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Ascoltiamo il silenzio

In questi giorni, si è parlato molto di studenti che, all'esame orale conclusivo del ciclo di scuola secondaria di secondo grado, hanno deciso di non parlare; la motivazione di questa scelta è stata comune, con alcune sfumature di differenza: la scuola non le/li rappresenta, non le/li ascolta, non è uno spazio in cui l'interazione con adulti e adulte è stata per loro un'esperienza generativa. 

Le reazioni a questi gesti sono state molte, prevalentemente esternazioni social; docenti, giornalisti, persone non direttamente coinvolte nel mondo della scuola hanno preso posizione nei vari schieramenti. Il 

Il Ministro del Merito, secondo la postura consueta, ha reagito promettendo la bocciatura, per l'anno prossimo, per chi dovesse decidere di praticare il "silenzio dell'orale". 

Il tema sollevato è di grandissima importanza, e reprimere la manifestazione di disagio e critica non servirà di certo a risolvere le molte complesse difficoltà della scuola contemporanea. 

Ci uniamo quindi alla lettera aperta promossa da un gruppo spontaneo di docenti, pedagosti, per affrontare in modo serio e competente le richieste di giovani adulte e adulti che chiedono una scuola vera, un luogo di apprendimento e di riconoscimento. 

Sosteniamo, inoltre, la petizione per allargare il sostegno a chi chiede al Ministro un atteggiamento di responsabilità, che passi dall'ascolto e non dalla punizione. 

Link alla petizione: https:/ /www.change.org/ascoltiamoglistudenti

 

LETTERA APERTA
DI DOCENTI, EDUCATORI, PEDAGOGISTI, CITTADINI
«Chi non fa l’orale sarà bocciato!»
È tutto qui? È davvero questa la risposta educativa di un Paese?
Negli ultimi giorni, alcune studentesse e studenti hanno deciso di non sostenere il colloquio dell’Esame di Stato e di non rispondere alle domande dei commissari. Alcuni di loro sono finiti sui giornali, tanti altri no. Si tratta di un gesto consapevole, radicale, pacifico, non dannoso nei confronti di alcuno. Si tratta anche della punta dell'iceberg di un disagio espresso da studenti che a scuola hanno un buon profitto e hanno raggiunto la sufficienza ancora prima di iniziare il colloquio. Se questi ragazzi ci dicono che la scuola non è un’esperienza da difendere, dovremmo chiederci cosa ne pensino gli altri che non possono permettersi di non fare l’orale.
In risposta a questo, però, da più parti è stata invocata la bocciatura immediata per chi rifiuta di svolgere il colloquio. Una sanzione estrema. Ma è questa la risposta educativa che un’istituzione democratica dovrebbe dare?
Noi, che nella scuola ogni giorno viviamo la relazione educativa e ci confrontiamo con la complessità dell’apprendere e del crescere, non possiamo accettare che il dissenso sia represso, come se fosse un’azione disdicevole; noi sappiamo che una posizione dissenziente, quando è argomentata e frutto di riflessione critica, è uno dei risultati migliori della frequentazione con i saperi scolastici. Crediamo che la protesta di questi studenti – che non sono stati "svogliati" o superficiali o esibizionisti, ma portatori di un disagio lucido e di un pensiero critico – ci debba interrogare in profondità. Il gesto in sé, motivato come critica a un sistema, non va né idolatrato, né banalizzato o deriso. Va ascoltato.
1. E' un silenzio che va ascoltato, non punito
La scuola dovrebbe insegnare il rispetto per le opinioni differenti, perché è proprio nel confronto tra idee diverse che nasce il pensiero critico, che si cresce e ci si arricchisce, che si determina un miglioramento nelle pratiche e nelle norme. Gli studenti e le studentesse che hanno scelto di non sostenere l’orale hanno voluto denunciare l’inadeguatezza di una prova finale che si presenta come rito formale e competitivo, più orientato alla classificazione che al riconoscimento del percorso compiuto. Che senso ha, davanti a una manifestazione di dissenso consapevole, a un rifiuto che interpella il sistema, reagire come se il comportamento che non rientra negli schemi abituali fosse una minaccia da cui difendersi con la punizione anziché un diverso punto di vista da accogliere con l’ascolto? Eppure nelle aule gli insegnanti dicono spesso: "Vogliamo formarvi come cittadini critici, consapevoli, capaci di pensiero autonomo"
Queste ragazze e questi ragazzi hanno lanciato un messaggio che dobbiamo e vogliamo raccogliere. Hanno protestato in maniera più che lecita, all’interno delle regole, esercitando il silenzio, visto che le loro parole, durante gli anni di scuola, sono rimaste inascoltate. È un silenzio che segnala frustrazione, che chiede attenzione, che interroga. È potente e disarmante.
2. La valutazione, oggi, è più un meccanismo di selezione che di orientamento e crescita
Da decenni, la ricerca pedagogica e psicologica ci ricorda che la valutazione efficace non misura soltanto, ma guida e sostiene l’apprendimento. È un processo formativo e non solo certificativo, che deve avere valenza emancipativa: deve riconoscere la persona nella sua interezza, accompagnare, orientare, rendere visibili i progressi, aiutare a trovare senso nel proprio percorso, valorizzando l’apprendimento come crescita e non solo come prestazione.
Purtroppo, nella pratica quotidiana, la valutazione finisce spesso per assumere un ruolo diverso, diventando strumento di controllo, di classificazione, spesso di esclusione e, nei casi estremi, di mortificazione. E l’Esame di Stato – che dovrebbe rappresentare un momento conclusivo di riflessione sul proprio cammino – si configura come una procedura standardizzata, molto lontana dalle reali competenze e potenzialità dei singoli studenti.
Una scuola che voglia preparare i giovani alla vita e alla cittadinanza dovrebbe promuovere percorsi individualizzati e cooperativi, dovrebbe valutare in modo autentico.
3. L’Esame così com’è non rappresenta la complessità dell’apprendimento
Non intendiamo negare il valore simbolico e sociale dell’Esame di Stato. I riti di passaggio – quelle soglie in cui ci si ferma per guardare al cammino già percorso e meditare su quello da intraprendere - sono fondamentali, in quanto parte integrante dell’esperienza educativa e, se ben costruiti, possono essere strumenti potenti di consapevolezza e responsabilizzazione. Ma ci chiediamo: quale passaggio stiamo celebrando? E in che modo? Perché sul voto finale pesano più tre giorni di cinque anni? Quale conclusione del quinquennio avrebbe un senso? Per quale idea di apprendimento?
Oggi si rischia di disconoscere l’esperienza quotidiana, il lavoro lungo e complesso di crescita, di scoperta, di maturazione. Prestazioni che si riducono a prove di resistenza, più che a occasioni di confronto, sono uno specchio distorto della scuola che vorremmo. Ci domandiamo se non sia venuto il momento di rimettere mano con serietà all’intera struttura dell’Esame di Stato. Non parliamo di semplici aggiustamenti, serve una visione nuova, capace di ricollegare il momento conclusivo alla realtà viva del percorso di apprendimento, con i suoi tempi lunghi.
4. Un appello all’ascolto e alla responsabilità educativa
Tutte le ricerche sociali sugli adolescenti dicono chiaramente che nelle nostre scuole cresce il malessere, anche i report annuali dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS). Ansia, senso di inadeguatezza, sfiducia, noia. E non sono solo numeri, sono volti, storie, vite. Sono le ragazze e i ragazzi che ogni giorno ci affidano le loro inquietudini, i loro desideri, le loro domande. Quello che è accaduto – il gesto di chi ha scelto di tacere – è un segnale che ci chiede di fermarci, di ascoltare, di ripensare. E allora, come educatrici, educatori, insegnanti, formatori, studenti, cittadini, vogliamo chiedere con forza:
● che l’ascolto degli studenti non sia vissuto come una minaccia, ma come una risorsa per migliorare la scuola;
● che le scelte politiche non si limitino ad approcci sanzionatori e colgano questi segnali come opportunità educative e democratiche, come occasioni di ascolto e valorizzazione del punto di vista degli studenti;
● che si riapra la questione sulla valutazione del “comportamento”, sempre più simile ad una condotta acquiescente che ad una partecipazione culturale responsabile;
● che si promuovano percorsi di valutazione autentica, cooperativi e orientati allo sviluppo delle competenze e della persona;
● che si apra una riflessione pubblica, seria e partecipata sull'Esame di Stato, sulla valutazione, sulla scuola pubblica.
 
