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di Lina Grossipagine dimenticate

10/01/2025

Camilleri e De Mauro: conversazione sulla lingua italiana

“Ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima”, scrive Calvino nella sua esortazione a leggere e rileggere quei libri che continuano a parlarci, a suscitare interesse e occasioni di riflessione. È il caso di un’avvincente conversazione tra lo scrittore Andrea Camilleri e il linguista Tullio De Mauro, pubblicata nel 2013 in un volume dal titolo La lingua batte dove il dente duole [1]. Il titolo riprende un proverbio italiano molto diffuso in diverse varianti [2] a sottolineare che si ricade spesso a parlare delle cose che più ci stanno a cuore o ci preoccupano. 

Nel dialogo, che si mantiene nei toni delle confidenze e dell’affabulazione, si susseguono ricordi, aneddoti, riflessioni in una alternanza di prospettive su una questione della massima importanza per entrambi gli interlocutori: la lingua italiana. Camilleri ne parla da scrittore e racconta della sua storia linguistica personale, della sua ricerca continua sul linguaggio, dei risultati narrativi ottenuti tramite “l’approfondimento della parola” [3]. della sua lingua letteraria, di quell’italiano sicilianizzato che ha inventato, ricco di parole, espressioni, proverbi e modi di dire che vogliono esprimere ciò di cui parla.  Una lingua, che “non è solo un vocabolario e una sintassi, è un modo di vedere il mondo”[4]. 
De Mauro invece è interessato alla storia linguistica dell’Italia, allo stato di salute culturale del paese, alla non facile introduzione di una educazione linguistica efficace nella nostra scuola.
La lingua, dunque, continua a battere su un dente che duole. Ne sono convinti Camilleri e De Mauro che si confrontano e riflettono su che cos’è la lingua e cos’è il dialetto, su che cosa si esprime con l’una e che cosa con l’altro. E, nelle conclusioni, le preoccupazioni si concentrano sull’italiano oggi e sui problemi aperti o irrisolti.
La discussione verte su alcuni temi di fondo - esplicitati nei titoli attribuiti agli otto capitoli che compongono il volume - e ciascun tema si articola in più sottotemi che suggeriscono ai lettori numerosi spunti di riflessione e approfondimento.

Per la molteplicità degli argomenti trattati, riproporremo, in questa sede, soltanto alcuni passaggi della conversazione relativi a tre ambiti tematici: la lingua e il dialetto; il suono della lingua e la lettura ad alta voce; le riflessioni sull’italiano oggi.

1. La lingua e il dialetto
 

Camilleri [5] dà avvio alla conversazione evidenziando il sentimento che lo lega al suo idioma dialettale, la lingua degli affetti, del cuore. Afferma infatti:

Il dialetto è sempre la lingua degli affetti, un fatto confidenziale, intimo, familiare. Come diceva Pirandello, la parola del dialetto è la cosa stessa, perché il dialetto di una cosa esprime il sentimento, mentre la lingua di quella stessa cosa esprime il concetto. […] A me con il dialetto, con la lingua del cuore, che non è soltanto del cuore ma qualcosa di ancora più complesso, succede una cosa appassionante. Lo dico da persona che scrive. Mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana. Non è solo una questione di cuore, è anche di testa. Testa e cuore. È una relazione molto articolata. (pp. 5-.6). 

De Mauro vede nell’uso del dialetto non solo una valenza emotiva ma anche politica e culturale. Lo dimostra narrando episodi del suo vissuto professionale in Sicilia.

Il fatto è che il dialetto non è solo la lingua delle emozioni. L’ho capito proprio in Sicilia, da non siciliano [...] Quando ci trovavamo a pranzo o a cena […] si partiva con l’italiano, nel senso che tutti parlavano in italiano. Ma appena la discussione si accendeva – e quando c’era Sciascia capitava spesso - e magari si passava alla politica, improvvisamente cambiavano registro linguistico. Un po’alla volta slittavano nel dialetto, e dell’italiano si scordavano, Gli uomini per parlare di argomenti più impegnativi intellettualmente usavano il dialetto […] Perché a Venezia come a Palermo, quando il discorso si fa serio, si usa il dialetto Ancora oggi il passaggio al dialetto di chi sa bene l’italiano, non è una scivolata. Lo slittamento verso il dialetto in questo caso non è emotivo. (pp. 13-4).

