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di Simonetta Fasoliscuola, tra il dire e il fare

22/01/2024

Le Indicazioni Nazionali del 2012: uno strumento di ricerca e di lavoro più che mai attuale

Le ragioni di una riflessione

Si profila, nell’ambiente governativo, l’ipotesi di intervenire sulle Indicazioni per il curricolo destinate alla Scuola dell’Infanzia e del Primo ciclo, con riferimento alla prima emanazione (D.M. n. 254/2012) e alla versione del 22 febbraio 2018 (Indicazioni e nuovi scenari). Considerata la cultura politica di riferimento dell’attuale governo, mi sembra quanto mai necessario fare una riflessione mirata su quel testo, non in un’ottica di conservazione dell’esistente, ma allo scopo di rintracciarvi gli elementi irrinunciabili: quelli da salvaguardare rispetto al nuovismo (questo sì, conservatore) che per più versi caratterizza l’azione di questo governo.
Non si tratta di cristallizzare la norma, e le pratiche che si sono andate sviluppando attorno alla sua attuazione, ma di restituirne la carica generativa per consegnarla al presente e al futuro delle generazioni di alunn* e di insegnanti. Farlo sulla scorta di qualche buona domanda, che si declina sostanzialmente in questi interrogativi: cosa è (ancora) vivo, delle Indicazioni? Cosa resta da esplorare, da coltivare, di quel seme culturale e pedagogico che le caratterizza? Per rispondere ai quesiti, vorrei proporre in questa sede un “viaggio” esplorativo, che, come ogni viaggio, necessita di un bagaglio “leggero” e di una buona bussola.
 

Un impianto unitario e articolato. 

Le Indicazioni del 2012, anzitutto, non sono in sé stesse il curricolo, ma - come è chiarito nella stessa dicitura - sono per il curricolo: differenza di grande rilievo. Sta a significare l’intento esplicito di evitare qualsiasi forma di centralismo pedagogico e in definitiva ogni disegno ispirato ad una pedagogia o, peggio, didattica di Stato. Tentazioni che a più riprese hanno serpeggiato nei documenti istituzionali prodotti tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, sotto governi di diverso segno politico, con risultati spesso discutibili.
Qui siamo in un’altra temperie culturale: siamo di fronte ad un documento (che ha, va detto, natura ed efficacia di norma) nel quale si prendono sul serio due criteri-cardine: la libertà di insegnamento e l’autonomia delle istituzioni scolastiche. La prima, saldamente innestata nella Costituzione (articolo 33) la seconda ancorata al dispositivo del riformato Titolo V [1]Tra questi due principi - che correttamente intesi non sono destinati a configgere ma a contemperarsi dentro l’unico orizzonte della legge fondamentale della Repubblica - si distende lo spazio della progettazione curricolare: proprio perché espressione della liberà di insegnamento (nella sua duplice dimensione individuale e collegiale) e nervatura essenziale dell’autonomia che non voglia ridursi a pura “tecnica gestionale-organizzativa”, la costruzione del curricolo richiede, appunto, un impianto unitario di riferimento. E’ quello che rinveniamo nelle Indicazioni del 2012, assicurato da una medesima cornice culturale e pedagogica che emerge nelle sezioni introduttive, al modo di una Premessa. E’ questo il tratto a mio avviso più significativo che dà spessore ed attualità al documento. Mai come in questa occasione l’istanza di un percorso unitario ed articolato dai 3 ai 14 anni  ha trovato concreta possibilità di attuazione. Siamo dentro un disegno anche ordinamentale che va dalla Scuola dell’Infanzia alla Scuola secondaria di Primo grado, oltre le coordinate formali della scuola dell’obbligo (al tempo della stesura, già estesa al biennio delle Scuole superiori, per effetto della L. 696 del 27 dicembre 2006, art. 1, c. 622). Qui le ragioni della pedagogia prevalgono su quelle della burocrazia: la fascia dell’età cosiddetta “evolutiva” viene guardata con una stessa ottica, pur nel rispetto dei diversi modelli pedagogici e dei dispositivi organizzativi che qualificano quei segmenti del sistema educativo. In questa prospettiva, assume particolare rilevanza la dimensione culturale che assicura coesione all’impianto delle Indicazioni, con alcuni capisaldi che mi preme brevemente richiamare: primo fra tutti, l’orizzonte europeo che è esplicitato, non solo per il richiamo alle competenze chiave per l’apprendimento permanente declinate nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006, ma anche per quella che nel testo delle Indicazioni 2012 viene solennemente affermata come appartenenza ad una “unica comunità di destino”.  Di più, nello stesso passaggio, si parla di “un’unica comunità di destino planetaria”. A proposito di elementi “irrinunciabili”, ecco un principio che va tenuto fermo, a fronte delle culture politiche ispirate al sovranismo, emergenti  nel nostro Paese e negli scenari geopolitici internazionali.
 

