli fruiti nel proprio percorso formativo? Quali azioni di quali soggetti operano sui processi di elaborazione delle competenze professionali di un insegnante, riassumibili sotto il termine di didattica? Il mio dubbio, in breve, riguarda l’efficacia dei sistemi di formazione iniziale e in servizio dei docenti. Vi si costruiscono effettivamente quei percorsi in cui si impara a riflettere criticamente sui saperi disciplinari per elaborare metodi di insegnamento diversificati secondo una pluralità di scopi ed esigenze? Se tale dubbio è legittimo, allora bisogna riconoscere che anche laddove si sono creati spazi di innovazione didattica costruiti e condivisi attraverso una molteplicità liquida di circuiti – segmenti istituzionali, universitari, associazionismo, editoria – essi non si sono strutturati in un sistema coerente. Il processo del cambiamento, insomma, è stato affidato a variabili particolari, ‘stagionali’, piuttosto che essere gestito in modo continuato e non episodico da soggetti tra loro correlati. Come non riconoscere ancora oggi una certa impermeabilità e resistenza di antiche routine scolastiche nei confronti degli stimoli dell’innovazione didattica? Se, ad esempio, tutto quanto è stato dibattuto, scritto ed elaborato negli ultimi decenni in materia di educazione linguistico-letteraria avesse goduto di adeguati canali per radicarsi nell’agire didattico, non vedremmo oggi rimettere in discussione idee e pratiche che, in quanto introdotte a livello istituzionale e confrontabili con protocolli di attività di altri paesi europei, credevamo ormai acquisite da tempo. Come non meravigliarsi di fronte alla frequente torsione di prospettiva per la quale viene addebitato a pratiche innovative, ancora poco conosciute e praticate, la causa della precarietà di certe competenze linguistiche degli allievi, precarietà ascrivibile invece a varie cause, non ultima la perdurante prevalenza di metodologie ormai inadeguate? Come non chiedersi quali siano le ragioni della perseverante domanda “come lo valuto?” a svantaggio dell’ancor più cruciale e risolutiva domanda ”come insegno questo argomento, questa procedura, come sviluppo quella particolare abilità?” Quindi più che di ‘arretramento’ vero e proprio parlerei di progressivo depotenziamento e rallentamento di un processo che stava sviluppando a piccoli passi un’innovazione sensata: acquisizione stabile di appropriate categorie di analisi dei contenuti disciplinari con relativa verifica e controllo di opzioni metodologiche, creazione di occasioni di ricerca-azione, condivisione di buone pratiche. Un processo che stava delineando o rafforzando anche un nuovo profilo di docente ‘ricercatore’, ‘riflessivo’, un profilo coerente con uno status autorevole, meritevole di adeguati riconoscimenti innanzi tutto economici. |
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3. Negli anni che ci separano dalle “Dieci Tesi” si sono verificati fenomeni di forte impatto sulla realtà comunicativa e linguistica del nostro paese (la diffusione dei media digitali, i flussi migratori, la crisi occupazionale, le trasformazioni stesse dell’italiano, ecc.): vi sembra che università e scuola abbiano saputo fronteggiare in modo adeguato le emergenze educative che ne sono derivate? |
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È una domanda molto impegnativa, che richiederebbe una sorta di grandangolo; risponderò da una angolazione delimitata, basata sulle mie esperienze soprattutto nel campo della formazione dei docenti. Vari progetti del MIUR, poi sviluppati anche da alcuni U.U.S.S.R.R., hanno promosso, attraverso protocolli d’intesa con università e con associazioni accreditate, vari tipi di iniziative per la condivisione di saperi e buone pratiche, connesse ad esempio al tema dell’italiano L2 o all’educazione linguistico-letteraria in un’ottica plurilingue. Alcuni di questi progetti hanno perseguito una molteplicità di obiettivi cruciali: individuazione di un sillabo essenziale per la formazione (quali conoscenze disciplinari irrinunciabili per la mediazione didattica), esplicitazione del rapporto tra riflessione teorica sui contenuti disciplinari e loro funzionalità nelle scelte metodologico-didattiche, sperimentazione di modelli integrati di formazione coniugando e-learning e corsi in presenza. Alla ricchezza dell’impegno scientifico e progettuale, tuttavia, non è corrisposto generalmente un regolare impegno nella gestione, nella ‘manutenzione’ oserei dire, di tutti gli ingranaggi preposti al funzionamento dei percorsi programmati. Singole scuole, singole associazioni hanno promosso ricerche sul campo, laboratori tra docenti e allievi, occasioni di incontro degli allievi con una pluralità di ‘rappresentanze’: università, mondo del lavoro, tipi di professioni ... Eppure la vitalità di queste e altre iniziative sembra arenarsi o restare circoscritta in ambiti ‘amatoriali’, per così dire. La domanda chiede una valutazione ad ampio raggio. E allora, generalizzando, mi sembra di poter dire che manca una prospettiva strutturale con cui correlare e armonizzare i diversi circuiti del sistema con strumenti giuridici, amministrativi, economici adeguati. E le esperienze di ricerca integrata scuola-Università condotte con il coinvolgimento di enti e associazioni, di insegnanti impegnati e motivati, e di allievi mostrano, nella loro episodicità, nella loro disomogeneità territoriale, o nella loro spesso precoce interruzione, tutte le difficoltà nella comunicazione e nel radicamento di quanto elaborato e proposto dalla ricerca. I tanti generosi colpi d’ala della scuola militante non sono riusciti fino ad oggi a farsi esteso tessuto connettivo per collegare le risorse delle istituzioni, scolastiche e non, attraverso una nuova presenza sul territorio; di fronte alla mancanza di una progettazione sistemica e di durata, spazio e tempo sono stati invece occupati dalla ritualizzazione di incombenze poco significative. Tutte queste criticità potrebbero essere ascritte a un modello più o meno implicito di politica scolastica, personalmente preferisco credere che dipendano dall’intreccio di una pluralità di insufficienze, ciascuna delle quali meriterebbe un’analisi specifica, capace di individuare anche l’influenza negativa che quella singola carenza ha avuto e ha su altri settori. È evidente, ad esempio, che il nodo mai sciolto del sistema di reclutamento degli insegnanti ha avuto un impatto negativo sulla motivazione e sull’effettiva funzionalità di varie iniziative, rafforzando circoli viziosi piuttosto che attivare circuiti virtuosi. Direi dunque che esistono molte risorse per fronteggiare le sfide contenute nella domanda, ma mi sembrano un po’ come personaggi in cerca d’autore. |
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4. Qualche speranza per il futuro: quale attenzione si sentirebbe di consigliare per dare nuovo vigore all’Educazione linguistica democratica nel nostro paese? |
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Intanto comincerei dalla IX tesi, che è dedicata all’enunciazione di un nuovo curriculum per gli insegnanti: la risposta è lì. Quindi non mi resta che citare: ‘Da qualunque parte si consideri l’insieme di questioni, soluzioni e proposte che abbiamo delineato, sempre, in ultima analisi, ci si imbatte nella necessità di connettere il discorso a una diversa impostazione dei bilanci dello Stato e delle scuole, a un diverso orientamento della vita sociale tutta’. |
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Ha insegnato lettere nella scuola superiore; è stata docente a contratto presso le Università di Salerno e Viterbo, presso la SISS dell’Aquila e la SICSI dell’Orientale di Napoli. |