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Gruppo redazionale 40ELDL'Educazione Linguistica Democratica

01/05/2016

Le testimonianze: Agata Gueli

Le testimonianze autobiografiche                                                                        
Raccontateci il vostro incontro con l'educazione linguistica: i modi e le ragioni della scoperta, le letture fatte, i maestri di riferimento, i gruppi di lavoro, lo scambio tra colleghi e soprattutto le esperienze didattiche...


Inviate i vostri racconti a redazioneinsegnare2010@gmail.com ; oggetto: "Io e l'Eld"

Agata Gueli, Palermo                

Ti estì

Gli inizi
20 dicembre 1976: Laurea in Filosofia, con il massimo dei voti. Tesi in Sociologia politica: raccolta dati sulla composizione socio – economico - culturale del Parlamento Italiano dal 1904 al 1924. Scopo: dimostrare che l’ESCS  (come si direbbe oggi) può avere inciso sull’avvento del fascismo.
Subito dopo la Laurea la volontà di continuare a fare ricerca in quella direzione. Poi l’incontro con Francesco Alberoni, i contatti con un Professore della Facoltà di Scienze Politiche di Torino, che mi avrebbe voluto nel suo gruppo di ricercatori, e poi… una di quelle coincidenze della vita e “gli scorni di chi crede/ che la realtà sia quella che si vede”[1],  che fecero sparire dal mio orizzonte quanto Torino poteva rappresentare.
Seguirono le prime esperienze di insegnamento, naturalmente di Storia e Filosofia, e l’attesa dei concorsi a cattedra. Vennero banditi nei primi anni ’80 e allora con la Laurea in Filosofia si poteva  partecipare anche a quelli per l’insegnamento dell’Italiano, nella scuola media e nelle scuole superiori. 
Ma il problema era grosso: io,  di linguistica, glottologia,  di problemi connessi alla centralità del testo letterario e di  simili cose non sapevo nulla. L’analisi logica l’avevo lasciata al 5° ginnasio, la morfologia pure, lo studio della Storia della Letteratura Italiana l’avevo proseguito all’Università, due materie non fondamentali, ma niente di più. E dai tempi del Liceo a queste cose non avevo più pensato… o quasi. Avevo studiato i Sofisti, Aristotele e la sua Logica, Kant e le categorie della conoscenza; ero stata affascinata dai dialoghi platonici, in cui il tì estì la fa da padrone per l’attivazione di ogni dialogo volto alla conoscenza,  ma niente di più. E tutto questo mi appariva in ogni caso lontanissimo dai temi dell’educazione linguistica.  E mi sbagliavo.

L'educazione linguistica democratica
Intervenne allora il soccorso di una persona vicina alla mia famiglia, docente di un Istituto Tecnico Industriale della mia città. Oggi dico che fu un incontro non provvidenziale, ma naturale, frutto di un’intesa intellettuale ancora allora non emersa in tutta la sua profondità, ma già presente e sorretta da un convincimento forte: la scuola deve preparare tutti perché è  così che si gioca la vera partita della democrazia. E in questa prospettiva di promozione di una cittadinanza consapevole ci accomunava il sapere -  seppure da me allora non profondamente posseduto, ma di certo ravvisato – quanto fosse ineludibile la cura della lingua, il cui possesso sicuro diviene un vero motore di crescita sociale e culturale, insieme, perché rende possibile la conoscenza. Su queste basi cominciavo a dare un senso diverso a letture sessantottine di chi, come me, il ’68 lo aveva vissuto, a letture quali L’uomo a una dimensione di Marcuse, o a letture private, quali Una donna di Sibilla Aleramo, che nel primo decennio del secolo scorso se ne andava nelle periferie romane a insegnare a leggere e a scrivere alle donne.
Susi Siino (questo il nome dell’amica di famiglia), mi mise in mano testi quali Monica Berretta, Linguistica ed educazione linguistica, R. Simone, Il libro di Italiano, T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita. Aggiunse alla lista saggi che riguardavano i primi studi sul curricolo, e al momento non ne capivo bene le ragioni (Nicholls A. e H., 1975, Guida all’elaborazione di un curricolo,  e Pontecorvo C., Fuse L.,  Il curricolo: prospettive teoriche e problemi operativi). 
La mia fu un’immersione coinvolgente dentro le questioni della lingua, perché i maestri sofisti mi avevano dimostrato come la lingua possa essere anche un mezzo per esercitare il potere, accompagnato o non accompagnato dalla conoscenza; e come essa dunque possa essere fonte di giustizia o di ingiustizia[2].
Raffaele Simone riassume così (il maiuscolo è nel testo) le questioni essenziali che riguardano la lingua :