Firmiamo questo appello per prenderci la responsabilità di ripensare l’Esame di Stato, la valutazione, la scuola.

 

I primi promotori di questa petizione sono:

MCE – Movimento di Cooperazione Educativa

Rete degli Studenti Medi

Rivista Animazione Sociale

Scuola del Gratuito

UdS - Unione degli Studenti

Unione degli Universitari di Urbino

Alessia Barbagli, insegnante, formatrice e scrittrice

Alex Cittadella, insegnante e scrittore

Alex Corlazzoli, maestro e giornalista

Alfonso D’ Ambrosio, dirigente scolastico

Armando Bottazzo, insegnante

Anita Montagna, orientatrice

Carla Gueli, pedagogista

Daniele Novara, pedagogista e scrittore

Diana Serrazanetti, insegnanteEraldo Affinati, insegnante, giornalista e scrittore

Giacomo Forti, dirigente scolastico

Giulietta Stirati, insegnante

Giulio De Vivo, maestro e formatore

Giulio Iraci, insegnante e formatore

Giuseppe Bagni, ex presidente CIDI (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti)

Giuseppe Buondonno, insegnante

Gloria Calì, insegnante, direttrice rivista Insegnare del CIDI (Centro Iniziativa Democratica Insegnanti)

Guido Benvenuto, pedagogista, professore ordinario in metodologia della ricerca educativa

Laura Turuani, psicoterapeuta e scrittrice

Ludovico Arte, dirigente scolastico

Osvaldo Di Cuffa, dirigente scolastico

Michele Arena, educatore e scrittore

Michele Marmo, pedagogista e presidente di Associanimazione

Roberto Camarlinghi, direttore della rivista Animazione Sociale

Simona Marinangeli, pedagogista indipendente

Stefano Laffi, sociologo

Valentina Felici, insegnante e formatrice

Valentina Grion, pedagogista, professoressa ordinaria di pedagogia sperimentale

Vincenzo Arte, insegnante, formatore e scrittore

Vincenzo Brancatisano, insegnante, giornalista e scrittore