Home - i/stanze - l'arte politica - Abolire le bocciature

di Mauro Pirasl'arte politica

09/04/2014

Abolire le bocciature

Funziona così...

La scena è questa. Esame orale di recupero del debito (vulgo: esame di riparazione), greco e latino, due anni fa. La ragazza dovrebbe entrare in terza liceo classico, cioè al quinto anno. Non sa niente. È imbarazzante, anche per uno come me, a digiuno di greco e latino dai tempi della maturità. Non capisce, non sa, non ha le competenze fondamentali. Che cosa vuoi fare, la promuovi? Sarebbe assurdo, ingiusto nei confronti di quelli che sanno, perché hanno studiato. Guardo fuori, il sole di settembre, l’aria leggera. Mi piacerebbe essere giù al bar, non dovermi prendere questa responsabilità. So già però che finirà così, che allo scrutinio dovremo bocciarla. Non è accettabile promuovere una persona in queste condizioni. Guardo la ragazza. La conosco bene, ma la guardo ancora. La famiglia è italo egiziana; una famiglia modesta, culturalmente povera. Lei non è motivata, è pigra, debole psicologicamente. Ha bisogno di molto sostegno, lo so; ma anche così rende poco. E poi con il greco e il latino, con i fondamentali del liceo classico, non c’entra niente. È fuori contesto. Ma l’abbiamo portata fin qui, e adesso non possiamo che bocciarla.

Mi chiedo come se ne possa uscire. Non si può. Nel suo caso è impossibile. So che dobbiamo fare una cosa che mi fa infuriare, perché il segno classista di questa bocciatura è evidente, stampato a chiare lettere. Ma date le norme e i risultati dell’esame, non c’è altro da fare. Mi dico che dovrò essere molto più vigile, nei consigli di classe, perché non si creino in futuro situazioni del genere. Bisogna lavorare per prevenirle presto: riorientare in fretta i ragazzi che non sono adatti alla scuola, seguire con più impegno quelli che decidono di restare. Si sanno, queste cose. Ma il problema è più radicale, mi dico. Se bocci, sei esposto sempre a questi rischi. Poi, che si facciano o meno gli esami di riparazione (di recupero del debito, come si dice ora), il problema resta lì.

E comincio a pensare: come si potrebbero eliminare le bocciature senza rendere la scuola troppo permissiva? Ci penso, mi viene in mente un’idea, mi convinco. Le bocciature vanno abolite, cambiando però un bel po’ di cose.

Adesso finalmente se ne discute

Solitamente, quando si parla di scuola, o si parla di emergenze, o si parla di questioni relativamente marginali. Da un lato ecco le emergenze “strutturali”: il precariato, il rinnovo del corpo docenti, le loro retribuzioni, l’edilizia scolastica, i finanziamenti. Dall’altra, iniziative di modernizzazione importanti, sì, ma surreali, e marginali, in questo quadro desolante: la digitalizzazione, per esempio. E così non si parla quasi mai della cosa fondamentale. E cioè che la scuola italiana è da ripensare nell’organizzazione della didattica, perché è troppo rigida, sotto tutti i punti di vista: le classi, i programmi lineari, i sistemi di verifica e di valutazione, le promozioni e le bocciature.

Ora si parla, finalmente, anche di bocciature cercando per loro la chiave di volta di una idea diversa di didattica. Se ne parla in particolare da quando tempo fa la ex ministra Carrozza fece una breve dichiarazione sulle bocciature. Niente di eccezionale, a dire il vero. Disse solo che si dovrebbe bocciare di meno, che la bocciatura è un fallimento, perché implica uno spreco di risorse per le famiglie, la società e lo stato, che bisognerebbe fare di tutto per evitarle, con corsi di recupero ecc. Cose che si sanno. Ma è utile sottolinearle. Bisognerebbe però essere molto più radicali e aprire un dibattito su questa domanda: le bocciature servono a qualcosa?  Bene ha fatto insegnare a porre la questione e a volere aprire un confronto sul tema.

