Home - i/stanze - stereotipando - "Bisogna valorizzare le eccellenze"

di Maurizio Muragliastereotipando

17/07/2018

"Bisogna valorizzare le eccellenze"

Negli ultimi anni il discorso scolastico ha amato far convivere con l’enfasi sull’inclusione anche un’altra enfasi. Quella delle eccellenze. “Bisogna valorizzare le eccellenze”. Il MIUR da un lato ed i media dall’altro si compiacciono di evidenziare i vincitori di tutte le olimpiadi possibili e di mettere sul podio i vari “100” della maturità con annesse lodi. L’incoronazione dell’eccellenza quindi è uno sport praticato.
In realtà da sempre la chiacchiera degli insegnanti nelle sale professori si è esercitata sul tema producendo ulteriori sottostereotipi del genere: “Il livello si è abbassato”, “I bravi finiscono per annoiarsi” e altra materia nostalgica che ha sempre nascosto l’invincibile inclinazione selettiva dei docenti italiani, repressa, ahimé, da tutto l’armamentario ministerial-pedagogico, rafforzato dalle tattiche dei dirigenti, volto a “portare avanti tutti”. Principio di inclusione e principio di selezione hanno sempre cercato di convivere nella nostra scuola con esiti alterni, e la guerriglia si può constatare fin nel singolo consiglio di classe.

Scrive Giovanni Floris, nel suo ultimo intelligente libro sulla scuola: “Basta con l’eccellenza. O meglio: data la situazione in cui ci troviamo, è un problema che possiamo affrontare in seguito. Prima concentriamoci sulla normalità” (Ultimo banco, Solferino, 2018, p.121). Il giornalista in seguito argomenta brillantemente questa sua presa di posizione e a quel testo pertanto rimando. La citazione mi serve per constatare che anche il mondo degli opinionisti può convincersi che lo stereotipo ministerial-mediatico sulle eccellenze, che tanto seduce un buon manipolo di neovestali della classe media, in realtà rischia di contenere la nobile abdicazione al dovere repubblicano di alzare l’asticella della normalità. La cultura di un popolo, infatti, si vede proprio dall’asticella della normalità. Che se è troppo bassa rischia di fare proliferare presunte eccellenze.

La parola eccellenza infatti implica un principio di distinzione. Colui (o colei) che eccelle viene colto per differenza dalla massa di non eccellenti. Difficile immaginare una classe in cui il cinquanta per cento di alunni siano definibili come eccellenti. La percentuale sarebbe così alta che dovremmo parlare di normalità. Dunque l’eccellenza si configura quale fenomeno di solitudine (anche se fossero due-tre in una classe): l’alunno eccellente è stato colto nella sua solitudine rispetto ai compagni. Egli si è rivelato capace di esprimere un rendimento superiore a tutti gli altri in tutte le discipline, e questo è stato possibile rilevarlo in virtù delle valutazioni – numeriche, ovviamente – di tutti i suoi insegnanti che ne hanno definito la cifra di “imparagonabilità”. Complimenti.

Ma entriamo un attimo in classe. Capita a tutti, quando si fa scuola, di trovarsi davanti alunni differenti. La normalità in classe è la differenza. Tra le differenze, poi, capita di trovare, appunto, il Differente, colui che possiede in sommo grado quel che la scuola chiede agli alunni. Notoriamente quando si parla di questi alunni il riferimento è alla scuola secondaria, e molto più spesso alla secondaria di secondo grado. Infatti è difficile assistere a celebrazioni mediatiche di bambini della scuola primaria che si sarebbero rivelati “eccellenti”. Ci sarà un perché?
Il perché forse può annidarsi in una considerazione del profilo professionale e pedagogico degli insegnanti primari e secondari. La maestra probabilmente si imbatte anche lei in potenziali eccellenze. Ma il suo interesse è quello di dare a tutti strumenti di base. Quando ero bambino riuscii ad imparare a leggere e scrivere da autodidatta vedendo in TV la trasmissione di Alberto Manzi “Non è mai troppo tardi”. Erano gli anni Sessanta del Novecento. Quando i miei genitori mi portarono direttamente in prima elementare senza passare dall’asilo, la maestra di allora disse a mio padre che mi sarei annoiato. E mi teneva accanto a sé. Non facevo niente. Aspettavo che gli altri imparassero a leggere e scrivere. Era il 1968. In realtà in quella classe i bambini non solo si sforzavano nell’imparare a leggere e scrivere ma anche si spintonavano, ridevano, piangevano, facevano i monelli. Mentre io stavo seduto accanto alla maestra perché già quelle cose le sapevo fare. Tutta la mia carriera successiva mi dimostrò che avrei fatto bene a non guardare la trasmissione del maestro Manzi.

Le maestre di oggi tengono tutti dentro. Per loro l’eccellenza sta dentro il contesto educativo. Alla secondaria di primo grado si comincia a profilare il Differente. Le discipline (o forse il disciplinarismo) si prestano a farlo emergere. Perché accada ciò sarebbe argomento da trattare in altra sede. La secondaria di secondo grado poi diventa il luogo-principe della differenza perché la popolazione scolastica si canalizza in parte a seconda delle vocazioni in parte a seconda delle appartenenze sociali. E quindi crea le premesse per il sorgere del Differente. Visto mai un eccellente negli Istituti Tecnici e Professionali oppure nei Licei Artistici o Linguistici o di Scienze Umane? Qualche volta. Ma il gotha degli studenti è altrove.

Eppure se per un attimo si risemantizzasse l’attributo eccellente chissà che non si possa parlare di eccellenze anche in altri settori meno nobili dell’istruzione. Si tratterebbe soltanto di pensare l’eccellenza come un sollevarsi (o distaccarsi) dalla situazione di partenza. Quanti alunni conosciamo che partendo da situazioni svantaggiatissime hanno costruito una vita più che dignitosa? Quello è il “merito” però, costituzionalmente parlando. L’eccellenza invece sta nella torre d’avorio dei genietti solitari, che sono ritenuti tali dai loro insegnanti attraverso un percorso valutativo che, come tutti i percorsi valutativi scolastici, risente degli orizzonti di attesa dei valutatori. Che hanno una nostalgia infinita di avere in classe tanti eccellenti come una volta.

Il problema è che una volta non c’erano eccellenti perché c’erano solo loro. Per avere gli eccellenti devi avere i normali, e per avere i normali devi avere una scuola per tutti. Se la scuola per tutti fa annoiare le eccellenze, vuol dire che quelle eccellenze per essere tali hanno bisogno di un podio solitario. Perché non pensare di farle eccellere nella capacità di alzare l’asticella della normalità per tutti?

Di che cosa parliamo

Traendo spunto da espressioni molto popolari negli ambienti scolastici, la rubrica scava nelle logiche implicite di certe affermazioni e lascia intravedere quale concezione di scuola e di didattica a esse soggiace. È un’occasione per rimettere a fuoco alcuni fondamentali della professione tentando di smascherare le pedagogie implicite che si annidano dietro i miti e i riti linguistici della scuola.

L'autore

Insegna Lettere in un Liceo di Palermo. In qualità di esperto di questioni educative e didattiche svolge attività di formazione per le scuole e scrive su riviste specializzate. È  anche opinionista de "la Repubblica" di Palermo sugli stessi temi. I suoi interessi riguardano soprattutto il rapporto tra curricolo, saperi e competenze. Sul curricolo nel 2011 ha pubblicato un libro per Tecnodid.

www.mauriziomuraglia.com