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di Lina Grossipagine dimenticate

07/09/2025

Andrea Camilleri e la "Biografia del figlio cambiato"

Il sovrapporsi della sua figura a quella del padre
è stato quasi totale, rari i margini sfasati. (A. Camilleri)

 

Tra le pagine più dense e forse meno note di Camilleri c’è la Biografia del figlio cambiato [1], una biografia che modifica anche i caratteri del genere biografia letteraria. È infatti una biografia romanzata che nasce come trascrizione di un racconto orale, in cui lo scrittore mescola sapientemente due diversi registri di scrittura per narrare da un punto di vista “del tutto personale”, la storia “del figlio cambiato”, vale a dire la storia di quello che Luigi Pirandello pensò a lungo di essere.

Il racconto, come precisa Camilleri nella Nota che lo accompagna, non è destinato “agli studiosi di Pirandello ché queste cose per loro son risapute, ma al lettore più che comune”. Di Pirandello in effetti sono state scritte biografie autorevoli, ma ciò che affascina in questa versione di Camilleri è la capacità affabulatoria della scrittura e la cifra particolare dello stile e della lingua. Ma, soprattutto, colpisce il punto di vista. che ha come perno il tema dell’identità su cui Camilleri indaga con lo sguardo partecipe dell’intellettuale e del conterraneo dalle radici comuni, che affondano in quel sentire che la “sicilitudine” comporta.

Dopo un veloce accenno al contesto storico e familiare, il luogo di nascita segna l’incipit della narrazione e non per una semplice ragione campanilistica ma per una questione più profonda e centrale nel percorso biografico. Scrive Camilleri[2]

"C’e un paese, sulla costa meridionale della Sicilia, che si chiama Porto Empedocle. Prima di diventare comune autonomo era una borgata di Girgenti (Agrigento)…La linea di confine tra i due comuni…venne fissata all’altezza della foce di un fiume…che tagliava in due una contrada, chiamata ora “’u Càvuso” ora “’u Càuso”, fitta tanto d’alberi da parere un bosco…E dunque, di questo Càvusu, una metà apparteneva al nuovo comune di Porto Empedocle e l’altra metà al Comune di Girgenti."

Pirandello, dunque, la cui famiglia viveva a Porto Empedocle, a causa di una improvvisa epidemia di colera, si trova a nascere prematuro in una proprietà di campagna, collocata dove iniziava il territorio di Girgenti: "Io dunque sono figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà. Perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso un intricato bosco, denominato, in forma dialettale, Càvasu dagli abitanti di Girgenti…correzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Xáos…Io penso però che sarà cosa certa per gli altri che dovevo nascere li e non altrove e che dovevo nascere dopo né prima; ma confesso che di tutte queste cose non mi son fatto ancora né certo saprò farmi mai un’idea."[3]

Queste famose parole scritte da Pirandello sulle proprie origini, Camilleri, oltre a riportarle nella biografia, prova a rileggerle in quanto crede che in realtà se non una chiara idea sul suo involontario soggiorno sulla terra almeno “la constatazione di un disagio” la esprimano. Il disagio di “nascere uomo, viaggiatore in transito e infreddolito e sperso” in un luogo e in un giorno imprevisti [4].

Racconta ancora Camilleri, introducendo un secondo nucleo narrativo, dopo quello delle origini e dei luoghi dell’infanzia, che il racconto del figlio cambiato è quello che più di tutti colpisce il piccolo Luigi, ascoltando le storie popolari narrate dalla balia. Ricostruisce così la vicenda: 

“Difficile scangiare parole con la madre, impossibile farlo con padre, nella casa girgentana Luigino fortunatamente trova un’amica. È la cammarera, la criata Maria Stella…è una popolana che deve essere stata un’ottima affabulatrice…conta …storie popolari…è indubbio che il racconto che più di tutti colpisce il picciliddro è quello del figlio cambiato.[5]

La favola del figlio cambiato, spiega Camilleri, è diffusa praticamente in tutto il mondo con varianti legate alle diverse culture. La versione mediterranea è quella di una madre disperata che si rifugia nella convinzione che il suo vero figlio bello e sano sia stato rapito dalle donne (le streghe) che hanno lasciato al suo posto un bimbo malato e sofferente. Ma la madre sa anche che, se tratterà bene il figlio lasciatole dalle streghe, anche il figlio vero starà bene.

L’intera biografia dedicata a Pirandello prende il titolo da questa favola in quanto ne costituisce il motivo conduttore, per un duplice motivo: per il forte valore che alcuni eventi dell’infanzia assumono nella vicenda esistenziale e nell’immaginario pirandelliano e per il particolare punto di vista di Camilleri biografo. Nella sua ricostruzione la vita che racconta non è (sol)tanto quella spesa da Pirandello per la letteratura e per il teatro quanto l’esistenza sofferta di un uomo che si sentì a lungo un figlio cambiato. Scrive Camilleri: 

“Il racconto del figlio cambiato…è per lui una specie di rivelazione: non solo è nato nel posto sbagliato e nel giorno sbagliato, ma quella lucciola (come ha voluto rappresentare la sua nascita [6] è andata magari a finire in una famiglia sbagliata…”