La mia impressione è che le bocciature non servano a niente; e inoltre, oggi, colpiscono quasi solo le stesse classi sociali, quelle più svantaggiate culturalmente. Ciò non vuol dire sempre le più svantaggiate economicamente, ma il capitale che permette a una persona di realizzare una ascesa sociale, di migliorare le proprie condizioni non è solo economico, è anche culturale e sociale. Inoltre, nel contesto di questa crisi economica, i lavoratori più deboli sul piano delle competenze sono quelli che fanno più fatica a reinserirsi nel mercato del lavoro, quando perdono il posto. Quindi è cruciale chiedersi se una scuola che boccia, e boccia sistematicamente verso il basso della scala sociale, vada mantenuta. I dati mostrano che le bocciature sono uno dei fattori che favoriscono la dispersione scolastica. Inoltre, la maggior parte dei ragazzi bocciati non migliora quasi mai la propria carriera scolastica dopo la bocciatura. Tutto questo a fronte di un maggiore investimento da parte della famiglie, di una perdita di tempo (di vita), di un maggiore uso di risorse da parte della scuola pubblica.  E ovviamente di crisi di autostima, difficoltà psicologiche, crollo della motivazione ecc. ecc.

Una grande occasione

A quanto pare, quindi, questi costi sono troppo alti, visti i risultati. La soluzione allora è a portata di mano: abolire le bocciature. È una grande occasione per ripensare alcune strutture fondamentali della didattica.

È ovvio infatti che non si possono abolire le bocciature mantenendo il sistema attuale di verifica e di valutazione. La scuola ha il compito di garantire la formazione degli studenti, e deve farlo in maniera giusta, come è ovvio. Quindi è indispensabile un sistema di valutazione, che funzioni da un lato da incentivo, premiando chi fa bene e sanzionando chi fa male, dall’altro come giusto compenso. Non si può certo sperare che gli studenti studino solo perché ne hanno voglia, per quanta energia si possa mettere per entusiasmarli. Se si abolissero le bocciature senza modificare la struttura attuale della didattica, si avrebbe questo effetto: gli studenti che non fanno niente, o che comunque non riescono ad apprendere, per qualsiasi ragione, arriverebbero al diploma come tutti gli altri. Questo sarebbe profondamente ingiusto nei confronti di chi invece studia con impegno e impara; inoltre, un fallimento anche per quegli stessi studenti, a cui si darebbe un pezzo di carta senza avergli realmente insegnato qualcosa; infine, il lavoro degli insegnanti, in queste condizioni, sarebbe impossibile.

Insomma, comunque la si prenda, va male: se si boccia, si commettono ingiustizie e non si garantisce il successo formativo; se non si boccia, idem. È evidente che bisogna cambiare qualcosa nella struttura della scuola stessa, perché si possano abolire le bocciature.

Bisogna abolire il gruppo classe e modificare del tutto la natura del diploma che si rilascia alla fine.

Facciamo due ipotesi. Andrea si iscrive a un liceo scientifico. Va molto male in matematica, scienze e latino. Se esistesse la possibilità di formare in modo, come dire, “modulare” il proprio curriculum, fin dall’inizio si potrebbe dire ad Andrea non di cambiare scuola, ma di scegliere un curriculum in cui queste materie non ci sono (nel caso di latino) o sono meno importanti. Giulia invece, iscritta alla stessa scuola, va male solo in latino; per il resto ce la fa. È la tipica situazione da materia a settembre. Ma se non si boccia, non si rimanda neanche. Allora come si fa? Così. L’anno successivo, Giulia, che per esempio in latino ha 4, quindi è molto scarsa, ricomincia il corso di latino dal primo anno, mentre i suoi compagni vanno avanti al secondo anno; in tutte le altre materie, in cui è sufficiente, Giulia va anche lei al secondo anno. Se nel corso del suo secondo anno recupera, va avanti in latino restando indietro di un anno; se recupera in fretta e molto bene, può accelerare e fare anche il secondo anno, e riallinearsi. Supponiamo che Giulia arrivi in fondo, al quinto anno, senza avere recuperato l’anno di latino. Nel suo diploma non ci sarà scritto semplicemente “Diploma di liceo scientifico”, ma ci sarà scritto che il suo livello è buono in matematica, eccellente in scienze, sufficiente in storia, e insufficiente in latino, nella misura del ritardo di un anno di corso. O altre formule che permettano di esprimere il reale livello raggiunto da Giulia nelle singole materie. Questo livello è definito dal punto del percorso che lo studente è riuscito a raggiungere.

