Le testimonianze autobiografiche
Raccontateci il vostro incontro con l'educazione linguistica: i modi e le ragioni della scoperta, le letture fatte, i maestri di riferimento, i gruppi di lavoro, lo scambio tra colleghi e soprattutto le esperienze didattiche...
Inviate i vostri racconti a redazioneinsegnare2010@gmail.com ; oggetto: "Io e l'Eld"
Carola Feltrinelli, Lina Grossi, Silvana Serra, Roma |
Correvano gli anni Sessanta e si affacciavano nelle università stimoli di non poco conto: dagli studi linguistici - scrive Maria Corti: “la lingua italiana degli anni sessanta era irrequieta” - a quelli antropologici che offrivano uno sfondo affascinante per l’interpretazione dei diversi fenomeni culturali, fra cui la letteratura ( Levy Strauss, Northrop Frye). Già sui banchi del liceo, letture critiche di tipo formale (Spitzer, Contini) avevano aperto la strada a nuove prospettive linguistiche e stilistiche, a molteplici filoni interpretativi del testo letterario alternativi allo storicismo o alla filologia e avevano preparato un terreno culturale fertile per l’introduzione di nuovi metodi di natura formalistica. Era dunque inevitabile che coloro che iniziavano a insegnare e intraprendevano un personale percorso di formazione, si proiettassero alla ricerca di un approccio didattico in sintonia con il clima di novità che pervadeva il mondo della scuola tra gli anni Settanta e Ottanta. Del resto, gli studi di Umberto Eco avevano costituito per molti futuri Un salto di qualità fu prodotto dall’incremento delle scienze linguistiche e dalla riflessione condivisa tra accademia, associazionismo e docenti, confluita nella redazione delle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica (De Mauro T., 1975). L’impostazione linguistica e semiotica illuminò di immenso quanti in quegli anni di entusiastica e spesso confusa sperimentazione ricercavano in vari modi di coinvolgere in un apprendimento attivo studenti con una capacità di attenzione e di concentrazione sempre più labili. Da una parte, infatti, l’approccio semiotico poneva al centro dell’insegnamento l’oggetto testo, dall’altra, focalizzando l’attenzione sul rapporto emittente-ricevente-contesto, permetteva di far rientrare dalla finestra, rispetto a un approccio meramente linguistico, tutte le valenze positive del vecchio storicismo. In altre parole, l’aspetto innovativo consisteva nel fatto che l’applicazione di tecniche di tipo linguistico e semiotico avrebbe consentito, oltre ad un contatto diretto coi testi, di recuperare la realtà storica, sociale e culturale al centro dell’interpretazione storicistica, poiché tali tecniche “riportano in definitiva all'extratesto, illuminando per vie diverse tutta quanta la dialettica della storia culturale in senso sincronico e diacronico ” (Corti M. – Segre C., I metodi attuali della critica in Italia, pp.18/19). Rispetto alla scuola, va attribuito alla semantica un ulteriore merito, quello di aver spinto gli insegnanti a ”una diversa consapevolezza del rapporto coi destinatari di quel particolare tipo di comunicazione che è l'insegnamento e una diversa consapevolezza dell'insegnamento stesso come sistema informativo" (Terracini L., "I codici negati" , in Acutis C., Insegnare letteratura, p. 22).
La “centralità del testo”, come oggetto concreto intorno al quale si sviluppa l’apprendimento, risponde all’esigenza illustrata nel quinto principio (VIII tesi): “ Occorre sviluppare e tenere d’occhio non solo le capacità produttive ma anche quelle recettive, verificando il grado di comprensione di testi scritti o registrati e vagliando e stimolando la capacità di intendere un vocabolario sempre più esteso e una sempre più estesa varietà di tipi di frase”. Si trattava, per dirla con Sanguineti , di “tirarsi su le maniche, docente o discente, e di lavorare. Con i testi, con i codici, con i segnali, con le ideologie, con la storia. Il docente, allora, apra la sua bottega artigiana, meglio se adeguatamente sviluppata a livello altamente industrializzato e se dotata di opportuni strumenti tecnologicamente adeguati e di attrezzati laboratori, e lavora. E fa lavorare. La scuola non è un luogo dove si insegna. E nemmeno propriamente dove si impara. E' un luogo dove si produce ( si dovrebbe produrre) lavoro intellettuale. Lavorando, si impara, persino volendo. Proprio come nelle elementari (a leggere, a scrivere, a fare di conto). (Sanguineti E., "Appunti di didattica letteraria", in Acutis C., cit., p.16). Questo è quanto abbiamo applicato nella pratica didattica nella convinzione profonda che l’insegnamento dovesse trasformarsi da semplice trasmissione di sapere in attività di laboratorio, come luogo della ricerca e della creatività, per lo smontaggio e la ricomposizione del testo, per una maggiore attenzione ai tempi e agli stili di apprendimento dei singoli, per stimolare la curiosità e il gusto della ricerca personale, al cui interno la lezione frontale si trasforma in interattiva e cooperativa. I testi, in particolare quelli letterari, sui quali i nostri studenti di scuola secondaria di secondo grado erano chiamati a operare, spesso infrangevano il canone con incursioni nella contemporaneità e rispondevano al requisito della completezza. Il repertorio di regole per la “grammaticalizzazione” e la decodificazione del testo era tratto dai sacri testi della narratologia, campo di studi tutt'altro che omogeneo, caratterizzato da approcci disparati: dalla ricerca di una logica universale del racconto (Bremond, Bournef e Ouellet ma anche Scholes e Kellog), con particolare attenzione alla natura polisemica del racconto (Barthes), dall’analisi delle tecniche narrative (Genette, Chatman), alla elaborazione della tipologia attanziale (Todorov, Greimas). Le proposte di grammatica del testo, alla base della didattica in laboratorio, hanno tenuto conto anche della ricerca interdisciplinare di Segre, dell’impostazione sociologica di d’Arco Avalle, utile per esplorare i sistemi culturali. Per l’approccio al testo poetico, il riferimento primario sono stati gli studi di Lotman, affiancati da quelli più tecnici di Cohen sulla struttura del linguaggio poetico e di Elvert e Di Girolamo sulle tecniche di versificazione. L'intento - ieri e a maggior ragione oggi, con i frequenti e positivi rapporti instaurati tra teoria letteraria e nuove scienze cognitive - rimane quello di formare un lettore/interprete in grado di dialogare con il testo, un lettore con un bagaglio di conoscenze e competenze che gli consentano di addentrarsi più o meno in profondità nella molteplicità delle dimensioni e dei significati di un testo, letterario e non. Perché un à rebour a più mani? Ricostruire a distanza di anni - di decenni, per la verità – i testi che hanno segnato le tappe più significative di un percorso comune di educazione linguistica e letteraria è un’operazione non di recupero di una memoria individuale (cui prodest?) ma una rivisitazione di pagine e testi che si richiamano tra loro e che hanno lasciato tracce nel modo di insegnare nostro e di tanti altri insegnanti. Tracce che non sempre hanno prodotto risultati certi nella didattica quotidiana, ma che ancora oggi improntano le “Linee guida” ministeriali e sono quindi potenzialmente ancora vitali. |
Bibliografia Acutis C., a cura di, Insegnare letteratura, Parma, pratiche, 1972. |
|