"1. la lingua è IMPORTANTE;
2. è INEVITABILE; (…)
3. è un DIRITTO : nessuno deve essere privato della possibilità di esprimere i propri pensieri, o di criticare i pensieri altrui; per questo, è necessario di impararla prima che si può e meglio che si può;
4. è un DOVERE: nessuna persona umana può rifiutarsi di apprendere la propria lingua; la società esclude, isola, mette da parte quelli che rifiutano di comunicare con gli altri;
5. è un SISTEMA DI COMUNICAZIONE (…);
6. SERVE PER COMUNICARE (…)"  [3].

Emergeva dunque l'idea di una educazione linguistica intesa come un diritto e un dovere per potere vivere dentro il sistema delle relazioni segnate dal bisogno di comunicazione, di scambio, per sentire di appartenere a una comunità dentro una società. 

La lettura delle 10 Tesi per l’educazione linguistica democratica ebbe a questo punto  in me un effetto illuminante, perché portava a sistema una serie continua di riflessioni che andavo facendo a fronte di conoscenze specifiche che acquisivo:

"Una pedagogia linguistica efficace deve badare a tutto questo: cioè al rapporto tra sviluppo delle capacità linguistiche nel loro insieme (tesi llI) e sviluppo fisico, affettivo, sociale, intellettuale dell'individuo (tesi lI), in vista dell'importanza decisiva del linguaggio verbale." [4]

 Questi principi li leggevo ribaditi  nei nuovi programmi per la scuola media del 1979 (D.M. 9.02.1979): “l’educazione linguistica tende (…) a far acquisire all’individuo, come suo diritto fondamentale, l’uso del linguaggio in tutta la varietà delle sue forme e funzioni” .

La grammatica tradizionale
Naturalmente, provenendo da ben altri fronti di saperi non linguistici, mi chiedevo cosa e come potesse entrarci in questo orizzonte così ampio e così impegnativo l’insegnamento della grammatica, di verbi e complementi, di subordinate di vario grado … non sapevo più davvero quanti gradi potesse avere una subordinata. A sparigliare tutte le carte  grammaticali che potevo porre sul tavolo arrivarono queste parole di Monica Berretta:

“La grammatica tradizionale non è un modello teorico globale e coerente (..) Non è una teoria del linguaggio (…). In particolare l’analisi logica è perfettamente inutile per spiegarne il funzionamento: categorie quali i complementi di specificazione, di argomento, di materia, di peso, e affini non danno alcuna informazione sulla struttura delle frasi” .  [5]

E ancora, durissima: 

“La grammatica tradizionale, con le sue nozioni e i metodi con cui è insegnata, è puro e vuoto esercizio di astrazione e di memoria, non molto più utile – per fare un esempio – dell’apprendimento mnemonico di pagine dell’elenco telefonico”. [6]

La lettura attenta del saggio di Monica Berretta mi ha condotto dentro  questioni proprie della linguistica,  mi ha fatto conoscere i modelli grammaticali, da Martinét a Chomsky. E si faceva strada la consapevolezza che se  la lingua serve per saper stare al mondo, bisogna averne sotto controllo il funzionamento. Saper descrivere il funzionamento della frase significava avere anche  il controllo dei significati veicolati. La frase, come il luogo di un  pétit drame di cui Tesniére parlava mi affascinava, perché riaffiorava Aristotele, che nell’Analitica affrontava il procedimento di analisi, cioè di risoluzione di una proposizione nei suoi elementi componenti ragionando sul fenomeno della predicazione; riaffiorava Kant con le sue categorie della conoscenza, dal filosofo intese come funzioni logiche, con cui l'intelletto dà ordine ai dati dell'esperienza: qualità, modalità, causalità, negazione … La lingua utile di cui si serve l’intelletto per farci leggere, scrivere, parlare.


