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di Simonetta Fasoliscuola, tra il dire e il fare

17/05/2023

Il curricolo, un cantiere aperto

Ragionare sul curricolo di scuola, e della scuola come istituzione, rappresenta al tempo stesso un rischio e una chance. Nel primo senso, si tratta di immergersi in una tematica su cui esiste una letteratura di genere a dir poco sterminata, che si presta a molteplici approcci di indagine e di scelte “militanti”. Mi pare che esuli dal taglio di questa mia rubrica, dai modi con cui la immagino.

Più interessante e pertinente, invece, esplorare le dimensioni che apre una riflessione attorno all’oggetto-curricolo e soprattutto alle sue “condizioni di possibilità”. Per dire che è su quest’ultime che vorrei soffermarmi, ritagliando uno spazio di riflessione senza l’urgenza di dedurne implicazioni pratiche e suggerimenti operativi: per questi rinvio ai vari e pregevoli percorsi che caratterizzano le attività di formazione. Mi piace ricordare, al riguardo, l’intenso “maggio del curricolo” di cui parla con un significativo contributo Carlo Fiorentini [1]che dispiega il seminario nazionale del Cidi attraverso una serie di iniziative dei Cidi territoriali: programma in cui, come nello stile dell’associazione, una tradizione ventennale si declina e si rinnova con speciale attenzione alle problematiche “sporgenti” del presente.

“Condizioni di possibilità”, dicevo. Non tanto, dunque, cosa caratterizza un curricolo (in termini di contenuti strutturati, siano essi disciplinari o metodologici) ma come si configura all’interno del più complessivo lavoro progettuale della scuola e degli insegnanti, quali passaggi culturali postula.

Se un curricolo è, nella matrice del significato, un “percorso”, da dove cominciare? È in gioco una sfida di carattere culturale prima ancora che professionale, che sembra interpellare la scuola e gli insegnanti: si tratta di costruire l’ossatura del curricolo in termini di trame disciplinari.  Penso, insomma, che un buon inizio sia una rivisitazione delle discipline non come materie di studio, ma come corpi interconnessi di conoscenze, o se vogliamo grandi sistemi di narrazione del mondo e dello stare al mondo. Da questo punto di vista, il fine della costruzione curricolare non è la dissoluzione delle discipline, o, come qualcuno dice per attenuare l’espressione, il loro oltrepassamento. A mio avviso, questa istanza, che pure si legittima con la preoccupazione di evitare il disciplinarismo (malattia senile, o infantile, della progettazione disciplinare…) rischia di dare una risposta sbagliata a un problema reale. Le discipline, più che oltrepassate, vanno attraversate. È in questo itinerario, infatti, che si mettono alla prova i tratti essenziali della loro grammatica, della sintassi interna dei costrutti, del metodo di ricerca: in una parola, del loro statuto epistemologico, che, questo sì, non può essere dissolto se non si vuole approdare ad una trasversalità fumosa e funambolica. Le discipline, attraversate, mostrano al fondo il limite che le costituisce: sul limite, dunque, si incontrano per costruire una trama.

Lo statuto disciplinare, nel tessuto connettivo che definisce l'unitarietà articolata del sapere, richiede in tutti i segmenti del sistema educativo di istruzione e formazione, a partire dalla Scuola dell'Infanzia, una competente mediazione didattica che metta in discussione i paradigmi escludenti, esplori i confini delle discipline mostrandone la funzione ermeneutica piuttosto che quella argomentativa. Esse sono costruite per mettere in scena, all'interno dello stesso percorso di indagine, la loro ineludibile parzialità rispetto alla totalità del mondo, all'unità dell'esperienza, all'unicità pluridimensionale del soggetto che apprende.