Una nuova alleanza di saperi

Altri aspetti richiamano attenzione, sul versante culturale-pedagogico. Tra questi, vale la pena sottolineare l’istanza di un impegno di riflessione e azione volto all’integrazione tra le due culture, quella umanistica e quella scientifica, che hanno segnato e continuano a connotare l’idea e le pratiche di insegnamento-apprendimento. Sotto questo profilo, il documento ministeriale trova accenti di grande respiro, potremmo dire mossi da un’utopia concreta: l’approdo di questo movimento tende a quello che il testo stesso definisce un nuovo umanesimo, significando con ciò l’intenzione di aprirsi ad un orizzonte ben più vasto e comprensivo di quello, pur essenziale, dell’educazione. Voglio a questo proposito riportare un passaggio del testo, che trovo di grande efficacia: “E’ quindi necessaria una nuova alleanza fra scienza, storia, discipline umanistiche, arti e tecnologia, in grado di delineare la prospettiva di un nuovo umanesimo. In tale prospettiva, la scuola potrà perseguire alcuni obiettivi oggi prioritari: insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza - l’universo, il pianeta, la natura, la vita, l’umanità, la società, il corpo, la mente, la storia – in una prospettiva complessa, volta cioè a superare la frammentazione delle discipline e a integrarle in nuovi quadri d’insieme […]”.

"Sortirne insieme..."

Una profonda esigenza di unità, certamente composita ma non monolitica, mi sembra insomma dare forma all’intera trama delle Indicazioni nella dimensione politico-culturale. Ed è questa che, in definitiva, interroga il presente e il futuro, ne mostra i versanti critici, le possibilità e i rischi, soprattutto considerando le spinte che a tutti i livelli vanno in direzione ostinatamente contraria: verso la frammentazione, la preponderanza dei localismi, delle soggettività irrelate affette da un narcisismo esasperato, che attenta con tutta evidenza alla coesione sociale e alle pratiche fondate sulla solidarietà autentica. Davvero sembra allontanarsi la visione di cui resta Maestro don Lorenzo Milani: quella per cui “sortirne insieme è la politica”.
 

Oltre gli steccati e la frammentazione delle discipline

L’istanza unitaria, che dà conto delle differenze, impatta non di meno sul terreno specifico dell’educazione, in quella forma istituzionale che definiamo “sistema di istruzione e formazione”. Non può sfuggire a chi ha a cuore l’impegno diretto in questo campo l’affermazione che chiude il brano appena sopra riportato: “insegnare a ricomporre i grandi oggetti della conoscenza […] in una prospettiva complessa, volta cioè a superare la frammentazione delle discipline e a integrarle in nuovi quadri d’insieme.” Immagino che si debba partire da qui, quando penso ad un rigoroso lavoro di ricerca e di pratica didattica attorno alla progettazione curricolare, alle condizioni stesse di possibilità di una continuità educativa,  da perseguire senza limitarsi alla sua sterile predicazione, senza cedere alla sua degenerazione nelle ingegnerie degli assetti. Reciprocamente, ritengo che solo una rivisitazione profonda dei saperi disciplinari, tale da mettere in questione l’idea stessa di disciplina come “corpo separato di conoscenze”, può consentire una forma plausibile di curricolo verticale. Quei confini convenzionali tra le discipline, frutto di processi storici, esistono per essere superati: il termine ultimo di una ricerca epistemologico-disciplinare consiste, infatti, nel riconoscere i limiti che la costituiscono, nel cercare i punti di intersezione con altri e diversi saperi, nel praticare il lavoro di confine, perché è sul confine che i saperi, incontrandosi, mostrano al meglio le loro risorse generative.
 