La grammatica dai testi e il modello valenziale
L’incontro con M. Luisa Altieri Biagi, che  Susi Siino invitò nella sua scuola, fu un altro momento di scoperta. La Grammatica dal testo, dai testi, come unità funzionali della lingua. Eravamo sempre ai primi anni ’80 e io ero appena entrata di ruolo nella scuola media. Riflettere su quanto la grammatica servisse alla lettura e comprensione dei testi e su quanto essa si potesse insegnare dal testo fu un’occasione di messa a punto di un versante di studio nuovo. Frase ed enunciato, nella loro diversità concettuale e funzionale, mi condussero ad iniziare nel mio insegnamento, sia nella scuola media che dopo, nella scuola superiore, una pratica didattica nella quale grammatica e testo non sempre però effettivamente si incontravano. Quella dell’ora di grammatica divenne l’occasione di continue piccole e solitarie sperimentazioni, osservazioni, registrazioni di risultati a breve e lungo termine, ma anche di sconforto, allorché la grammatica tradizionale sembrava non  mi consentisse di  promuovere una riflessione sensata sui due principi regolatori di ogni lingua, forma e funzione, da una parte; e dall’altra, di certo non produceva  risultati migliori né nell’insegnamento della comprensione dei testi  né nella scrittura. 

L’analisi funzionale della lingua dai testi, come piattaforma per potere poi sottoporla a un procedimento anatomico, mi sembrava funzionare solo per alcuni aspetti, riconducibili alla dimensione degli enunciati; il percorso inverso, d’altra parte, sembrava alla fine condurre i miei studenti a dimenticare il principio della funzione per soggiacere solo a quello della forma. Certamente mi sfuggiva qualcosa di importante, mentre mi riecheggiava continuamente quanto leggevo nelle 10 Tesi: 

"pensare che lo studio riflesso di una regola grammaticale ne agevoli il rispetto effettivo è, più o meno, come pensare che chi meglio conosce l'anatomia delle gambe corre più svelto, chi sa meglio l'ottica vede più lontano, ecc." [7]

E a fine anni ’80, l’incontro con il primo libro di Grammatica scritto da Francesco Sabatini segnò l’incontro didattico con il modello valenziale; e non fu semplice. Ma  mi consentì di cominciare, in perfetta solitudine, a vedere come funzionava con gli studenti. Nulla però avevo ancora pienamente messo in ordine sul piano didattico, anche perché ero perfettamente sola a ragionare sull’ora di grammatica a scuola. 

L'insegnamento della letteratura
Al contrario, la messa a tema dell’insegnamento della letteratura nel triennio delle scuole superiori, fu condivisa con molti altri colleghi lungo quasi tutto il decennio 1990-2000 all’interno del CIDI di Palermo. Furono anni densi di studio, guidato e stimolato in varie direzioni da Romano Luperini, in particolare. Sono gli anni in cui la sua idea di letteratura mi richiamava quella della Scuola delle Annales, allorché l’opera d’arte letteraria e il fenomeno letterario venivano inseriti nel tempo collegandoli a fenomeni di altra natura, storica, economica, o di altre arti. Ancora una volta era la mia anima originaria che determinava la direzione dell’incontro con gli autori e la passione per lo scenario storico complessivo cui fare riferimento, per fare in modo che parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni  potesse essere caricato da parte degli studenti di senso storico [8] .

Contemporaneamente non solo R. Luperini, ma anche colleghi di elevate e nobili qualità,  quali Laura Goggi e quanti scrivevano in una storica rivista “Sensate esperienze”, ponevano la questione del canone letterario. Ricordo le tante relazioni ascoltate in Convegni promossi dal CIDI (ma non solo), le tante letture di articoli sul tema, i diversi confronti ancora con Susi Siino; e il turbamento quando venne alla luce una questione fondamentale: il canone lo costruiscono i docenti con le loro scelte, le loro selezioni di autori e di storia letteraria, al di là dei programmi (ancora allora esistenti). Era una responsabilità forte, etica direi, che si agganciava a  questioni più ampie: perché quell’autore e non un altro? A che serve la letteratura? Perché insegnarla? 

