di Annamaria Palmierila scuola "scomoda"

29/04/2025

Che fare?

E’ la terza volta quest’anno, che come dirigente scolastica, oltre che come persona di scuola appassionata del suo mondo e del suo lavoro me lo chiedo. Come tutti gli “appassionati” ritengo di conoscere abbastanza bene, o sufficientemente, le prerogative, le competenze  e i limiti che l’autonomia scolastica,  ma anche i decreti delegati,  danno al dirigente e/o agli organi collegiali… e finanche al Ministro, naturalmente.

La prima esitazione mi prese a dicembre dello scorso anno, di fronte alla modifica delle norme sulla valutazione, contenute nella L.150. Resto tuttora convinta che la competenza dei collegi docenti in tema di valutazione sia stata messa in discussione tra le righe di quelle norme, anche se non sono mancati collegi che se ne sono coraggiosamente riappropriati, deliberando in modo autonomo in tema di criteri, per la condotta per i crediti come per le valutazioni di profitto.

Il secondo sbandamento mi è preso leggendo la proposta di Nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo, che rivoltavano l’idea stessa della scuola che io avevo ereditato dai miei studi e dall’esempio delle grandi battaglie democratiche condotte in cinquanta anni di storia. E’ vero, trattasi di “materiali di studio” e quasi tutti gli studiosi, le società scientifiche e le associazioni disciplinari le hanno rimandate indietro con un fardello di critiche pesantissime, per cui forse nulla è detto: resta che tante affermazioni in quel testo mi hanno lasciato addosso un sentimento doloroso e preoccupato.

Oggi l’inquietudine mi assale di nuovo: nelle scuole è giunta una circolare di due paginette, indirizzata ai Dirigenti scolastici, che si occupa non dei grandi temi su cui i contesti educativi dovrebbero esser sollecitati, e nemmeno di aspetti tecnici rilevanti. No, l’oggetto è…come debbano svolgersi le verifiche e come dare i compiti a casa (!). Cui prodest? Mi è capitato altre volte di osservare che il paternalismo nasconda una natura “repressiva”, ma forse stavolta siamo oltre i limiti. Si tratta di raccomandazioni rivolte ai docenti, quegli stessi ai quali il Ministro sostiene di voler restituire autorevolezza. E quale autorevolezza se ne ricava se li si tratta come dei bambini o, peggio, come incompetenti cui bisogna spiegare (in modo quasi elementare) in che modo vanno distribuiti i pesi dei compiti e degli assegni?

Chi scrive sa bene quanti errori si facciano nell’ uso dell’autonomia scolastica, o, a livello di singole classi, nel programmare in modo spasmodico le verifiche di fine anno, senza alcun buon senso pedagogico, creando negli studenti ansia da prestazione e nei genitori rivolgimenti e ricorsi a volte avventati. E’ un tema molto serio: attiene alla fragilità delle alleanze educative, all’assenza di condivisione sugli scopi della valutazione  o, ancora, alla natura  della relazione educativa: ma come  può  un Ministro - e per suo conto un Dirigente -   assumersi extra lege la prerogativa di  definire quali debbano essere i modi di agire del docente,  cui è stata riconosciuta una professionalità all’atto dell’assunzione?  La libertà di insegnamento è in Costituzione, il suo eventuale cattivo uso è una responsabilità personale.  E la professionalità e le competenze della classe docente di una nazione si costruiscono con un buon sistema di reclutamento, di formazione e aggiornamento, con un buon livello di dibattito pubblico insieme al mondo della ricerca e delle associazioni professionali, disciplinari, dei genitori. Di certo, il tema del carico dei compiti incide sulla vita dei ragazzi e delle ragazze e delle loro famiglie, a volte incide sulla dispersione scolastica: e sarebbe bello che finalmente  diventasse tema  di inchieste pubbliche, come se ne facevano in un tempo,  o ancora di convegni, seminari, conferenze di servizio  con gli operatori della scuola... Ecco quello che mi lascia triste, preoccupata e sconcertata: mi piacerebbe un ministero che proponesse alla discussione pubblica questi ed altri temi, mostrando di avere interesse reale per le sorti della scuola, e non cercasse di  caratterizzare il proprio intervento con “esondazioni” paternalistiche che parlano alla pancia dell’uomo qualunque: un simile approccio a nulla serve per raggiungere quelli che usano male la valutazione, e continueranno a farlo, mentre di certo mortifica e offende la grandissima maggioranza di chi interpreta seriamente,  in scienza e coscienza,  il proprio lavoro e la propria

Di che cosa parliamo

La scuola, se è vera scuola, scomoda le coscienze e le scuote dall'indifferenza poiché è luogo e pratica di democrazia, di inclusione, di tolleranza, di convivenza solidale.
La scuola, se è vera scuola, è contraria al pensiero unico, al conformismo, alle mode, al quieto vivere perché è luogo e pratica di riflessione critica, di sguardo problematico, di pensiero divergente.
E per questo la scuola è scomoda.
È  scomoda perché pratica e rispetta le diversità e i disagi, ma spesso vi si lascia travolgere e inibire e allora diviene scomoda a se stessa.
E deve essere scomoda anche per tutti coloro che la vorrebbero luogo di competizione, di gara, di apprendistato all'arrivismo e alla prevaricazione.
In tal senso  la rubrica raccoglie e racconta momenti e situazioni di scuola "scomoda", talvolta anche per se stessa e spesso per i territori in cui come Istituzione vive e agisce.

L'autrice

Dirigente scolastica presso un istituto professionale di Torino, attualmente tutor organizzatore di Scienze della formazione primaria all'università di Salerno; è stata per due mandati Assessore all'Istruzione del Comune di Napoli al servizio della scuola della sua città, intesa e praticata come diritto inalienabile e bene comune.


 

maestri copertina

Annamaria Palmieri, Maestri di scuola, maestri di pensiero, Aracne, Ariccia, 2015, pp. 246, 14 euro in volume, 8,4 euro in PDF

Nella storia dell’Italia post-unitaria la scrittura letteraria dei maestri-scrittori ha assunto un’importanza straordinaria, perché proprio la scuola ha dovuto affrontare i problemi fondamentali, e tuttora in parte irrisolti, di formazione dell’unità culturale, umana e linguistica della nazione. L’autrice affronta il nodo interpretativo di questa narrazione compiendo una scelta esemplare: tre ‘maestri’, Pier Paolo Pasolini, Leonardo Sciascia e Lucio Mastronardi, che sono stati scrittori e intellettuali e che hanno vissuto in un’aula scolastica un momento determinante della loro esperienza esistenziale. Per tutti e tre, la scuola fu il luogo di una delusione ma anche della denuncia, humus originario del loro impegno civile, contro la degenerazione del capitalismo e le storture di una società iniqua che vanificava l’utopia democratica ed egualitaria su cui la scuola di massa era nata o stava nascendo: eroi moderni del racconto di un’umile Italia che vive un’ultima stagione di ‘resistenza’ contro la trasformazione in una nazione senz’anima e senza cuore.               

Leggi la recensione su insegnare di Rosanna Angelelli

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