Un passaggio graduale e progressivo: dai sistemi simbolico-culturali alle discipline. 

Con grande sapienza pedagogica, il testo delle Indicazioni nazionali delinea il passaggio graduale e progressivo dai saperi alle discipline lungo i segmenti che compongono il sistema, dalla Scuola dell’Infanzia, alla Primaria, alla Secondaria di primo grado; individua i dispositivi didattici che accompagnano i processi di crescita, rivelandone la specificità e la congruenza. Fa sì che i “salti” del tempo qualitativo che caratterizza la crescita dei soggetti non diventino cesure pedagogiche: è quella che Giancarlo Cerini acutamente definisce “la discontinuità utile”.
Così i campi di esperienza permettono di descrivere il primo incontro dei bambini e delle bambine con i sistemi simbolico-culturali che connettono i vissuti e i saperi. Un percorso che va dallo “stare al mondo” all’attività di “interrogare il mondo”, attingendo al repertorio di domande e di risposte che sono state elaborate nel tempo, a quel deposito culturale che ha preso la forma, la grammatica e la sintassi delle discipline. Questo avviene in parallelo con lo sviluppo delle capacità di astrazione di cui è puntellata la crescita, mano a mano che il rapporto im-mediato con la realtà, il cortocircuito diretto con le percezioni e le emozioni si arricchisce con nuovi strumenti di distanziamento (verbale, non verbale, psicomotorio): di qui emerge la trama degli ambiti disciplinari, quella che permette di raccontare il sé e il mondo al modo dei diversi linguaggi. Eppure la consapevolezza che deve animare anzitutto chi, da educatore prima che da insegnante, si fa promotore di questo processo sentendosene parte integrante, è che possono esistere tanti mondi quanti sono gli sguardi e che nessuna visione può essere esclusiva o escludente. Non è relativismo cognitivo di basso profilo: è affermare la ricchezza e polisemia di tutto ciò che vive.

 

La continuità educativa: uno "sfondo integratore". 

Questo contributo non pretende certo di essere esaustivo ma si pone come uno stimolo per tornare al testo e alle sue potenzialità, a mio parere ancora in parte inesplorate. Mi piace sottolineare questo punto di approdo (provvisorio)  della riflessione, perché il grande tema strategico della verticalità nella progettazione curricolare mi sembra attraversare come un filo di senso l’intero documento: è nella coerenza delle sue premesse, nella coesione delle diverse parti che lo strutturano, nella ricorsività dei dispositivi che declinano i criteri metodologici e i nuclei tematici. Mi pare, insomma, che la continuità educativa si possa assumere come uno sfondo integratore del testo: una sorta di idea regolativa che sollecita il lavoro delle scuole e degli insegnanti, con un forte richiamo alle sue condizioni di fattibilità, legate a fattori strutturali e all’effettiva disponibilità di risorse (materiali, umane, professionali) per il fare scuola nella scuola di ogni giorno. Non per caso su questa prospettiva si è molto speso Giancarlo Cerini, instancabile animatore/ispiratore di quell’impresa pedagogica che ha messo capo al documento, certamente non solitaria ma profondamente incisa dal suo apporto di competenza e passione. Segnalo, tra i suoi molti scritti attorno alle Indicazioni, un suo contributo sul tema della continuità [2]Una miniera preziosa di prospettive interpretative e piste di lavoro, un intento di approfondimento su questioni controverse e dirimenti, per sostenere l’impegno degli insegnanti e delle scuole.
 

Ripartire dalla scuola e dalla professionalità docente.

