Immaginate di osservare lo stesso prato in compagnia di una mucca, un'ape e un pipistrello. Quello che vedete voi - un tappeto verde punteggiato da fiori colorati - è completamente diverso da ciò che percepiscono i vostri compagni. La mucca, con la sua visione panoramica di 330 gradi, vede un mondo privo di profondità dove i fiori rossi scompaiono in una tonalità indistinguibile. L'ape, invece, scorge un universo in cui quei fiori rossi appaiono neri, ma rivela pattern ultravioletti invisibili ai nostri occhi, come segnali luminosi che guidano verso il nettare. Il pipistrello, infine, costruisce una mappa acustica tridimensionale attraverso l'ecolocalizzazione, "vedendo" con i suoni ciò che per noi è solo silenzio.
Questa diversità percettiva non è limitata al regno animale. Anche tra gli esseri umani esistono sensibilità differenti che possono essere sviluppate e affinate. Un artista può cogliere sfumature cromatiche che sfuggono a chi non ha allenato l'occhio estetico, ma come argomenta Richard Feynman in una riflessione sul rapporto tra arte e scienza, la conoscenza scientifica non impoverisce questa capacità - anzi, la amplifica.
Le nostre percezioni sono intrinsecamente limitate. Come evidenziato dagli studi neuroscientifici, "non vediamo con gli occhi, ma col cervello". Il nostro sistema visivo costruisce una rappresentazione stabile del mondo partendo da "piccoli francobolli di informazione" frammentari e in continuo movimento. Questo processo di elaborazione, che coinvolge la corteccia intraparietale, unifica la percezione dello spazio, del tempo e dei numeri in una "metrica percettiva comune".
La questione si fa ancora più complessa quando consideriamo che la nostra percezione non è solo limitata nel presente, ma anche fallibile nel ricordo. Lo scrittore e magistrato Gianrico Carofiglio ha dedicato particolare attenzione al fenomeno dei falsi ricordi, evidenziando come anche la testimonianza oculare - considerata tradizionalmente una delle prove più affidabili in ambito giudiziario - possa essere drammaticamente ingannevole.
Come evidenzia Gianrico Carofiglio in Testimone inconsapevole (2002), esiste una terza possibilità tra il mentire consciamente e il dire la verità: quella del testimone che riferisce una versione dei fatti nella convinzione erronea che essa sia vera. Si tratta della "falsa testimonianza inconsapevole", un fenomeno che non richiede malafede ma semplicemente il fatto di avere una teoria da confermare - il nostro cervello fa tutto da solo, percependo, rielaborando e verbalizzando in modo da adattare i fatti alla teoria, assemblando così il falso ricordo.
Il nostro cervello non registra passivamente gli eventi come farebbe una videocamera, ma li ricostruisce attivamente ogni volta che li richiamiamo, modificandoli inconsciamente in base al nostro stato emotivo, alle nostre aspettative e alle informazioni acquisite successivamente.
Questo significa che possiamo essere assolutamente convinti di ricordare un evento esattamente come è accaduto, mentre in realtà la nostra mente ha creato ricordi che non corrispondono alla realtà. Il cervello, responsabile della vista più degli occhi stessi, percepisce frammenti di realtà che vengono poi assemblati nel modo più coerente possibile - ma "coerente" non significa necessariamente "veritiero".
Ma cosa accade quando dobbiamo descrivere fenomeni che superano i limiti dei nostri sensi? Il linguaggio naturale mostra qui la sua inadeguatezza. Pensiamo alla definizione di "sedia" nel dizionario: "Mobile destinato a offrire appoggio alla persona seduta...". Per comprendere questa definizione, dobbiamo sapere cosa significa "sedere", che a sua volta viene definito come "assumere la posizione seduta... su una sedia". Ci troviamo intrappolati in una tautologia, in un circolo vizioso di definizioni ricorsive.
È qui che la matematica rivela la sua potenza rivoluzionaria. Il formalismo matematico, spesso percepito come eccessivamente rigido o esasperato, è in realtà lo strumento che ci libera dalle tautologie del linguaggio naturale. La matematica ci permette di descrivere e comunicare concetti che altrimenti sarebbero letteralmente indescrivibili.
Un esempio straordinario di questa capacità è la possibilità di descrivere matematicamente spazi con più di tre dimensioni. Mentre la nostra esperienza quotidiana è limitata alle tre dimensioni spaziali, la matematica ci permette di lavorare con oggetti a N dimensioni - ipercubi, ipersateri, varietà multidimensionali - che non solo sono impossibili da visualizzare, ma sono letteralmente impensabili per la nostra mente tridimensionale.
Eppure, attraverso il formalismo matematico, possiamo non solo descrivere questi oggetti, ma anche fare previsioni su di essi. E qui emerge uno dei misteri più affascinanti della matematica: queste previsioni, generate da calcoli su entità che non riusciamo nemmeno a immaginare, vengono poi verificate sperimentalmente nella realtà fisica. È quello che Eugene Wigner chiamava "l'irragionevole efficacia della matematica nelle scienze naturali".
Consideriamo la teoria della relatività di Einstein. Senza il linguaggio matematico, come potremmo comunicare l'idea che lo spazio e il tempo sono interconnessi, che la massa deforma lo spazio-tempo, o che la simultaneità è relativa? Queste intuizioni profonde sulla natura della realtà richiedono un linguaggio che trascenda le limitazioni della nostra esperienza quotidiana.