Non a caso, ho appena scritto “a partire dalla Scuola dell’Infanzia”. Faccio esplicito riferimento al curricolo “verticale”: io preferisco sottolineare la funzione di continuità educativa piuttosto che gli aspetti ingegneristici di raccordo, che non di rado innescano soluzioni tutte contenutistiche o astratte formulazioni metodologiche. Una delle “condizioni di possibilità” che si pongono nella costruzione del curricolo verticale (già a livello di sistema, in questo caso, e non di singola istituzione) esige, infatti, una riflessione sull’universo dell’infanzia, un suo ripensamento profondo riguardo ai modi di pensare e di conoscere. Da questo punto di vista, il/la bambino/a che fin nella fascia della Scuola dell'infanzia si interroga e cerca risposte sui fenomeni del mondo (non solamente "naturali", ma anche culturali, affettivi e relazionali) opera di fatto un distanziamento dall'immediatezza, che rende possibile quel domandare, ponendolo già dentro un campo di sapere. E le sue ipotesi di spiegazione non sono, come in modo "adultocentrico" crediamo, fughe pittoresche nel mondo della fantasia autoreferenziale, ma segnali di un percorso di comprensione  e di costruzione di un sapere che va incontro al mondo.

Va precisato che  il "sapere" di cui stiamo ragionando non è ancora un sapere disciplinare, pur essendone il fondamento. Dunque, un'ulteriore pista di ricerca riguarda il passaggio dal sapere così inteso al sapere disciplinare, secondo le caratteristiche di gradualità e progressività che sottolineano opportunamente anche i documenti istituzionali. Campi di esperienza, ambiti e attività educative sono, infatti, organizzatori di didattica che traggono senso da esigenze funzionali all’insegnamento/apprendimento: in tale prospettiva, è compito dell'insegnante, nella mediazione didattica che gli/le compete, far uscire l'appassionato interrogare/interrogarsi del bambino  dal cerchio necessario ma limitante di una ricerca contingente, per proporre un "archivio storico" delle risposte che sono state date nel tempo e nello spazio, depositando cultura, e che hanno preso corpo in sistemi formalizzati, benché aperti, definiti "discipline" dagli addetti ai lavori. In questo modo la disciplina non è la parola definitiva ed esaustiva che cade su quel porsi domande e in qualche modo ne decreta il superamento relegandolo a un preteso pre-disciplinare: è piuttosto la scoperta che esistono tanti "racconti sul mondo" quanti sono gli sguardi da cui si guarda e che nessuno ha titolo a rivendicare una superiorità gerarchica sugli altri, perchè dall'uno o dall'altro si può transitare e sconfinare senza che il raccontare venga meno.  Relativizzare le discipline, dunque, non vuol dire decostruirle: proprio questo approccio fa riconoscere che come nessuno sguardo può stare al posto dell'altro senza diventare perciò stesso l'altro, così ogni sapere disciplinare ha il suo insostituibile punto di vista.

Un ulteriore campo di riflessione per quello che ho definito nel titolo “il cantiere aperto” della progettazione curricolare, per esplorarne le condizioni di possibilità in vista della rivisitazione del tessuto disciplinare, consiste in un lavoro di lungo respiro, orientato all’essenzializzazione. Tema di decisiva rilevanza, dalle molteplici implicazioni politico-culturali. Qui vale la pena fare qualche affondo. Tornano alla memoria, inevitabilmente, discussioni appassionanti che si sono sviluppate in particolare sul finire degli anni ’90 del secolo scorso, non a caso in concomitanza con l’avvento dell’autonomia scolastica, che ha rilanciato a livello istituzionale le questioni teoriche attorno al curricolo: la “Commissione dei Saggi” sui saperi (essenziali, si diceva) istituita dall’allora ministro Berlinguer, nel 1997, è stato il frutto e al tempo stesso il veicolo di quelle riflessioni. Nella mole dei documenti che hanno caratterizzato i suoi lavori, mi sembra significativo il passo che segue, per la sua pertinenza rispetto ai temi qui affrontati:

Le "discipline di studio" vanno dunque pensate come campi di significato che debbono fornire un orizzonte intersoggettivo ma anche acquistare un senso personale e tradursi in operatività, non solo in verifiche scolastiche.