Le Indicazioni nazionali restano dunque un punto di riferimento ineludibile per la scuola e gli insegnanti, ma proprio per questo postulano un lavoro di rielaborazione e di verifica sul terreno del “fare scuola” quotidiano: come tutti i provvedimenti normativi che riguardano il sistema scolastico, infatti, non ha tanto bisogno di chiosatori diligenti delle norme, quanto di interpreti avveduti, sostenuti da una solida cultura, anzitutto professionale ma non solo. Le norme, sia detto in generale, non vivono di vita propria: nascono dal terreno della cultura e della società che le esprimono, perciò solo su quel terreno possono vivere sottraendosi a un destino di inerzia, irrilevanza e spesso di silenziosa opera di rimozione collettiva, talvolta mascherata dalla formula eufemistica del “superamento”. E’ così che il sistema si rivela esposto alle scorrerie della politica politicante, o all’opera del punto e a capo dei governi di turno, spesso animati più dall’intento di intestarsi riforme “epocali” che da quello di intervenire nell’interesse della collettività e dei più fragili, come detta la nostra Costituzione.
Un lavoro di lunga lena, quello che aspetta il mondo della scuola, e di coloro che hanno a cuore l’educazione e l’istruzione, che va opportunamente accompagnato da percorsi di formazione e di ricerca-azione. Per questo, bisogna ritornare alle Indicazioni: non per sterile nostalgia o conservatorismo difensivo, ma per vivificarle, attingendo al loro patrimonio di cultura, pedagogia, didattica generativa. Per dare voce alle istanze che rappresentano, e sottrarre la scuola al chiacchiericcio contingente di tutto quello che si muove attorno, spesso nell’ottica dell’arma di distrazione di massa. Del resto, è quello che in modo esplicito si afferma in un significativo passaggio delle Indicazioni del 2018, che qui riporto integralmente, a conclusione di questo mio articolo: “E’ utile che i Collegi docenti riprendano in modo diffuso e sistematico la riflessione sul testo delle Indicazioni, sul senso dell’istruzione e dell’educazione, sulle caratteristiche degli ambienti di apprendimento  e sulle didattiche più adeguate a perseguire tali finalità.”
 

Note

[1]  articolo 117: “[…] spetta alle Regioni la potestà legislativa, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di istruzione e formazione professionale, di promozione del diritto allo studio, anche universitario.”

[2]  AA. VV. Fare scuola con le Indicazioni – Testo e commento - Didattica e spunti operativi, G. Cerini,  “Curricolo verticale – Il fil rouge della continuità didattica” (pagg. 173-184) . Tecnodid editrice, novembre 2012.

Di che cosa parliamo

Contrappunti sulla scuola. Molti dei paradossi della scuola, e attorno alla scuola, nascono dalle separatezze: tra la scuola che si fa e quella di cui si parla; tra i grandi disegni riformatori e l’aleatorietà degli esiti; tra visioni e pratiche...

Si potrebbe continuare. Qui preme sottolineare che una via per rendere compatibili, o addirittura comporre, i diversi piani può essere quella di mettere in luce di volta in volta le dimensioni prioritariamente in gioco: la cornice  istituzionale, le pedagogie sottese o esplicite, l’intenzionalità educativa che si traduce in scelte didattiche, l’orizzonte culturale che dà senso al tutto.

E’ ciò che si propone questo spazio di confronto e riflessione, accettando la sfida di distinguere per meglio analizzare questioni e fenomeni, e al tempo stesso di fare sintesi per comprenderli compiutamente.

L’autrice
 

E’ stata insegnante di materie letterarie nella Scuola secondaria, per circa venti anni, con esperienza prevalente nella Scuola media; dirigente scolastica per i successivi  venti anni nella scuola di base (Scuola media e Istituti comprensivi). Negli anni più recenti (2017/2022) ha svolto attività di insegnamento, in qualità di docente a contratto, nel Corso di Scienze dell’educazione e della formazione presso l’Università la Sapienza. Attiva da lungo tempo nell’associazionismo professionale, è impegnata in particolare in percorsi di ricerca e formazione, rivolti  alle diverse professionalità della scuola sui vari temi attinenti al sistema educativo di istruzione.