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a cura di insegnarePer una fase costituente

07/05/2020

Tutti sub-costituenti?

di Marco Guastavigna

In questi due mesi si sono accumulati davvero parecchi contributi sulle sorti della scuola italiana.

Soprattutto i primi in ordine di tempo sono stati caratterizzati dall’urticante retorica dell’opportunità, che vedeva nella necessità di utilizzare strumenti di comunicazione telematica a seguito della chiusura degli edifici scolastici la possibilità di introdurre finalmente in modo massivo la “didattica digitale”.  Al centro, quindi, una formulazione gergale, che ciascuno può interpretare come vuole, e che di conseguenza è priva di un autentico significato culturale e professionale, dal momento che non declina in modo preciso intenzioni, metodi, contesti di applicazione, risultati attesi ed effettivi. E spesso nemmeno gli strumenti: gravissimo perciò che questa sia stata la posizione di molti rappresentanti delle istituzioni, centrali e periferiche.

Altro insieme compatto e riconoscibile è stato quello del rifiuto aprioristico di qualsiasi soluzione di organizzazione logistica delle pratiche didattiche e delle (residue) relazioni diversa da quella tradizionale.  Del resto, la polarizzazione è una delle caratteristiche fondamentali della società della conoscenza sorvegliata, risorsa produttiva del mercato: esprimersi e far esprimere in termini assoluti (sì versus no) su qualsiasi argomento consente infatti alla politica ridotta a comunicazione manipolatoria del consenso di agire attraverso forme di plebiscitarismo continuo. Si passa da un sondaggio al successivo, e si impedisce di conseguenza qualsiasi dialettica autenticamente e incisivamente critica. Con il mirabile ausilio della frequentazione dei “social”, divenuta ormai collettiva e compulsiva istanza di pseudo-partecipazione.

Fragilissima, infine, la posizione “intermedia” tra entusiasmo e rigetto, imperniata su una – assolutamente ingenua ma dannosa, perché invisibilizzante – neutralità degli strumenti tecnologici impiegati, che invece (lo dicono tutti gli studi in merito) implementano visioni del mondo, del lavoro, della conoscenza, dell’istruzione e dell’apprendimento. Questa consapevolezza e la conseguente necessità di pensiero davvero analitico, anzi, hanno avuto fino ad ora ben poco spazio nel dibattito, perché rendono necessari studio, analisi, confronto, tempo e così via.

In questo contesto - davvero problematico proprio perché non autenticamente problematizzato -, di recente è stata avanzata una proposta su cui finalmente vale la pena non di schierarsi, ma di riflettere, ovvero l’apertura nelle scuole e nelle università di un approccio “costituente”.

È un approccio davvero suggestivo, perché riconosce la difficoltà globale e strutturale dell’istruzione a fronte dell’emergenza sanitaria, soprattutto se quest’ultima dovesse prolungarsi, e nello stesso tempo non indica una soluzione preconfezionata, ma piuttosto la necessità di analizzare la situazione da più punti di vista, per arrivare a costruire in modo condiviso un percorso che tenga conto di diversi fattori.
Dall’analogia con la Costituente – quella nobile, quella animata dallo “spirito del C.L.N.”, non le sbiadite imitazioni successive – possiamo poi trarre importanti indicazioni di metodo e di autentica pratica democratica.
I costituenti si sono mossi nell’ambito di un mandato popolare reso completo dal voto alle donne e autore della scelta repubblicana. La cultura della Resistenza aveva loro consegnato il compito politico di concepire e normare istituzioni che fossero antidoto procedurale, civile e morale a ogni forma di dittatura e di potere autoritario: di qui la scelta della centralità della rappresentanza parlamentare. Molti di essi, inoltre, si ispirarono nel dibattito e nelle risoluzioni al principio della democrazia progressiva, con al centro i diritti del lavoro, in termini di dignità e di partecipazione attiva, di cittadinanza individuale e collettiva. Su queste basi, il dibattito vide momenti di confronto anche aspro e però ebbe come finalità costante e come risultato effettivo la convergenza e la sintesi.

Bene, in quanto aspiranti costituenti della scuola dovremmo seguire questo semplice ma chiarissimo insegnamento: cominciare a cercare i punti di incontro.
Il tempo delle task force, degli appelli identitari, delle dichiarazioni provocatorie, delle scorciatoie operative, dell’occupazione degli spazi professionali, sindacali e associativi, dei “colpi” e dei colpetti mediatici, della narcisistica compilazione di rubriche editoriali, insomma, deve finire. Detto in modo sintetico, il soluzionismo identitario e prêt-à-porter – il cui unico esito certo è la polemica e il cui scopo troppo spesso e troppo palesemente è stato far parlare di sé – è ormai asfittico, privo di sbocco e, anzi, controproducente
Senza identificare il problema da affrontare, infatti, non è possibile nemmeno tentare di abbozzare risposte utili e unificanti perché convincenti. E convincenti perché pluridimensionali e multilaterali, frutto di un patto, intenzionale e trasparente, di cui la scuola della Repubblica ha estremo bisogno. Perché in grado di considerare tutti i filoni (sanitari, logistici, finanziari, giuridici, contrattuali, culturali, metodologici, psicologici, sociali, ecologici – e sto certamente dimenticando qualcosa) che concorrono a costruire l’istruzione, che deve essere considerata nei suoi aspetti endogeni ma anche esogeni, in particolare per il fatto che le prossime scelte dovranno fare i conti con esigenze di sostenibilità nel tempo.

