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80 anni pieni di futuro

«C’è una giornata che contiene cinquant’anni, tutta la prima metà del secolo: è il 25 aprile», così diceva Bernardo Bertolucci commentando la sua scelta di far partire il suo capolavoro, Novecento, da quella giornata fatidica.
Non sbagliava certamente, Bertolucci: la guerra civile europea ha rappresentato, con la seconda guerra mondiale e la lotta di Liberazione contro il nazismo e il fascismo, una cesura che ha anche ridisegnato il mezzo secolo successivo.

Ma a distanza di ottant’anni da quel giorno scelto da Alcide de Gasperi come simbolo della nostra “redenzione” in seno al consesso civile che ci restituiva la dignità di popolo, ci sembra che quella linea spartiacque possa ancora determinare una linea d’orizzonte che allarga lo sguardo verso il futuro.

La Resistenza è ancora un oggetto con il quale si può entrare in dialogo e in contatto, qualcosa che riguarda tutte e tutti e che riesce ad irrorare, con il portato dei suoi valori, la formazione della memoria.

Il movimento resistenziale in questi ottanta anni, specie nel discorso pubblico, è stato oggetto di ideologizzazioni e poi purtroppo anche di revisionismi e distinguo. Il rischio oggi è quello di fare della Resistenza una sorta di “monumento” appiattito in un’immagine stereotipata e bidimensionale. Se pensiamo ad un monumento del resto, immaginiamo qualcosa di freddo (in genere i monumenti sono di marmo), distante e soprattutto immobile. Il monumento non si muove e non smuove.

A noi piace invece pensare all’atto vertiginoso della scelta di quelle donne e quegli uomini che fecero la lotta di Liberazione, scelsero di diventare Resistenti. La scelta fu quella di passare da soggetti passivi, che subiscono la Storia, ad attori che decidono di agire e ne diventano soggetti attivi, nella certezza che nessuna Storia è già scritta o deve per forza essere un destino e che una scelta individuale può contribuire a cambiarla, come diceva Marc Bloch. 

Questa è “la posa” eterna della Resistenza.

Tenere sempre chiaro che il nostro non è un Paese nato libero ma liberato è oltre che un’operazione di onestà intellettuale, una forma di rinforzo dei principi democratici: ricordare sempre contro chi e cosa si sono battuti i Partigiani è fondamentale soprattutto perché quella lotta, quella scelta che non fu solo dei Comunisti, ha creato, proprio per la diversità di chi la fece, gli anticorpi contro la dittatura e ha gettato le basi per la stesura della carta costituzionale, quindi è la spina dorsale della nostra democrazia.

Per restituire i colori a quell’esperienza, perché non sbiadisca in un’immaginetta devozionale edulcorata  (per chi l’apprezza) o  perché queste ragioni non vengano messe sullo stesso piano di chi semplicemente cercò di vivere e sopravvivere nel Paese occupato (e fu la maggioranza degli italiani)  o men che meno mettere sulla stessa linea retta da una parte le ragioni dei partigiani e dall’altra quelle “dei ragazzi di Salò” come improvvidamente fece qualche anno fa un Presidente della Camera dei deputati nel suo discorso d’insediamento (Luciano Violante 1996); per non confondere tutto come soffiando fumo negli occhi della Storia, bisogna soprattutto oggi, soprattutto in classe, portare l’indagine dentro la dimensione umana individuale, non solo collettiva, insomma far rivivere quei venti mesi, dall’8 Settembre 1943 al 25 aprile 1945, che sono il luminoso contraltare dei venti cupi anni della dittatura.

Assumere quello sguardo pieno di futuro e speranza di quelli che fecero la scelta dell’Antifascismo, una scelta che fecero soprattutto per i posteri, per noi e che noi dobbiamo continuare a fare ogni giorno.

Senza disperare ma anzi camminando “oltre”, come il Partigiano Johnny che “si sentì pieno di una sottile e quieta letizia nel trovare che egli, il nervoso, sottile cittadino era diventato più paziente dei contadini, pazienti come il più paziente dei loro buoi.”
(Beppe Fenoglio, Il partigiano Johnny, II, capitolo 34, Inverno 4).

Con la stessa forza e certezza, oggi più che mai, con le tenebre che sembrano volerci soffocare, noi saremo paghi di resistere, come l’ulivo di inverno. Perché alla fine, essere liberi è nulla, diventare liberi è il Paradiso. (J.B. Fichte).

 

Buon 25 Aprile, oggi e sempre!

 

Lorella Villa