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di Domenico Chiesasortirne insieme ...

30/10/2013

The Human Use of Human Beings

Perché il cambiamento della scuola sia nella direzione dell’emancipazione, è necessario uscire dalla sua subordinazione alla utilità economica che segna non poco la tendenza di molti opinion makers. Ecco un esempio da paradigma:

“Il problema della scuola italiana è innanzitutto di impostazione. A cosa mira la scuola italiana? Mira ancora a sessanta anni e passa dalla nascita della repubblica a ottenere una media distribuzione di cultura tra gli allievi. Questo obiettivo che poteva essere ragionevole nel dopoguerra, quando metà di questo paese era semianalfabeta e c’era un sacco di gente che firmava ancora con la croce adesso che siamo nell’epoca di internet e dei computer portatili, battersi perché in una classe emerga una media forse è sbagliato perché nel resto dl mondo invece la scuola serve a selezionare i migliori. Ovviamente bisogna trovare un sistema per cui quelli che migliori non sono possano avere un livello accettabile di preparazione e possano competere nella società al loro livello. Ma una scuola che non seleziona i migliori condanna tutti quanti, migliori e peggiori, a essere emarginati in quella competizione che ormai è una competizione globale. Cioè i nostri figli che vanno a scuola poi competeranno anche in Italia con i cinesi, i coreani, i giapponesi, i migliori che vengono dal terzo mondo. È con loro che dovranno fare i conti e se alcuni di questi provengono da sistemi scolastici in cui i migliori vengono selezionati, non a caso arrivano fino a qui a competere con i nostri, noi importiamo matematici e ingegneri dall’India, per esempio, ecco se i nostri non sono in grado di competere difficilmente troveranno lavoro”[1].

L’utilità economica dell’istruzione è una tesi antica, sostenuta, non solo a livello giornalistico, nell’intenzione di rivalutare la scuola e la necessità di riprendere a investire sull’istruzione. Una sintesi efficace si ritrova ora nel documento degli esperti nominati dal Presidente della Repubblica e chiamati a tracciare l’agenda possibile per rilanciare il sistema-Italia:

“Tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l’innovazione e l’aumento della produttività. (…) La formazione si interseca strettamente con ricerca, innovazione e sviluppo: di conseguenza, la sua efficienza dipende dalla rapida connessione di tutti questi elementi e, dunque, dalla capacità del nostro Paese di rendere quanto più “corta” possibile questa filiera." [2]

È facile rilevare come l’argomentazione non sollecita la svalutazione della scuola, al contrario trova un motivo forte, addirittura economico, di rivalorizzazione e rilancio. In realtà orienta la sua trasformazione in una logica rigidamente funzionalista e riduttivamente interna ai processi produttivi e di concorrenza internazionale.
In questa visione la scuola è piegata alla crescita di un capitale umano di qualità (…) per favorire l’innovazione e l’aumento della produttività. L’obiettivo diventa rendere quanto più “corta” possibile la filiera che unisce istruzione-innovazione-produttività.
Perché ridurre l’essere umano [3] a capitale umano e porre fine alla scommessa di costruire una scuola dell’emancipazione? Continuare a utilizzare il vecchio e inflazionato concetto di “capitale umano” tradisce lo scivolare nel pensiero unico che ci propone come un grande riconoscimento della “risorsa umana” il poterla nobilitare addirittura a “Capitale”.

Non è un’innovazione: è quanto la scuola, malamente, troppo spesso già si prefigge.

È una visione miope che finirebbe solo per non riconoscere la necessità di costruire motivazioni culturali e intrinseche allo studio; le uniche veramente in grado di migliorare i risultati dei processi di insegnamento/apprendimento. È una visione velleitaria anche in riferimento all’obiettivo di “assicurare nel medio termine una crescita economica in grado di riassorbire la disoccupazione e la sottoccupazione di cui è afflitto il nostro Paese”[4]. La scuola dell’infanzia e dell’adolescenza non può essere dosata in modo lineare sulle competenze professionali. Proprio la consapevole autonomia da tali vincoli le permette di sopportare la costruzione di quelle competenze culturali su cui si fondano  i futuri profili professionali.

La scuola, nell’infanzia e nell’adolescenza, è innanzitutto il laboratorio della convivenza democratica e l’obiettivo di garantire a tutti lo stesso livello di qualità d’istruzione è un fattore di crescita del benessere sociale non riducibile alla crescita della produzione e dei consumi
 

Note

[1]   Trascrizione fedele dell’intervento di Marcello Sorgi nel corso della trasmissione radiofonica “Prima pagina” (18 febbraio 2013) in risposta a una ascoltatrice di Trento che, nella veste di genitore, lamentava la pigrizia, la mancanza di motivazione e di empatia riscontrate in tanti insegnanti che avevano seguito il percorso scolastico del figlio.

[2] Frase con cui inizia il capitolo “Potenziare l’istruzione e il capitale umano” dell’Agenda possibile, "Relazione del Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea istituito il 30 marzo 2013 dal Presidente della Repubblica e composto da Filippo Bubbico, Giancarlo Giorgetti, Enrico Giovannini, Enzo Moavero Milanesi, Giovanni Pitruzzella e Salvatore Rossi"(12 aprile 2013).  Testo della relazione

[3] Faccio riferimento esplicito al provocatorio “Uso Umano dell’Essere Umano” tanto caro a Norbert Wiener, padre della cibernetica, che, parlando di macchine, ricorda che si deve operare “per un mondo in cui, agli uomini, debbono importare soprattutto le cose umane”.

[4] Cfr. Agenda possibile, cit.

 

Lettura consigliata

Kostantin Kavafis, Itaca

Di che cosa parliamo

Il nome della rubrica ne sottolinea la non neutralità: la scuola è un “organo costituzionale” in cui si coniuga il progetto di emancipazione e di crescita di ciascuno con un progetto di riscatto sociale, è un laboratorio della convivenza democratica, è per sua natura pubblica e laica.
Si cerca di sollecitare ragionamenti su che cosa rappresenti l’esperienza scolastica nella vita dei bambini e degli adolescenti sul piano culturale e su quello delle relazioni umane.
Tema ricorrente è l’estensione della scolarità fino a sedici anni e i necessari processi di innovazione che la possono rendere effettiva.

L'autore

Mi interesso di problemi educativi legati all’insegnamento/apprendimento nell’adolescenza.
La mia carriera di insegnante si è concentrata sul tentativo di passare da “professore” a “maestro”.  Sono stato Presidente Nazionale del CIDI.
Sono Presidente del Forum Regionale per l’Educazione e la Scuola del Piemonte.
Nel Cidi Torino collaboro alla costruzione di un Centro di ricerca-azione per gli Adolescenti.