L'istruzione non può e non deve mirare ad essere enciclopedica.
Sezioni diverse del sistema scolastico hanno livelli e scopi diversi, ma in ognuno di esse la regola dovrebbe essere l'insegnamento di alcune cose bene e a fondo, non molte cose male e superficialmente: si deve avere il coraggio di scegliere e di concentrarsi. [2]

E’ evidente dalla succinta citazione che l’istanza di essenzialità investe l’intero “sistema scolastico”, ponendosi come una chiave di volta della progettazione curricolare in tutto il suo arco, pur nella specificità, pedagogica e ordinamentale,  delle sue diverse “sezioni”.  Una plausibile elaborazione del curricolo verticale, se non vuole strutturare i percorsi in una logica meramente cumulativa, deve fare i conti con questo criterio, misurandosi con la rigidità degli assetti ordinamentali e la frammentarietà “enciclopedica” degli impianti disciplinari, che sono tutt’ora resistenti a un’opera di essenzializzazione.
Resta più che mai significativo, sul piano politico-culturale, l’intento che anima questa “impresa”: a questo proposito mi preme sottolineare la differenza sostanziale tra il concetto di “minimo” e quello di “essenziale”, che non vanno certamente considerati intercambiabili. Il primo, infatti, fa riferimento ad un criterio quantitativo, direi di stampo economicista, che risponde anzitutto alle economie di scala; il secondo, invece, riporta l’indagine e il progetto culturale sul piano qualitativo, centrato sul rapporto tra bisogni e diritti. Di saperi essenziali si occupano gli addetti ai lavori, certamente, ma sullo sfondo di un disegno che coinvolge l’intera società in tutte le sue componenti, come soggetto collettivo che pone agli esperti istanze di senso, di eguaglianza sostanziale, di equità all’interno del sistema scolastico nel suo insieme. Cosa è essenziale per conoscere, sapere, utilizzare gli strumenti del pensiero, per agire criticamente e se necessario intervenire per modificare le regole della convivenza? È  evidente che il paradigma dell’essenziale è soggetto alle dinamiche della storia e della struttura sociale, non è una volta per tutte definito e muta nello spazio (diremmo, nei contesti) e nel tempo. Di qui, il carattere necessariamente evolutivo del curricolo, la sua natura intrinsecamente antiautoritaria e antidogmatica.


Rimane nella progettazione curricolare un duplice rischio, a mio avviso: da un lato quello di ridurre il percorso alle scelte contenutistiche, via di uscita semplificatrice che trasforma il “cantiere” in un’operazione di restyling sartoriale: togliere un po’ di qua, aggiungere di là. La declinazione degli itinerari dovrebbe essere, invece, l’ultimo passo dopo quel lavoro di ripensamento della trama disciplinare che ho detto; è il passo finale, terreno specifico della didattica: prezioso, ma insidioso se surroga o parcellizza il progetto culturale. L’altro rischio, non meno rilevante, consiste a mio parere nella riduzione del percorso alle sue sole dimensioni metodologiche: per riprendere espressioni utilizzate in apertura, al come piuttosto che al cosa. Da un lato, contenutismo, dall’altro formalismo e attenzione alle procedure piuttosto che ai processi: vizio antico e ricorrente della nostra scuola.

Qual è il punto di caduta del dilemma? A me sembra che possa essere d’aiuto l’altra linea di ricerca che ha accompagnato l’elaborazione teorica della progettazione curricolare nell’evoluzione del quadro politico-istituzionale, intrecciandosi alla riflessione sui saperi: la questione dei cosiddetti nuclei fondanti delle discipline. Propongo al riguardo la seguente enunciazione:

