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di Maurizio Muragliastereotipando

29/10/2013

E' carente nei contenuti

La vita scolastica è attraversata da parole. Gli insegnanti le utilizzano attribuendo loro i significati desunti dagli studi compiuti oppure dalla tradizione di insegnamento, che ha una sua capacità di resistenza anche di fronte alle acquisizioni della ricerca. I manuali di pedagogia e didattica contengono molte parole pregnanti, la cui accezione è il frutto di un ampio dibattito scientifico. Esse vengono spesso filtrate dalle norme ministeriali e presentate ai docenti con l’accompagnamento di documenti tecnici che cercano di spiegarne il significato. Tutti gli insegnanti hanno via via familiarizzato con termini quali programmazione, curricolo, obiettivi, competenze, valutazione ecc. Queste parole, e tante altre siffatte, hanno a che fare con l’organizzazione didattica del lavoro scolastico, che negli anni è andata complessificandosi sempre di più al punto da generare talvolta vere e proprie crisi di rigetto negli insegnanti, soprattutto quando il turbinio terminologico ha superato il livello di guardia, com’è avvenuto per  esempio per la scuola di base nel decennio che ha seguito l’istituzione dell’autonomia scolastica.

C’è una parola, tuttavia, che forse rende più di ogni altra il problema fondamentale dell’insegnare e dell’imparare. È la parola “contenuto”. Quante volte ci saremo imbattuti nell’alunno “carente nei contenuti”? Non raramente l’alunno carente nei contenuti è l’alunno cui si riconosce vivacità intellettiva, intraprendenza, capacità di porre domande. Però di un alunno del genere si deve dire che è carente. Gli mancano contenuti. La valutazione ne deve tenere conto. A guardare le griglie di valutazione prodotte dalle varie scuole si resta impressionati dalla presenza ossessiva del termine. I voti numerici devono tenere conto principalmente di questi indicatori: “conoscenza organica dei contenuti”; “conoscenza buona ma non approfondita dei contenuti”; “conoscenza ampia dei contenuti” e via via così… “essenziale”, “frammentaria”, “superficiale”. Alle volte al termine contenuti viene aggiunto l’attributo “disciplinari” perché il tema del contenuto viene subito associato a un campo specifico del sapere. Si potrebbe fare un vero e proprio lessico degli attributi associati a questa conoscenza dei contenuti: “esauriente”, “adeguata”, “limitata ma essenziale”. Quel che più attira l’attenzione, però, è la frequenza dell’attributo “completa” per gli interrogativi che essa pone. Quando avviene che un alunno mostra conoscenza “completa” dei contenuti? Quanto durerà la verifica che chiede il “tutto” di una disciplina?

Insomma, “contenuto” è una delle parole più… parlate dagli insegnanti, che ogni giorno devono porre tra sé e i bambini o i ragazzi una qualche cosa che giustifichi l’esistenza degli uni e degli altri. Se non c’è un oggetto tra chi insegna e chi impara non c’è scuola. Quest’oggetto va insegnato. Deve compiere cioè un percorso da una testa - o da un testo - ad altre teste. Chi non ha mai fatto esperienza di insegnare qualcosa a qualcuno? Occorre prendere questo qualcosa e… spiegarlo, renderlo cioè alla portata dell’altro, affinché l’altro ne venga in possesso. Tutta la tradizione trasmissiva dell’insegnamento parte dal presupposto che, dato un oggetto ben compreso da un adulto, esso possa essere trasferito a un gruppo di alunni attraverso una lezione. La forma-lezione, infatti, rappresenta da decenni il modo più conosciuto per realizzare il trasferimento di un oggetto di insegnamento da chi insegna a chi impara. Con la forma-lezione si trasmettono contenuti.