Tra riflessioni, aneddoti, ricordi la conversazione cade inevitabilmente su un altro tema: che cosa rappresenta la lingua per entrambi. “La lingua è tutto”, afferma Camilleri, è ciò che permette di comunicare agli appartenenti di una nazione e raggiungere scopi comuni. Una lingua che è stata arricchita dai dialetti che oggi stanno perdendo il loro vigore:

…io sono uno scrittore italiano che fa uso di un dialetto che è compreso nella nazione italiana, un dialetto che ha arricchito la nostra lingua. Se l’albero è la lingua, i dialetti sono stati nel tempo la linfa di questo albero. Io ho scelto di ingrossare questa vena del mio albero della lingua italiana col dialetto. E penso che la perdita dei dialetti sia un danno anche per l’albero. (p. 23)

De Mauro introduce un tema complesso nella storia della lingua italiana: la multiforme realtà linguistica che la caratterizza. “In Italia abbiamo tante lingue”, afferma qui in riferimento al rapporto e apporto dei dialetti all’italiano e, nella parte finale della conversazione, torna sulla questione, ponendo in rilievo la perdita di influenza dei dialetti sull’italiano oggi e l’apporto invece di lingue straniere.

2. Ad alta voce. Il suono delle parole
 

Una lingua è anche suono e il suono delle parole è importante. Lo evidenzia De Mauro:

Credo che non si debba mai dimenticare che anche il suono della lingua è importante. L’onda della parola si apprezza solo leggendo ad alta voce. (p.85)

Per questo motivo, l’importanza del sentir leggere, dell’oralità, ha significative implicazioni in ambito didattico dove la lettura ad alta è un metodo utilizzato con risultati significativi per favorire l’interesse per la lettura e sviluppare abilità cognitiva, già a partire dalla scuola per l’infanzia.  Il suono infatti, afferma ancora De Mauro, affascina, avvolge:

le parole sono suono e il suono, anche di una singola parola, ci affascina, ci avvolge. E c’è il significato, Come c’è il ritmo del testo. I tuoi racconti e romanzi sono un esempio in questo senso, se ne percepisce l’andamento musicale. (p.94).

Camilleri riprende il filo del discorso riportando la questione al proprio modo di scrivere:

Io rileggo sempre quello che scrivo ad alta voce. Devo sentirlo scorrere, e appena questo fluire del racconto s’intoppa, capisco che devo riscrivere quel punto, perché lì, in quel punto preciso manca il ritmo. Il mio modo di raccontare obbedisce al mio ritmo personale, cioè obbedisce a certe leggi, a certe pause, a certe accelerazioni e ralenti che io sento dentro di me. […] È questo alternarsi di ritmi all’interno di un romanzo che fa quello che io chiamo il respiro di un romanzo. (pp. 85-6; 94)

3. L'italiano oggi

L’italiano oggi è un bene comune parlato in modo esclusivo, senza interferenze dialettali, da quasi tutta la popolazione. Nonostante ciò, le cose assumono un aspetto diverso se si osservano i dati negativi relativi alla capacità di comprensione dell’informazione scritta. È sulla base di questi dati che De Mauro avverte il rischio di una emergenza sociale e politica, nella consapevolezza che la padronanza della propria lingua è un presupposto indispensabile per lo sviluppo culturale ed economico dell’individuo della collettività. 

Stando ai dati Istat. Oggi l’italiano è nella sostanza, un bene comune…il 94% lo sa parlare e lo padroneggia almeno nei suoi elementi essenziali. Ma se si sposta l’attenzione allo scritto […] le cose cambiano. Qui ricorderò solo due dati, Cinque italiani e italiane ogni cento sono incapaci di leggere e capire anche qualche parola scritta, anche qualche cifra scritta, Risultano cioè, totalmente analfabeti. E solo il 29% riesce a inoltrarsi nella lettura […], Il 71% non ce la fa, ed è quindi sotto quella che, internazionalmente, è considerata la soglia minima per orientarsi e risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni complesse, e problemi della vita sociale quotidiana. Basterebbero queste due percentuali per far scattare l’emergenza sociale. (p.105)