La nostra difficoltà nel concepire grandi numeri illustra perfettamente questi limiti percettivi, ma il problema è ancora più profondo di quanto possa sembrare. Gli studi di Jean Piaget sulla conservazione della quantità nei bambini rivelano come la nostra percezione numerica sia influenzata da fattori apparentemente irrilevanti come la disposizione spaziale degli oggetti.
Nel famoso esperimento piagetiano, un bambino di 4-5 anni osserva due file parallele di monete con lo stesso numero di elementi. Quando una delle file viene allargata, distanziando le monete, il bambino afferma che ora quella fila contiene più monete. Allo stesso modo, quando si versa la stessa quantità di liquido da un bicchiere basso e largo a uno alto e stretto, il bambino sostiene che il secondo contenga più liquido.
Secondo Piaget, i bambini nello stadio pre-operatorio (2-7 anni) non possiedono ancora il principio della conservazione della quantità: non si rendono conto che la quantità di una sostanza non cambia al variare della sua forma o disposizione. Questo fenomeno dimostra come la nostra percezione delle quantità sia inizialmente dominata dagli "indizi superficiali" come la forma o la densità dello spazio occupato, piuttosto che dalle proprietà quantitative effettive.
Interessante è anche l'esperimento di Mehler e Bever, che modificò il protocollo piagetiano sostituendo le biglie con caramelle M&M's e cambiando la domanda da "qual è di più?" a "quale fila di M&M's vuoi mangiare?". I risultati suggerirono che i bambini, quando motivati dall'interesse concreto, potevano percepire le differenze quantitative indipendentemente dalla disposizione spaziale. Questo indica che la percezione numerica non dipende solo dalla maturazione neurologica, ma anche dal contesto e dalla motivazione.
Come ipotizza Stanislas Dehaene, il cervello umano possiede meccanismi innati per la comprensione delle quantità numeriche, ma questi meccanismi possono essere influenzati da fattori cognitivi superiori, come l'attenzione e le strategie di elaborazione che dipendono dalla corteccia prefrontale.
I numeri romani, per esempio, erano inadeguati per gestire quantità come milioni o miliardi. Alcune società primitive si fermano ancora oggi a "uno, due, tre, tanti", incapaci di concepire numerosità maggiori.
Anche noi, con i nostri sistemi numerici avanzati, facciamo fatica a visualizzare veramente grandi numeri. Un milione sembra già un'astrazione, ma considerate questo: se iniziaste a contare un numero al secondo, quanto tempo vi servirebbe per raggiungere un miliardo? La risposta è sbalorditiva: quasi 32 anni di conto ininterrotto, 24 ore al giorno. Questa difficoltà nel concepire scale numeriche così ampie rivela quanto le nostre percezioni siano ancorate alle dimensioni della nostra esperienza quotidiana.
La conoscenza scientifica non si limita a fornire strumenti di misurazione - telescopi per osservare le stelle, microscopi per esplorare l'infinitamente piccolo, spettrometri per analizzare lunghezze d'onda invisibili. Più profondamente, la scienza ci offre nuove "parole" per descrivere realtà altrimenti ineffabili.
Come argomenta Feynman nella sua riflessione sul rapporto tra arte e scienza, la comprensione scientifica di un fiore non ne diminuisce la bellezza, ma la moltiplica. Alla bellezza visibile si aggiunge quella dei processi cellulari, dell'evoluzione che ha plasmato i colori per attrarre gli impollinatori, delle complesse interazioni ecologiche. La scienza, sostiene il fisico, può solo arricchire la nostra capacità di meraviglia.
La sensibilità, dunque, non è un dono fisso ma una capacità che può essere coltivata e sviluppata. Proprio come un musicista allena l'orecchio per percepire sfumature armoniche impercettibili ai più, la formazione scientifica e matematica ci permette di sviluppare una sensibilità verso aspetti della realtà che altrimenti ci rimarrebbero nascosti.
In un'epoca in cui siamo bombardati da informazioni e dove la distinzione tra reale e virtuale si fa sempre più sottile, questa riflessione sulla natura soggettiva della percezione acquista un valore particolare. La scienza non ci offre una verità assoluta, ma ci fornisce strumenti sempre più raffinati per esplorare, descrivere e condividere la ricchezza del mondo che ci circonda.
Forse la vera lezione è che ogni forma di conoscenza - artistica, scientifica, matematica - è un modo per ampliare la nostra gamma percettiva, per vedere oltre i limiti dei nostri sensi e per comunicare visioni del mondo che altrimenti rimarrebbero private e incomunicabili. In questo senso, la matematica e la scienza non sono freddi strumenti di analisi, ma linguaggi poetici che ci permettono di cantare la complessità dell'universo.
Gianrico Carofiglio, "Testimone inconsapevole"; Sellerio, Palermo, 2002.
Stanislas Dehaene, "Il pallino della matematica"; Mondadori, Milano, 2010.
Richar d P.Feynman, "Il piacere di scoprire"; Adelphi, Milano, 1999.
Jacque Mehler & Thomas G. Bever, "Cognitive capacity of very young children." Science, 158(3797), 1967, pp. 141-142.
Jean Piaget, "La genesi del numero nel bambino"; La Nuova Italia, Firenze, 1968.
Eugene P. Wigner, "The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences." Communications in "Pure and Applied Mathematics", 13(1), 1960, pp. 1-14.