Fin qui le prassi didattiche ricevono il conforto non solo del senso comune, da cui pur sempre bisognerebbe prendere le distanze, ma anche dai pronunciamenti ministeriali, dagli opinion makers e dall’opinione pubblica (cosiddetta) colta, uniti da una certa insofferenza verso la scuola pensata dalla pedagogia (curricolo, competenze, valutazione formativa, ecc.) a favore della scuola che istruisce e rende colti. Cioè che trasmette contenuti. Più volte infatti l’indice è stato puntato contro l’ignoranza degli studenti, indotti dall’ideologia delle competenze a trascurare le nozioni basilari del sapere. Insomma, ciò che sarebbe venuto a mancare nel tempo del trionfo della pedagogia e della didattica sarebbero, appunto, i contenuti, soprattutto nella scuola secondaria di primo e secondo grado. Sul banco degli accusati Google e Wikipedia, che risparmierebbero agli studenti la nobile fatica del memorizzare e del ripetere.

La scuola reale sembra essere di questo avviso se, come abbiamo visto, le griglie di valutazione spulciate qua e là tra i siti delle scuole di tutta Italia appaiono unanimi. Insomma, alla luce di tutte queste considerazioni, si può trarre la ragionevole conseguenza che i contenuti, e la loro conoscenza da parte dei ragazzi, costituiscano per l’opinione più diffusa il banco di prova più valido per accertare la preparazione degli studenti.
Non è inessenziale far emergere questo sentire comune perché esso, per così dire, si tira dietro una vera e propria idea di scuola, che può essere declinata nei suoi orizzonti valoriali e di cittadinanza, nei suoi scopi formativi, nei suoi “dover essere” culturali, pedagogici, metodologici, relazionali. Un’idea di scuola sostenuta da fior di intellettuali, decisori politici, dirigenti scolastici, ma soprattutto, vien da dire ahimé, da insegnanti, e che può essere così riassunta: la scuola deve principalmente rendere gli studenti preparati sui contenuti delle varie discipline. Tutti i discorsi sulle competenze e sui metodi non possono sostituire la necessità che ogni studente ascolti le lezioni, faccia i compiti a casa, ripeta bene quel che ha imparato. Amen.

Questa è la via larga della questione apprendimento. La possono percorrere agevolmente la maggior parte di coloro che discutono di scuola, soprattutto basandosi sui ricordi personali. Purtroppo è una via strettissima per la maggior parte degli studenti, forse ormai per tutti gli studenti, che vivono una realtà completamente diversa da quella immaginata dal modello trasmissivo dell’insegnamento così caro a tante persone. Se si pensa agli studenti reali, vien da pensare che la parola “contenuto” in fondo non è che un participio passato, che richiede un complemento di agente. Da chi è contenuto il contenuto? E perché la parola contenuti viene adoperata in larga misura come sinonimo di “conoscenze”? Siamo proprio certi che dire conoscenze e dire contenuti sia la stessa cosa?

Forse gli insegnanti oscuramente avvertono che una differenza c’è, quando scrivono “conoscenza dei contenuti” piuttosto che “conoscenza delle conoscenze”. Forse molti insegnanti, se solo avessero la pazienza di sedersi un attimo a riflettere insieme su questi temi magari non popolarissimi, potrebbero accedere a orizzonti di ricerca interessanti. Potrebbero magari scoprire che il contenente del contenuto è un processo complesso che può rendere la testa dello studente inaccessibile al contenuto, oppure può rendere lo stesso contenuto in uscita dalla testa dello studente irriconoscibile rispetto a quel che era in entrata. E se questo mostro irriconoscibile fosse una… competenza?

Di che cosa parliamo

Traendo spunto da espressioni molto popolari negli ambienti scolastici, la rubrica scava nelle logiche implicite di certe affermazioni e lascia intravedere quale concezione di scuola e di didattica a esse soggiace. È un’occasione per rimettere a fuoco alcuni fondamentali della professione tentando di smascherare le pedagogie implicite che si annidano dietro i miti e i riti linguistici della scuola.

L'autore

Insegna Lettere in un Liceo di Palermo. In qualità di esperto di questioni educative e didattiche svolge attività di formazione per le scuole e scrive su riviste specializzate. È  anche opinionista de "la Repubblica" di Palermo sugli stessi temi. I suoi interessi riguardano soprattutto il rapporto tra curricolo, saperi e competenze. Sul curricolo nel 2011 ha pubblicato un libro per Tecnodid.

www.mauriziomuraglia.com