Nell’attuale situazione, l’approccio costituente, inoltre, ci orienta anche in merito alla libertà di insegnamento: essa è scelta decondizionata e decondizionante e deve essere una dimensione della sfera pubblica, in cui avere la piena e - appunto - libera responsabilità del senso professionale e della valenza culturale delle opzioni attivate su apprendimento e didattica. La Carta assegna questa garanzia alla scuola in quanto istituzione con un compito costituzionale fondamentale: “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Se – come sembra – ci si prospetta una socialità limitata dalla separazione e dall’isolamento, la priorità “costituente” e capace di unificare le riflessioni e i punti di vista è, insomma, facilmente individuabile. Si va infatti configurando per l’apprendimento un “ostacolo di ordine sociale” di nuova generazione, ormai innegabile: se non affrontati e non compensati, si profilano restringimento e carenza di quegli spazi comuni di relazione, di quei territori di equità e di quei luoghi di socializzazione tutelata ed emancipante assicurati dalla scuola che abbiamo conosciuto fino a due mesi orsono.

Apriamo una fase due anche nel dibattito.

Apriamo uno spazio di analisi, confronto ed elaborazione condivisa, finalizzato a raccogliere idee, interpretazioni e proposte per la salvaguardia e la ridefinizione dei presupposti fondanti della scuola pubblica, quale dovrebbe derivare dal mandato Costituzionale.

Perché questa esigenza

Va da sé che se si sente questa esigenza è perché si ritiene che
- la scuola non riesca da tempo ad assolvere al proprio compito istituzionale;
- non siano adeguate, se non controproducenti, le stesse ipotesi di cambiamento adottate o emerse  in questi ultimi anni;
-  le recenti drammatiche vicende legate all'emergenza sanitaria e al modo di fronteggiarla abbiamo prodotto ulteriori danni;
- le prospettive per il futuro, come si vengono profilando, non facciano che alimentare perplessità e preoccupazioni.

Lo spazio è aperto a chiunque voglia partecipare alla riflessione, a partire da alcuni punti fermi che andremo esponendo nei primi contributi di orientamento e messa in campo dei problemi.

Il fine ultimo è ridare forza, senso e prospettiva alla funzione istituzionale, democratica ed emancipante della scuola pubblica, che è stata duramente messa alla prova da decenni di impoverimento di risorse e di inquinamento del suo ruolo costituzionale. Il processo stesso con cui ne è stata sancita l'autonomia istituzionale  ha avviato un processo di involuzione deistituzionalizzante e la scuola non è mai sata così asservita alle logiche esterne, ai processi di mercificazione di ogni sua componente, ai portatori di altri interessi, come da quando è, almeno e del tutto solo formalmente, "autonoma".

Lo stato di crisi e le conseguenze dell'emergenza sanitaria

Alti tassi di abbandono, profonde disuguaglianze distribuite tra e dentro i territori, canalizzazioni diseguaglianti precoci e rigide, esiti nel complesso insoddisfacenti rispetto a parametri diversi, confusione estensiva sulle finalità da perseguire e le metodologie da adottare, sistema di valutazione ossessivo sempre più orientato al condizionamento e meno alla ricerca: la scuola italiana presentava lacune anticostituzionali anche prima dell'emergenza sanitaria e della conseguente chiusura delle scuole come spazio fisico e relazionale in condizioni di prossimità.

Questa circostanza e il modo con cui è stata gestita non ha fatto che peggiorare le cose.

E ora, appare assai elevato il rischio che qualcuno voglia costruire il futuro usando le macerie dell'emergenza, alcune inevitabili altre meno, come pietre miliari del mondo nuovo, senza una adeguata riflessione critica sulle macerie che già avevamo alle spalle, sulle contraddizioni dell'esistente,  su ciò che le ha prodotte, su quanto è davvero avvenuto e sulle teorie e gli interessi che si propongono di reiterarlo.

Il ragionamento sull'incidenza dell'uso delle tecnologie dell'informazione, della comunicazione e, secondo alcuni, anche dell'apprendimento non vorremmo  fosse il centro della discussione. Anzi, se esasperato e ridotto a schieramenti contrapposti, diventa un falso problema, ma inevitabilmente, per la stagione che stiamo vivendo, è un passaggio ineludibile. Forse anche un punto di partenza.

Prima, durante, dopo...

Il "prima" non era certamente sempre e ovunque una condizione verso cui desiderare un ritorno senza cambiamenti; il "durante" è stato traumatico e limitante ma certamente anche nelle emergenze si può imparare; per il "dopo" è bene diffidare sia di chi ha già individuato nell'emergenza soluzioni prêt-à-porter, sia di chi nega ogni eventualità di cambiamento indotto da ciò che abbiamo attraversato. Ciò che conta, forse, è guardare al tutto nella prospettiva di una nuova normalità da riconquistare, magari migliore della precedente, in parte  nuova, ma che non abbia i tratti di una eterna emergenza. E soprattutto non sia un trucco per intensificare alcune costrizioni dell'emergenza, spacciandole per ormai radicate o immodificabili. A partire dal "distanziamento".

Da ogni tipo di distanziamento, umano, sociale, politico, tecnologico e culturale in primis.  Il primo obiettivo da cui liberare noi tutti, e anche la scuola e le sue didattiche, sarà proprio la distanza imposta o obbligata, per riconquistare nuove forme di vicinanza, di lavoro cooperativo e di equità, nella quali la solitudine o la separatezza siano scelte reversibili e non imperativi o stati di necessità. 

23 maggio 2020 - Mario Ambel, Marco Guastavigna, Luigi Tremoloso

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