È ovvio che per fare questo bisogna eliminare il gruppo classe. Non ci devono essere classi che vanno avanti tutte intere, tolti i bocciati, per cinque anni, ma si devono formare gruppi che ogni anno si iscrivono al corso di una disciplina; questi gruppi non sono sempre uguali, perché ci possono essere quelli che sono rimasti indietro, o che hanno cambiato curriculum, che si inseriscono più tardi rispetto all’inserimento “naturale”. In un corso di matematica del terzo anno ci saranno molti studenti di sedici anni, ma anche qualcuno di diciassette o diciotto (e anche, perché no, qualcuno di quindici, se per esempio è “più avanti”). Chi lavora di meno, avrà alla fine un diploma in cui si dice che sa di meno. È molto importante che cambi la natura del diploma rilasciato. Non serve a nulla dare un diploma “onnicomprensivo” che dice solo “Diploma di liceo classico”. Un titolo del genere implica che chi lo ha sa il greco. Però se è stato un ciuccio per cinque anni e non sa niente di greco, e l’ha sfangata comunque, questo non risulta dal diploma. Il diploma deve elencare le materie fatte e le competenze raggiunte. La vera certificazione deve essere questa, delle competenze raggiunte in ogni singola disciplina. Se lì è scritto che di greco non sai niente, questo conta. Ma che interesse può avere una persona ad avere un pezzo di carta in cui c’è scritto che non sa niente?

In sintesi, ci vuole un sistema molto elastico, in cui vengano aboliti i gruppi classe e i diplomi “onnicomprensivi”, privi di specificazioni. E forse anche gli indirizzi di studio. O meglio, gli indirizzi devono essere meno rigidi. Pensiamo al caso di Andrea, all’inizio. Se, scegliendo lo scientifico, ha sbagliato, oggi deve cambiare scuola. Perché o fai lo scientifico, o fai il classico, o fai il tecnico ecc. Questi indirizzi sono spesso diversi come realtà fisica (sono cioè collocati in edifici scolastici diversi), e anche quando sono nello stesso edificio, sono un unico blocco, per così dire, e trasferirsi dall’uno all’altro non è mai facile. C’è il nulla osta, la domanda di trasferimento, l’esame di idoneità. E poi, siccome ci sono le classi, magari Andrea non vuole lasciare la sua classe. E non vuole lasciare l’ambiente della sua scuola, ecc. Se invece gli indirizzi fossero concepiti come componibili, per moduli, la cosa sarebbe più semplice. Andrea va male in matematica, scienze e latino? Intanto, non dovrà più fare latino, se non vuole. Poi, potrà scegliere un indirizzo in cui segue dei corsi di matematica e scienze diversi, e ne segue altri di altre materie. Ma perché non pensare che possa rimanere nella stessa scuola, continuare a frequentare alcuni corsi che già frequentava, con profitto, e cambiarne soltanto altri?

Tutte queste innovazioni sarebbero enormi, per la scuola italiana. Siamo in un sistema sempre più rigido, sempre più difficile da gestire. Ma sempre più fallimentare. Perché non pensare a un cambiamento radicale? Certo, a fronte della situazione reale, sembrano fantasie, esercitazioni retoriche e inutili. Nella realtà, vediamo cose sconfortanti come la girandola insensata dei docenti a ogni inizio di anno scolastico, giustificata solo da rigidità burocratiche che non hanno niente a che fare con la continuità didattica. Ma non risolveremo mai niente della nostra scuola, neanche queste difficoltà quotidiane, se non abbiamo un’idea forte del modello che vogliamo. Quindi iniziamo a costruirlo questo modello ideale. E un primo tassello è questo: fine dei gruppi classe, elasticità degli indirizzi e dei percorsi, abolizione delle bocciature.

 

Cercarono, dunque, di radunarsi e di salvarsi fondando città: ma ogni qualvolta si radunavano, si recavano offesa tra di loro, proprio perché mancanti dell’arte politica, onde nuovamente si disperdevano e morivano. (Platone, Protagora, 322b).

Di che cosa parliamo

La scuola non vive senza la politica e questa non vive senza la scuola. L’arte politica tiene insieme i cittadini nella giustizia, virtù che esiste solo se condivisa e acquisita in un processo educativo permanente. D’altro lato, le finalità sociali della scuola non possono realizzarsi senza una politica orientata a un’idea di eguaglianza e di giustizia. Discuteremo qui temi di attualità politica e politica scolastica, guidati dall’ideale di una società di cittadini eguali e liberi, che trova nelle istituzioni giuste e nella scuola le sue strutture fondanti.

L'autore

Insegna Filosofia e Storia al Liceo Classico “Gioberti” di Torino. Scrive di filosofia politica e teoria sociale, e di attualità politica. È tra gli autori del sito www.leparoleelecose.it.  Coordina il Seminario di Filosofia Politica presso il Centro Einaudi di Torino e si occupa di politica scolastica per il Dipartimento Istruzione PD di Torino.