Riforma degli Esami, la scrittura e il digitale
Il "Laboratorio nazionale di scrittura" che il GISCEL condusse subito dopo la Riforma dell’Esame di Stato (1999/2000) fu l’occasione per affrontare la questione della didattica della scrittura, dal tema  alla scrittura di tipologie diverse. La riforma infatti aveva introdotto nella Prima prova dell’Esame di Stato tipologie nuove, quali quella del saggio breve, rispetto alla quale il disorientamento tra noi docenti fu grande, a partire dalla solita domanda socratica: ti estì?  Ma anche, subito dopo, come insegnare a scriverlo? Molti, dopo un iniziale entusiasmo  rispetto al nuovo, non rinunciarono a percorrere la tradizione del tema in classe, magari accompagnato da qualche documento. Io cominciai a intravvedere nel saggio breve una sorta di relazione documentata, che, nella prassi didattica, poteva rappresentare la strada da percorrere sin dal biennio delle superiori, per poi fare transitare gli studenti verso, diciamo così, una relazione documentata e argomentata (saggio breve). In questa direzione discutemmo a lungo nei gruppi di lavoro del Laboratorio, prima a livello regionale, poi nel Seminario conclusivo che si svolse a Cuneo.

Così mi si apriva un altro filone di studio, di approfondimento, di confronto con i colleghi del  CIDI e del GISCEL, con alcuni colleghi di scuola. E ciò mentre la scrittura secondo il paradigma platonico  cominciava a essere accompagnata da quella digitale e multimediale, per cui  bisognava aprirsi a nuovi ragionamenti per rifuggire dal facile e diffuso alibi secondo il quale era la scrittura digitale, soprattutto se veicolata in forma di Sms, la causa manifesta del fatto che i nostri studenti non sapessero più scrivere (ma se ne lamentavano anche i miei professori alla fine degli anni ’60…). La questione mi sembrava molto più complicata, in quanto l’homo videns di cui scriveva Raffaele Simone stava stravolgendo il suo modo di leggere, di scrivere; la logica connettivista inoltre si  stava imponendo su quella lineare  nella dimensione della rete del web. Si trattava di un cambiamento di assetti neuronali  che di certo stavano avendo effetti nuovi e sconosciuti nel sapere leggere e nel sapere scrivere. 

A questi fattori su cui riflettere ci richiamava anche Mario Ambel, in molte occasioni, in molti scritti, come  in "La didattica della lettura, comprensione e riscrittura di testi", nella quale scriveva di  “una nuova idea e una nuova pratica della elaborazione del pensiero e della conoscenza, che presenta forti venature anti-analitiche e destrutturate tendenze non-proposizionali.”, alla conquista di “altre modalità di ritrovare e organizzare le informazioni e le conoscenze più repentine, frammentarie, analogiche, prospettiche, interdisciplinari, sistemiche …[9].

Riportare a sistema frammenti di esperienza
E con questi richiami la memoria della mia storia professionale mi conduce dentro una fase importantissima, quella degli anni in cui ho partecipato, dal  2005 al 2009, alla formazione programmata dal MIUR e  condotta da Indire, in collaborazione con le  Associazioni disciplinari, cioè “Apprendimenti di base”, meglio nota come "Progetto  Poseidon", poi "Educazione linguistica e letteraria in ottica plurilingue" .  Questa alta formazione ha avuto il grande merito, per me,  di mettere dentro un  sistema di senso complessivo quanto fino a quel momento era stato mio oggetto di studio, riflessione, sperimentazione, di certo, ma, diciamo così,  in ordine sparso. Finalmente avevo la possibilità di intrecciare tutti i versanti della formazione linguistica grazie a una congerie di materiali di alto spessore culturale, che costituivano la piattaforma necessaria per una loro possibile traduzione sul piano didattico, attraverso, anche qui, lo studio di numerosi percorsi realizzabili in aula,  sui quali confrontarsi e riflettere con gli altri colleghi in formazione e con gli autori. [10]

Si è trattato di un’immersione complessa e affascinante dentro tutte le questioni che attengono, in  prospettiva plurilingue, la costruzione delle diverse competenze della padronanza linguistica. Il filo rosso che le ha collegate tutte è stato il ragionare sul ti estì.
La ricerca della strada da percorrere per potere ragionare scientificamente  su cosa siano la scrittura, la lettura, la grammatica, e su cosa significhi insegnarle a scuola, finalmente diventava per me più luminosa, più chiara. E si confermava il significato che all’insegnarle avevo dato da sempre, quando leggevo (ancora da Ambel): 