I dati riportati da De Mauro si riferiscono a studi precedenti il 2013, anno di pubblicazione del volume, ma la realtà che descrivono purtroppo non è mutata nel tempo. Sulla base, infatti, dei risultati dell’indagine PIAAC-OCSE2024 sulle competenze degli adulti tra i 16 e i 65 anni nulla è cambiato rispetto ai dati Istat e alle preoccupazioni espresse da De Mauro. I dati confermano che non ci sono segni di miglioramento in Italia e la distanza da colmare rispetto ai dati internazionali OCSE rimane significativa con una grande variabilità territoriale.  
Queste preoccupazioni sono condivise da Camilleri che pone l’accento sui continui usi impropri di parole italiane e sulla diffusione incontrollata di frasi e parole in inglese, e dichiara in proposito:

Sono convinto che lo stato di salute di una lingua corrisponda allo stato di salute di una nazione. [,,,] Per non dire degli usi impropri delle parole, La diffusione incontrollata e incontrollabile di frasi e parole in inglese nell’uso comune è una perdita di campo,  un indebolimento della nostra lingua, perché non sono parole che arricchiscono, sono parole sostitutive. (p.106-7)

Concorde la posizione di De Mauro:

Anch’io non amo gli anglismi - che considero un fenomeno da non sottovalutare - soprattutto quando sono inutili, quando l’abuso è ingiustificato. (p.108)

Riguardo ai prestiti linguistici può essere utile ricordare, a fini didattici, il progetto del Gruppo Incipit, attivo dal 2015 presso l’Accademia della Crusca di Firenze,   che si propone di “monitorare i neologismi e forestierismi incipienti, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana e prima che prendano piede”. 

De Mauro, nelle battute finali del dialogo, esprime la preoccupazione che l’italiano oggi, privato in gran parte delle sue radici più antiche, quei dialetti che vanno scomparendo e ne rappresentavano la linfa, possa rischiare un impoverimento. E, in assenza di un ordito culturale di base solido, l’italiano:

per troppa parte della popolazione rischia di essere un guscio fonico, povero dei contenuti necessari a vivere nel complicato mondo contemporaneo. (p.125)

Camilleri, con una nota di speranza, conclude affermando:

la mia speranza è che siccome la lingua è sempre in movimento, in una progressione lenta e costante […] il guscio vuoto, come dici tu, possa essere riempito da queste parole nuove che arrivano da fuori […] Ecco, io spero questo, che il guscio che si sta svuotando possa essere colmato, arricchito e non sostituito da parole nuove e diverse. (p.125)

 

Note

[1] Andrea Camilleri- Tullio De Mauro, La lingua batte dove il dente duole, Roma-Bari, Laterza, 2013.
[2]Il proverbio è attestato in sei varianti nel corpus dei Proverbi italiani della banca dati dell’Accademia della Crusca
[3] 
Op.cit. p.99
[4] L’affermazione è di Serge Quadruppani, la voce francese dello scrittore, che parla del complesso lavoro di traduzione delle opere di Camilleri e di quel francese molto particolare che ha dovuto creare per rendere la sua lingua.
[5] 
Nel riproporre questa conversazione si è voluto offrire un contributo alla conoscenza dello scrittore di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita.

Di che cosa parliamo

 

(ri)dare forza a parole già dette. La narrativa italiana e straniera cui riferirsi per parlare di scuola è affollata di esempi tuttora letti  rispetto ad altri a torto dimenticati. Lo spazio della mia I/stanza non vuole essere una retrospettiva e neppure una trincea nostalgica, ma intendo parlare di scuola e di educazione attraverso la (ri)lettura di pagine (di letteratura e non) a partire dalle riflessioni o dalle emozioni già “fissate” in un testo, per cercarvi corrispondenze, risposte, stimoli, suggestioni e altro ancora rispetto agli interrogativi sull’educazione e la società di oggi. Pagine godibili, ancora capaci di generare un rapporto empatico con il lettore, ora come semplici elementi di “cornice”, ora perché essenziali allo sviluppo di una narrazione.

L'autrice


Come insegnante nei licei, si è occupata di didattica del latino e dell’italiano. In molte attività di formazione ha collaborato a lungo con Università, Istituti  di ricerca, Associazioni di insegnanti, scuole e reti di scuole. Ha svolto attività di  ricerca presso l’INVALSI coordinando progetti in ambito nazionale e internazionale sulla valutazione degli apprendimenti e sulle competenza di lettura e scrittura.  È autrice di numerosi articoli e saggi su riviste specializzate;  di monografie, di testi scolastici e di ricerca didattica nell’editoria diffusa; di rapporti di ricerca.