E aggiunge anche come dato di analisi sociale che “sulla diversità dei siciliani tra di loro, Vitaliano Brancati ha scritto pagine illuminanti [7]. 
 La parte prima della narrazione biografica continua con il racconto delle tensioni familiari e del difficile rapporto del giovane Pirandello con il padre che si protrae per quasi tutta la vita, il racconto della scuola cambiata e finalmente del trasferimento a Roma e poi a Bonn per motivi di studio: “finalmente il figlio cambiato ce l’ha fatta a mettere distanza, magari chilometrica, tra sé e la famiglia dove erroneamente è nato” [8].
Intensi i versi scritti da Pirandello sul soggiorno in Germania mentre studia del linguaggio le origini e le forme, che Camilleri trascrive per meglio definire la dimensione privata di quell’esperienza, la quale non risolve ancora “lo scioglimento dall’invisibile catena che lo tiene stretto: la dipendenza economica dal padre” [9].

La parte centrale della ricostruzione biografica si concentra sul matrimonio combinato, evento frequentissimo all’epoca, come soluzione ai problemi economici grazie alla dote della futura moglie. L’avventatezza di alcune speculazioni di don Stefano che ha in gestione il patrimonio familiare della famiglia Pirandello- Portolano crea danni irreparabili. Scrive Camilleri:

“E Luigi? Con amarezza deve farsi persuaso che della catena al collo solo apparentemente era riuscito a liberarsi…Il figlio cambiato deve ricominciare tutto daccapo” [10]

Nel 1904, un anno dopo questi eventi, esce il romanzo Il fu Mattia Pascal, di cui Camilleri, seguendo la sua linea interpretativa, afferma:

“…non era un’opera di fantasia, bensì, da una parte una sorta di soluzione possibile alla terribile contingenza nella quale la sorte aveva costretto l’autore e, dall’altra, una specie di diario di un fatto già accaduto. In altri termini, la trasformazione di Mattia Pascal in Adriano Melis altro non è che il procedimento, qui opportunamente romanzato, della morte del fu Luigi Pirandello figlio di Stefano e della sua rinascita, finalmente come Luigi Pirandello, figlio cambiato, e quindi senza una reale paternità”.  [11]

Nella terza e ultima parte della biografia camilleriana viene ripercorsa la drammatica vicenda familiare: la malattia della moglie da cui non guarirà, non può guarire (scrive lo stesso Pirandello in una lettera indirizzata alla sorella), il rapporto non facile con i tre figli, la malattia e il trasferimento del padre a Roma. Tranne un accenno alla guerra e al richiamo alle armi dei figli che agita nel profondo Pirandello, considerati i precedenti patriottici di tutta la famiglia, e un accenno al premio Nobel per la letteratura, Camilleri non si mostra interessato scandagliare su altre vicende private, ad esempio il legame con Marta Abba, a cui accenna soltanto, senza nominarla: “ ha rinunziato persino all’amore arrivato, come un dono, quando forse non si è più in grado d’amare”.

Si sofferma invece sulla scrittura e sulla rappresentazione dei Sei personaggi in cerca d’autore.  Un’opera che Camilleri con grande intuito e capacità di far emergere i legami sotterranei tra scrittura e vita, paragona alle “tessere di un puzzle che miracolosamente si compongono in un disegno unitario dopo anni di sofferte prove…”. E aggiunge: “Tanti, troppi i sotterranei legami, talvolta espliciti, talvolta appena accennati, altre volte solo intuiti…Ma una cosa mi pare certa: il colpo di rivoltella col quale il Figlio giovinetto pone fine ai suoi giorni, uccide anche un’illusione giovanile… quel colpo di pistola fa scomparire il figlio cambiato, se è mai esistito…quella storia la chiamerebbe, senza esitazione, una favola”.

E La favola del figlio cambiato è il titolo dell’opera di Pirandello che, dopo un clamoroso fallimento a Roma nel 1934, viene rappresentata in Germania con grande successo. Un’opera che al pari dei Sei personaggi, nota Camilleri “tanto peso aveva avuto nella vita più segreta di Pirandello” [12].

Una narrazione dunque assolutamente personale e appassionata quella di Camilleri [13] che del conterraneo Pirandello traccia un profilo intenso, privato, quasi familiare, un po’ come il legame tra le loro famiglie, con minore attenzione all’opera - di cui si era già scritto tanto - ma con richiami continui a passi tratti da novelle, romanzi, poesie, lettere da cui affiorano echi biografici e dai quali emerge il valore privato della scrittura in Pirandello.

 

Note

[1] A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, Rizzoli, 2000.
[2] ib. p.19
[3] Cfr. il testo scritto nel 1893, all’amico Pio Spezi, pubblicato nella Nuova Antologia, 16 giugno 1933.
[4] Cfr. A. Camilleri, op. cit, p.20
[5] Ib.pp.41-43
[6] Ib.pp.19-20
[7] Ib. p.46-47
[8] Ib.pp.99
[9] Ib. p. 137
[10] Ib. p.166
[11] Ib. p.171
[12] Ib. p.260
[13]Cfr. Andrea Camilleri racconta il suo Pirandello all'Università La Sapienza di Roma in occasione dell'uscita del suo libro "Biografia del figlio cambiato' (dicembre 2000), al sito: https://www.teche.rai.it/2020/07/andrea-camilleri-incontri/

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.