"L’obiettivo di fondo di una buona didattica della comprensione resta quello di riaprire il dialogo con gli allievi reali, riuscire a intercettarne l’indifferenza e le potenzialità, gli interessi e le difficoltà, inseguendoli e conquistandoli su nuovi percorsi di condivisione progettuale e di empatia intellettiva ed emotiva, che talvolta si riesce ad attivare (più facilmente) su testi letterari, creativi; speriamo che un giorno si possa provare una diversa ma non meno efficace  condivisione empatica su testi più “noiosi”, non perché consueti e familiari, ma perché meno emozionanti e coinvolgenti (la definizione è di Marco Guastavigna): i testi espositivi e informativi, i testi esplicativi e argomentativi sui quali viaggiano forse meno emozioni, ma più informazioni, conoscenze e decisioni, altrettanto  utili ai cittadini di oggi e di domani. [11]

Vale per la didattica della lettura, ma la finalità riguarda anche l’insegnamento  della scrittura e della riflessione sulla lingua. Quest’ultima finalmente l’avevo completamente liberata dalla zavorra dei complementi e l’avevo portata nel “laboratorio”  linguistico [12], per osservare, sperimentare e imparare come funziona la lingua della nostra comunicazione, quella che ci permette di ragionare e di confrontarci sul ti estì. 
Ed è forse per queste ragioni che di un solo libro della scuola media ricordo il titolo : Osserva, sperimenta e impara”. Era uno snello libro di scienze che mi fece amare materia e metodo di lavoro. 

 

Note

1. E. Montale, "Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale" da Satura, Arnoldo Mondadori, Milano, 1971.
2. Cfr. Platone, Gorgia.
3. Cfr: Simone R., Libro d’Italiano, La Nuova Italia, Firenze, 1980.
4. Cfr. "IV. I diritti linguistici nella Costituzione" in Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica, Giscel, 1975.
5. Beretta M., Linguistica ed educazione linguistica, Einaudi, Torino, 1977.
6. Ibidem.
7. "VII. Limiti della pedagogia linguistica tradizionale" in Dieci tesi per l'educazione linguistica democraticaGiscel, 1975.
8. Cfr. Machiavelli  N., "Lettera a Francesco Vettori".
9. Ambel M. , La didattica della lettura, comprensione e riscrittura dei testi, in Educazione linguistica e letteraria in ottica plurilingue, Scuola Valore, Indire, 2005(risorsa in rete).
10. I materiali dell'intero progetto di ricerca e formazione, durato più di dieci anni, che comprende "136 risorse" distribuite il 13 unità sono disponibili  in Educazione linguistica e letteraria in ottica plurilingue sul sito Indire (risorsa in rete).
11. Ambel M., op. cit.
12. Cfr. Gueli A., Ferraro A.P., Semplice... la frase semplice? Riflessione sulla struttura della frase semplice e sulle funzioni dei suoi elementi, in  La grammatica dell'italiano, Scuola Valore, Indire, 2015 (risorsa in rete). 

 

 

 

 

 

work in progress dedicato all'Educazione Linguistica Democratica:
dalla ricostruzione delle speranze e delle delusioni di una grande scommessa solo in parte compiuta a 40 anni delle Dieci Tesi per l'educazione linguistica democratica (1975 - 2015)  alle sfide e alle proposte di oggi;  con indagini, interviste, rassegne bibliografiche, proposte didattiche, ricostruzioni storiche ...

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Novità
E' in preparazione un Convegno
in onore di Tullio De Mauro
che si terrà a Roma
il 25 novembre 2017
organizzato congiuntamente da
Cidi - Giscel - Lend - Mce
Non mancate!

GISCEL Nazionale
Roma, 27 maggio 2017
Seminario "Dopo Tullio, con Tullio"

dal sito del Giscel nazionale : i testi delle relazioni delle relazioni Ambel [documento], Deon [documento], De Santis [documento], Grandi [documento], Guerriero [documento], Lavinio [documento]
 

CIDI Torino - Lend Torino - GISCEL Piemonte
in collaborazione con insegnare
Torino, 30 novembre - 1 dicembre 2015

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GISCEL Lombardia  
Milano, 11 novembre 2015
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CIDI Palermo e GISCEL Sicilia  
Palermo, 12 ottobre 2015 

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GISCEL nazionale 
Roma, 9 settembre 2015  
  
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