Per nuclei fondanti si intendono quei concetti fondamentali che ricorrono in vari punti di sviluppo di una disciplina e hanno ( perciò ) valore strutturante e generativo di conoscenze. I nuclei fondanti sono concetti, nodi epistemologici e metodologici che strutturano una disciplina […] i contenuti ne sono l’oggetto, le conoscenze sono il frutto di tutto il processo di costruzione del sapere. [3]

Mi pare che qui sia chiaramente delineata la distinzione e l’interrelazione tra gli aspetti epistemologici, i contenuti e le conoscenze: ciò a favore di una visione dinamica e, appunto, “generativa” delle discipline, che predispone ad un serio lavoro di progettazione su base inter-trans-disciplinare, non ridotto a raccordi puramente tematici quali quelli che spesso ricorrono nei documenti di programmazione delle scuole, e nei materiali dei corsi di formazione.

Per arrivare ad una conclusione, ovviamente aperta nella prospettiva della ricerca, mi sembra che un percorso di ripensamento e rielaborazione focalizzato sull’impianto e sulle interconnessioni delle discipline interpelli specificamente la professionalità dei docenti. Quella che le politiche governative e ministeriali, dei governi e dei ministri di turno, tendono a comprimere nei confini della pura gestione organizzativa e delle tecnicalità procedurali. Mi sembra pertinente, al riguardo, il brano che segue: come si vede, non viene da una fonte incline alle posizioni eccentriche, ma dagli archivi del ministero. Quando non era ancora del “merito”, ma della “Pubblica Istruzione”…

La professionalità è dunque fortemente valorizzata e responsabilizzata, poiché la comunità professionale è chiamata ad assumersi significative responsabilità progettuali, nel quadro di un pieno riconoscimento della libertà culturale di ciascuno, all’interno di una dimensione sociale di collaborazione, negoziazione delle scelte, condivisione di una peculiare idea di scuola.[4]

Note

1. C. Fiorentini, "editoriale", Note CIDI n. 3, maggio 2023.
2. Sintesi dei lavori della Commissione a cura di Roberto Maragliano ,  punto 2.2., in "Educazione Scuola", 1997.
3. 
. Definizione del Forum delle Associazioni disciplinari, 2000; sta F. Olmi, "Competenze e nuclei fondanti: la grammatica dei nuovi curricoli", in Annali P.I. 1-2/2000; vedi estratto.
4.  Cfr. "Il curricolo nella scuola dell'autonomia", allegato al documento "Cultura Scuola Persona", Roma, 03.04.2007, Annali P.I. Archivio.

Di che cosa parliamo

Contrappunti sulla scuola. Molti dei paradossi della scuola, e attorno alla scuola, nascono dalle separatezze: tra la scuola che si fa e quella di cui si parla; tra i grandi disegni riformatori e l’aleatorietà degli esiti; tra visioni e pratiche...

Si potrebbe continuare. Qui preme sottolineare che una via per rendere compatibili, o addirittura comporre, i diversi piani può essere quella di mettere in luce di volta in volta le dimensioni prioritariamente in gioco: la cornice  istituzionale, le pedagogie sottese o esplicite, l’intenzionalità educativa che si traduce in scelte didattiche, l’orizzonte culturale che dà senso al tutto.

E’ ciò che si propone questo spazio di confronto e riflessione, accettando la sfida di distinguere per meglio analizzare questioni e fenomeni, e al tempo stesso di fare sintesi per comprenderli compiutamente.

L’autrice
 

E’ stata insegnante di materie letterarie nella Scuola secondaria, per circa venti anni, con esperienza prevalente nella Scuola media; dirigente scolastica per i successivi  venti anni nella scuola di base (Scuola media e Istituti comprensivi). Negli anni più recenti (2017/2022) ha svolto attività di insegnamento, in qualità di docente a contratto, nel Corso di Scienze dell’educazione e della formazione presso l’Università la Sapienza. Attiva da lungo tempo nell’associazionismo professionale, è impegnata in particolare in percorsi di ricerca e formazione, rivolti  alle diverse professionalità della scuola sui vari temi attinenti al sistema educativo di istruzione.